Purtroppo la qualità della discussione politica a destra e nel centro “sinistra”, non ci rassicura sulla qualità dei politici italiani

La violenza di genere è un problema culturale? Sì, ma a dirlo sono proprio esponenti di partiti, come il PD, che hanno concretamente contribuito a devastare il sistema scolastico italiano: la riforma di Renzi è stata certamente la peggiore che la scuola ha finora subito. Tuttavia la questione culturale, che certamente andrebbe affrontata da una classe politica minimamente capace, è una soluzione a medio se non lungo termine, intanto le donne continuano a morire.

Purtroppo, come sempre succede, il caso di cronaca, in particolare quando chi è al Governo ha tutto l’interesse a sviare l’attenzione dalla propria incapacità a risolvere la situazione del Paese, detta l’agenda della discussione politica e mediatica, che in questa “era” politica, è generalmente contorta e surreale.

Le Autorità inquirente e giudiziaria possono intervenire solo a reato avvenuto, a meno che non vogliamo vivere in uno Stato che sia una realizzazione di “1984” di Orwell o una trama di fantascienza come “Minority Report”.

Ci sono tuttavia moltissimi altri casi nei quali nonostante denunce, provvedimenti di divieto di avvicinamento per l’abusante, le donne hanno comunque subito violenze spesso fatali: su questi casi si può lavorare concretamente e a breve termine.

Meloni, ossessionata dal securitarismo, agita la scimitarra dell’aumento delle pene: possono essere un deterrente?

In ultima analisi credo si possa dire che la violenza fisica di genere sia attribuibile ad un problema di gestione della rabbia da parte dell’abusante. Difficile pensare che un inasprimento delle pene sia dissuasivo per chi, in un eccesso di rabbia, agisce con violenza fisica nei confronti della donna abusata. L’unico effetto che ha un inasprimento della pena è quello di escludere dalla vita sociale una persona, certamente socialmente pericolosa, dalla società. Tuttavia, essendo di fatto totalmente disatteso l’aspetto rieducativo e riabilitativo della pena, il problema verosimilmente non si risolve ma si rimanda.

E’ di tutta evidenza che l’inasprimento delle pene non ha una funzione preventiva, aspetto invece estremamente urgente: ma come affrontarlo?

Il reato di stalking e la misura del divieto di avvicinamento: sono certamente due strumenti legislativi che avrebbero, qualora emendati, una reale funzione preventiva. Il reato di stalking andrebbe esteso: lo stalker dovrebbe essere definito tale anche senza la rilevazione di un danno subito dall’abusata. Anche se, fortunatamente, ansia e cambiamenti di abitudini, aspetti sempre ricorrenti in chi subisce questo tipo di abuso, spesso vengono considerati danni concreti, ma la determinazione della sussistenza del danno rimane a discrezionalità del Magistrato.

Anche il divieto di avvicinamento dovrebbe essere riconsiderato e integrato. L’osservanza di questa misura è a discrezione dell’abusante: certo se lo viola incorre in una misura detentiva, ma è di tutta evidenza che la misura detentiva non è di per sé un deterrente. Attualmente l’unica misura che permette un monitoraggio costante dell’abusante è la detenzione ai domiciliari con il “braccialetto” (in realtà è una cavigliera) elettronico, misura che in questi casi viene utilizzata con cautela.

Inoltre il divieto di avvicinamento incentrato sui luoghi (casa, lavoro, parenti) diventa una concreta limitazione della libertà personale della donna abusata, costretta, ai fini della propria incolumità, a frequentare solo quei posti, ad una costante attenzione negli spostamenti, nella speranza che l’abusante rispetti la misura cautelare.

La soluzione ci sarebbe: una cavigliera obbligatoria per l’abusante soggetto alla restrizione del divieto di avvicinamento e un dispositivo affidato alla donna abusata (qualora lo accetti), con rilevazione GPS, interconnessi tra loro in rete. Un monitoraggio che metta in allarme le FFOO nel momento in cui la distanza di 500 metri viene violata. Che alzi il livello di allarme qualora questa distanza diminuisca entro certi parametri, in modo che, data situazione di pericolo per la donna abusata, venga attivata la segnalazione ad una pattuglia in zona.

Questa sarebbe una misura preventiva che non limita la libertà personale della donna abusata e che sarebbe largamente applicabile perché non fortemente coercitiva per l’abusante.

Inoltre la legge non prevede un monitoraggio psicologico/psichiatrico dell’abusante: né come misura cautelare, né come facente parte della pena. La situazione psicologica/psichiatrica è affidata alla valutazione dell’Autorità inquirente. L’interruzione della misura cautelare è quindi a discrezione del Magistrato. Una volta che l’abusante sia eventualmente condannato ad una pena detentiva, entrerà in un ambiente criminogeno, qual è attualmente il carcere, uscendone verosimilmente peggiore di come è entrato.

In ultimo, ma non per importanza, occorrerebbe una diffusissima e costante campagna mediatica, lo voglio dire con molta chiarezza, anche sui canali Mediaset, per sensibilizzare le donne su quelli che sono i segnali, i comportamenti, che possono essere campanelli d’allarme per eventuali future manifestazioni di violenza da parte di coloro che frequentano.