> MERIDIOGLOCALNEWS – RASSEGNA SULLE SOGGETTIV₳ZIONI METICCE <

 

La Corte penale internazionale è l’unica istituzione di garanzia volta a rafforzare i precetti del diritto internazionale che bandiscono il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità

«A differenza della Corte di Norimberga, la Cpi – “almeno astrattamente”, scrive Domenico Gallo – non agisce nell’interesse dei vincitori ma è strumento della Comunità internazionale, rappresentata dai 123 Stati che hanno sottoscritto il suo Statuto»

Il 20 maggio l’ufficio della Procura ha reso nota la richiesta di emissione di un mandato di cattura per tre leader di Hamas (per i fatti del 7 ottobre) e per due dei massimi dirigenti politici di Israele, il primo Ministro Netanyahu e il Ministro della Difesa Gallant. Non è stato un percorso facile a causa delle intimidazioni che sono state esercitate dagli “amici” di Israele, che hanno costretto il Procuratore, l’inglese Karim Khan, a mandare questo inusuale avvertimento: «tutti i tentativi di ostacolare, intimidire o influenzare impropriamente i funzionari di questa Corte devono cessare immediatamente. Il mio Ufficio non esiterà ad agire ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto di Roma se tale condotta dovesse continuare». La procura ha chiesto il mandato di cattura per Netanyahu e Gallant contestando sia crimini di guerra, sia crimini contro l’umanità. L’atto di accusa evidenzia che le prove raccolte: «dimostrano che Israele ha intenzionalmente e sistematicamente privato la popolazione civile in tutte le zone di Gaza di beni indispensabili alla sopravvivenza umana. Ciò è avvenuto attraverso l’imposizione di un assedio totale su Gaza che ha comportato la chiusura completa dei tre valichi di frontiera, Rafah, Kerem Shalom ed Erez, a partire dall’8 ottobre 2023 per periodi prolungati e poi limitando arbitrariamente il trasferimento di rifornimenti essenziali – compresi cibo e medicine – attraverso i valichi di frontiera dopo la loro riapertura. L’assedio ha incluso anche l’interruzione delle condutture idriche transfrontaliere da Israele a Gaza – la principale fonte di acqua potabile per i gazawi – per un periodo prolungato a partire dal 9 ottobre 2023, e l’interruzione e l’impedimento delle forniture di elettricità almeno dall’8 ottobre 2023 fino ad oggi. Ciò è avvenuto insieme ad altri attacchi contro i civili, compresi quelli che facevano la fila per il cibo; all’ostruzione della consegna degli aiuti da parte delle agenzie umanitarie; agli attacchi e alle uccisioni di operatori umanitari, che hanno costretto molte agenzie a cessare o limitare le loro operazioni a Gaza. […] Questi atti sono stati commessi come parte di un piano comune per usare la fame come metodo di guerra e altri atti di violenza contro la popolazione civile di Gaza come mezzo per […] punire collettivamente la popolazione civile di Gaza, percepita come una minaccia per Israele. Gli effetti dell’uso della fame come metodo di guerra, insieme ad altri attacchi e punizioni collettive contro la popolazione civile di Gaza, sono acuti, visibili e ampiamente noti. […] Tra questi, la malnutrizione, la disidratazione, le profonde sofferenze e il crescente numero di morti tra la popolazione palestinese, tra cui neonati, altri bambini e donne. Israele, come tutti gli Stati, ha il diritto di agire per difendere la propria popolazione, ma, quali che siano gli obiettivi militari – conclude il Procuratore – i mezzi scelti da Israele – ovvero causare intenzionalmente morte, fame, grandi sofferenze e gravi lesioni al corpo o alla salute della popolazione civile – sono criminali». Di fronte a questa incriminazione per fatti noti a tutti e puntualmente denunciati dalle Agenzie dell’ONU e dal suo Segretario Generale, crolla quel muro di opacità con il quale i leader dei principali Paesi dell’Occidente hanno cercato fin qui di mascherare l’oscenità del martirio di un’intera popolazione perseguito con accanimento da Israele nella convinzione della sua più totale impunità.

fonte: volerelaluna

 

“Nessuno è al di sopra del diritto internazionale” ha dichiarato Agnés Callamard. I mandati d’arresto per Netanyahu, Sinwar e gli altri sono un passo avanti cruciale verso la giustizia

«nessun capo di gruppi armati, nessun’autorità politica, nessun esponente degli eserciti, a prescindere dagli obiettivi che stanno perseguendo, nessuno di loro è al di sopra della legge” 

Netta la presa di posizione della segretaria di Amnesty International, Agnés Callamard, nel commentare la richiesta di mandati d’arresto, da parte dell’Ufficio del procuratore della Corte penale internazionale, nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, del ministro della difesa israeliano Yoav Gallant e di tre leader di Hamas – Yahya Sinwar, Mohammed Deif e Ismail Haniyeh – per crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Israele e nello Stato di Palestina, specificamente nella Striscia di Gaza occupata, a partire almeno dal 7 ottobre 2023.
“Il procuratore della Corte penale internazionale ha inviato in questo modo un messaggio importante a tutte le parti in conflitto: saranno chiamate a rispondere della devastazione che hanno causato alla popolazione di Gaza e di Israele”, ha aggiunto Callamard. “Le persone sospettate di essere responsabili di crimini di diritto internazionale in Israele e nei Territori palestinesi occupati devono essere portate a processo, non importa quanto siano potenti o quale sia il loro grado”, ha sottolineato Callamard. “La richiesta dei mandati d’arresto da parte del procuratore della Corte penale internazionale rappresenta anche una grande, e da lungo tempo attesa, opportunità per porre fine a decenni d’impunità in Israele e nei Territori palestinesi occupati e per ripristinare la credibilità del sistema di giustizia internazionale nel suo complesso”, ha proseguito Callamard. “Tutti gli stati devono rispettare la legittimità della Corte, astenersi da ogni tentativi di intimidire o sottoporre a pressioni la Corte e consentire ai giudici di portare avanti il loro lavoro nella piena indipendenza e imparzialità”, ha precisato Callamard. “Sta ora alla Camera pre-processuale, mentre il procuratore continua le sua indagini, esaminare rapidamente e prendere una decisione su queste prime richieste di arresto. Tutti gli stati, compresi quelli che non fanno parte della Corte penale internazionale, dovranno rispettare le sue decisioni. In caso di approvazione da parte dei giudici, tutti gli stati dovranno assicurare l’attuazione dei mandati d’arresto”, ha concluso Callamard.

fonte: amnesty.it

 

25 maggio/ La via maestra è la Pace. Manifestazione nazionale contro la guerra

Appuntamento in piazza Dante per una nuova manifestazione promossa da oltre cento associazioni, tra cui l’Arci, a sette mesi dalla mobilitazione di ottobre

Mentre si fa sempre più forte il rischio di una guerra generalizzata nel mondo, mentre proseguono e si allargano i bombardamenti e la carneficina, si intensifica la corsa globale al riarmo: 2.443 miliardi di dollari nel 2023, con un incremento del 6,8 per cento rispetto al 2022, secondo l’Istituto internazionale di ricerche sulla pace di Stoccolma (rapporto 2024). Un aumento che non ha avuto alcun esito sulla risoluzione dei conflitti né sulla riduzione delle tensioni. “Questa corsa al riarmo sta determinando un cambio di priorità nel bilancio degli Stati – spiega Sergio Bassoli, dell’area internazionale della Cgil -. Mentre il lavoro diventa ancora di più un’occasione di sfruttamento delle persone, le politiche sociali e quelle di contrasto al cambiamento climatico vengono messe in secondo piano. Nel frattempo, si fa una gara per creare quella paura e quel panico nella popolazione tali da giustificare gli investimenti militari, sia nella ricerca che nella produzione: è questa la follia del momento che stiamo vivendo. Ma guerra chiama guerra. E a pagare due volte sono le vittime, donne e bambini”… Affermare la voce e le ragioni di chi si oppone alla guerra in Italia sta diventando sempre più difficile, anche in parlamento. A fine febbraio è stato approvato in aula al Senato in via definitiva un disegno di legge governativo che mira a modificare in maniera peggiorativa la normativa sull’esportazione di armi (legge 185/90), una riforma che ha come obiettivo favorire affari armati potenzialmente pericolosi e dagli impatti altamente negativi e togliere trasparenza alle attività di export.

vedi  programma su ecoinformazioni

 

Atene, espulsione per chi si oppone al genocidio in Palestina: nove persone, tra cui due donne italiane, trattenute nel “centro di pre-rimpatrio” di Amygaleza

La sera del 13 maggio anche Atene si unisce all’intifada studentesca globale contro il genocidio portato avanti da Israele contro la popolazione palestinese di Gaza

Tende, striscioni e sacchi a pelo popolano per una notte la facoltà di giurisprudenza della principale università cittadina, chiedendo – assieme agli studenti statunitensi, olandesi, italiani, britannici e altri paesi – un cessate il fuoco immediato e le interruzioni dei programmi di scambio universitario con Israele. La mattina dopo un imponente contingente di polizia anti sommossa sgombera la facoltà, arrestando 28 persone. Una risposta repressiva repentina e violenta che conferma un cambio di passo nell’approccio delle autorità greche verso le proteste in supporto del popolo palestinese. Infatti, già la settimana prima, il 7 maggio, un corteo contro l’invasione di Rafah era stato caricato violentemente 3 volte dalla polizia, e due compagni – tra cui un minorenne – erano stati arrestati ad una protesta lo stesso giorno. Il giorno seguente, 20 persone che avevano portato la propria solidarietà ai due arrestati sono state a loro volta portate al commissariato centrale di Atene. In una surreale giostra repressiva, poche ore dopo la polizia ha prelevato altre 20 persone da un presidio sotto il commissariato, facendo salire il totale a 42 arresti in meno di 24 ore. Il giorno dopo lo sgombero della facoltà di legge, circa 200 persone accolgono gli arrestati nel piazzale del tribunale. Cordoni di polizia impediscono il contatto tra solidali e arrestati, con cori e canti a spezzare la tensione nelle quattro ore di attesa per l’udienza istruttoria. L’udienza in sè è invece rapida, le accuse sono quelle consuete: disturbo della quiete, rifiuto di dare le impronte digitali (una pratica diffusa nel movimento greco), possesso di oggetti contundenti e danneggiamento. Le stesse dichiarazioni dei poliziotti all’udienza non fanno alcun riferimento ad atti di vandalismo o qualsiasi tipo di oggetto contundente. Il giudice decreta la liberazione di tutti gli imputati, in attesa dell’inizio del processo, fissato per il 28 maggio. Tutti gli imputati greci vengono liberati, ma non i 9 di altre nazionalità. Le compagne e compagni internazionali, un uomo e otto donne italiane, francesi, spagnole, tedesche e britanniche vengono invece portate al “centro di pre-rimpatrio (PRO.KE.KA)” di Amygdaleza – in pratica un CPR greco nella periferia nord di Atene, dove sono ancora oggi. Amygaleza, come tutti i centri di detenzione amministrativa greci, sono tristemente famosi per le condizioni di detenzione, la difficoltà di accesso a servizi di interpretariato e supporto legale, alle visite di amici e familiare, all’assistenza sanitaria. La popolazione dei PRO.KE.KA è stata rimpolpata negli anni grazie alle cosiddette operazioni di “pulizia” della polizia, vere e proprio retate razziste nelle zone della città frequentate dalle persone razzializzate, che se non hanno il giusto documento vengono detenute per un periodo dai 18 ai 36 mesi. Con i pushbacks (respingimenti collettivi via mare e terra), i campi profughi “chiusi e controllati”, e la mancanza di alcuna significativa forma di inclusione, questi centri di detenzione completano un meccanismo di gestione brutale e violenta delle popolazioni razzializzate e migranti finanziato dall’Unione Europea e volto a dissuadere le persone dal rimanere sul suolo europeo.

fonte: www.globalproject.info

 

“Tunisia solidarietà con le/i migranti diritti per tuttə” contro la repressione governativa

Per capire meglio la situazione dei diritti e dei migranti in Tunisia, e per confrontarci su come l’Italia e la UE, dietro il paravento di trattati commerciali, stanno sfruttando questo razzismo di Stato per cercare di arrestare i flussi migratori e intensificare i rimpatri, è stato programmato un incontro il 25 di maggio dalle ore 15:00 a Milano Villa Scheibler. Della Tunisia sarà un collegamento con varie realtà associative e organizzative

È in atto ormai da tempo una violenta repressione governativa di matrice xenofoba, in Tunisia, che si è intensificata nelle ultime settimane prendendo di mira persone migranti subsahariane, ma anche ONG, giornalist*, funzionari* pubblic* e avvocat* attiv* nella loro difesa. Questo giro di vite sulla “sicurezza” – che ha l’evidente scopo di distogliere l’attenzione dai reali problemi socioeconomici del Paese e dalla repressione in atto della lotta per i diritti civili dell’intera popolazione – è iniziato alla fine di aprile con lo smantellamento dei campi temporanei di migranti subsahariani nei pressi di Sfax, la seconda città del Paese. Il 3 maggio, le misure di sicurezza sono state estese a Tunisi, dove un campo di migranti allestito di fronte alla sede dell’ OiM è stato evacuato con la forza. Saïed il presidente tunisino ha accusato i migranti di aver ricevuto “enormi somme di denaro dall’estero” e ha descritto le loro azioni come “un atto di violenza” nei confronti del paese . La risposta repressiva è stata quasi immediata. Saadia Mosbah, attivista antirazzista e presidente dell’associazione Mnemty, è stata arrestata il giorno stesso. É stata arrestata l’ex presidente dell’associazione Tunisie terre d Asile e due funzionari del consiglio tunisino per i rifugiati. I media pure sono nel mirino delle autorità. Sabato 11 maggio, l’avvocatessa e opinionista televisiva Sonia Dahmani è stata brutalmente arrestata nella sede dell’Ordine degli avvocati di Tunisi, dopo aver ironizzato sul paese durante un programma televisivo dicendo « Di quale straordinario Paese stiamo parlando? Contrastando la teoria della cosiddetta sostituzione etnica. La sera stessa, Borhen Bsaies, conduttore su Radio IFM di programmi a cui contribuisce Sonia Dahmani, e Mourad Zeghidi, un altro editorialista, sono stati arrestati dalla polizia. Secondo i loro avvocati sono stati interrogati sulle loro analisi politiche e sui contenuti che avevano condiviso sui social. E’ stato arrestato brutalmente l’attivista ed avvocato Mahdi Zagrouba che, secondo i suoi avvocati e la testimonianza del presidente della lega di difesa dei diritti umani, è stato vittima di aggressione e tortura.

comunicato: Mediterranea Saving Humans \ Mai più lager – NO ai CPR \ Mem.Med \ LasciateCIEntrare \ ADIF \ CRLDH Tunisie \ Fédération des Tunisiens pour une citoyenneté des deux rives – FTCR

 

Dati-Istat, nuove generazioni “sempre più digitali e multiculturali”: un giovane su tre immagina un futuro all’estero soprattutto negli Stati Uniti

Al 1° gennaio 2024 i residenti in Italia tra gli 11 e i 19 anni sono oltre 5 milioni 140 mila, ma nelle proiezioni demografiche il numero dei giovanissimi nei prossimi decenni è destinato a diminuire. È quanto rende noto in un report pubblicato in questi giorni dall’istituto di statica nazionale

Secondo ISTAT la popolazione residente in Italia è caratterizzata da un progressivo invecchiamento e i giovani rappresentano una preziosa risorsa demografica in diminuzione: sono infatti l’8,7% della popolazione residente, quando in base ai dati diffusi da Eurostat per l’Ue27, al 1° gennaio 2023, la quota di giovanissimi in questa fascia di età ha un peso relativo sulla popolazione del 9,5%
“I giovanissimi in questa classe di età, che 30 anni fa in Italia erano circa 6,4 milioni e rappresentavano l’11,2% della popolazione – si legge nel report -, sono destinati, nel prossimo futuro, a diminuire ulteriormente. In base allo scenario mediano delle previsioni Istat, tra 30 anni i giovanissimi tra gli 11 e i 19 anni residenti in Italia saranno poco più di 3,8 milioni e rappresenteranno il 7,2% della popolazione complessiva”. L’immigrazione straniera, che negli ultimi decenni ha rinfoltito le fila della popolazione residente, ha prodotto significativi effetti specialmente tra le fasce giovanili della popolazione, alle quali hanno oltremodo contribuito anche i discendenti degli immigrati nati in Italia. “I giovanissimi stranieri residenti tra gli 11 e i 19 anni al 1° gennaio 2024 sono 497.464 (stima provvisoria) e rappresentano il 9,7% dei ragazzi in questa fascia di età, con un’incidenza più elevata di quella che si rileva per il totale degli stranieri sull’insieme della popolazione (9%) – si legge nel report -. L’indagine su “Bambini e ragazzi” consente di conoscere altri dati interessanti sulla composizione “multietnica” di questo particolare segmento di popolazione. Nel 59,5% dei casi si tratta di stranieri nati in Italia; l’11,7% è nato all’estero e arrivato nel Paese prima dei 6 anni; il 17% è immigrato in età scolare (tra 6 e 10 anni); infine l’11,8% è arrivato a 11 anni o più. Interessante notare che oltre il 6% dei ragazzi italiani tra gli 11 e i 19 anni possiede una doppia cittadinanza e l’8,0% ha uno dei due genitori nato all’estero”. “La duplice nazionalità ha conseguenze formali e legali, ma si traduce spesso anche in un sentimento di appartenenza: chi ha una doppia cittadinanza si sente non solo italiano, ma nell’83,3% dei casi anche dell’altra cittadinanza – si legge nel report -. Il senso di appartenenza può però svilupparsi anche in assenza di una cittadinanza formale: l’80,3% dei giovanissimi stranieri residenti in Italia (con notevoli differenze tra le collettività) si sente anche italiano, sebbene non sia riconosciuto come cittadino”. Ma cosa richiama alla mente dei giovanissimi il termine cittadinanza? “Per i ragazzi, sia italiani, sia stranieri – spiega l’Istat -, significa soprattutto appartenenza (29,6%), comunità (25,9%) e diritti (28,5%). Pochi abbinano ‘cittadinanza’ al termine ‘doveri’ (3,7%). Si notano alcune differenze di genere, con le ragazze che più spesso associano alla cittadinanza la parola ‘diritti’, senza che ciò alteri di fatto la graduatoria. Tra italiani e stranieri le differenze sono più evidenti. Per i ragazzi italiani la parola cittadinanza fa pensare soprattutto a comunità (30,1%); per i ragazzi stranieri questa associazione è molto meno diffusa (17,4% dei casi) e la parola cittadinanza viene associata soprattutto a ‘diritti’ (30,2% contro il 24,7% degli italiani); per entrambi – italiani e stranieri – la seconda associazione più diffusa è ‘cittadinanza-appartenenza’ (29,7% per i primi e 29,0% per i secondi). Sembra evidente che per chi non ha la cittadinanza italiana la questione dei diritti che essa garantisce e ai quali non si ha accesso sia più sentita”.

leggi integralmente su.redattoresociale.it

 

Bonaccini non risponde alla lettera aperta di Carteinregola sull’autonomia differenziata

Nell’imminenza delle elezioni europee, l’Associazione Carteinregola ha scritto a tutti i partiti per chiedere ai candidati di esprimersi esplicitamente contro l’Autonomia differenziata del DDL Calderoli, ma anche contro qualsiasi autonomia che divida il Paese in tanti staterelli che traggono le proprie risorse dal gettito fiscale dei propri abitanti, dividendo, nella forma e nella sostanza, i cittadini italiani in cittadini con diritti variabili secondo la regione di residenza. Ci rivolgiamo quindi a Lei, nella tripla veste di Presidente del Partito Democratico, della Regione Emilia Romagna e anche di candidato alle prossime elezioni europee, chiedendole, per trasparenza di fronte agli elettori e per coerenza con le posizioni del Partito di cui è presidente, di ritirare ufficialmente la richiesta di “ulteriori forme di autonomia” per l’Emilia Romagna… Oppure le chiediamo una presa di posizione pubblica riguardo il percorso già fatto in quella direzione, con la spiegazione agli elettori delle motivazioni che la spingono a non archiviarlo

Da 16 giorni aspettiamo una risposta alla nostra lettera aperta a #StefanoBonaccini in cui chiediamo di ritirare la richiesta di #autonomiadifferenziata dell’ #emiliaromagna per ben 16 materie, tra le quali norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, governo del territorio, grandi reti di trasporto e di navigazione, valorizzazione dei beni culturali e ambientali promozione e organizzazione di attività culturali e altre. Il finanziamento di queste materie, come nell’impianto generale dell’autonomia differenziata, prevede di fatto la compartecipazione al gettito fiscale maturato nel territorio regionale dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, cioè il famoso “residuo fiscale”, che di fatto aprirà a uno scenario di disuguaglianze ancora più profonde di quelle già esistenti tra Nord e Sud e non solo. Rinnoviamo l’invito al Presidente Bonaccini a fare chiarezza davanti agli elettori e con il suo partito, ufficialmente schierato contro l’autonomia differenziata.

 lettera orginale su.carteinregola.it

 

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