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Legambiente: “in Basilicata si istituisca l’area marina protetta di Maratea”. Ad oggi la regione è ferma al 19% e non ha ancora istituito riserve marine. La richiesta della associazione è di raggiungere il 30% di territorio tutelato entro il 2030

I dati di Legambiente relativi alla regione evidenziano infatti come le aree protette interessino il 19,27% del territorio, dal quale sono escluse del tutto le aree marittime. Attualmente, l’81,5% delle aree protette già istituite interessa parchi nazionali e riserve statali, il 18,5% parchi e riserve regionali e sebbene il 5,93% del mare sia stato individuato come parte della rete natura 2000, «la regione non ha una tutela efficace del suo mare e le aree marine protette sono solo argomento nei convegni», dichiarano ancora Nicoletti, Lanorte e Ricciardi. Ciò vale anche per la costa di Maratea, la cui procedura, aperta nel 2019, attende ancora che la regione completi l’iter istitutivo. Per tale motivo, Legambiente ha accolto con favore la volontà della regione Basilicata, emersa dal convegno del 29 agosto intitolato “La sostenibilità dello Jonio Lucano”, tenutosi a Policoro e promosso da Legacoop Basilicata, di promuovere ulteriormente l’ampliamento delle aree marine protette del Mediterraneo. Scopo è far sì che, attraverso l’istituzione di nuove aree protette, anche la Basilicata possa raggiungere l’obiettivo di tutelare entro il 2030 il 30% delle aree marine e terrestri, adempiendo così agli obiettivi climatici e della transizione ecologica posti dalla Commissione europea attraverso il Next generation Ue e stabiliti dalla Strategia europea e nazionale per la biodiversità. A tal proposito, Legambiente oltre a ribadire all’assessore Latronico la proposta di organizzare una conferenza regionale per le aree protette, in modo da poter creare un percorso condiviso tra amministratori, territori e comunità, ha poi attivato un cantiere per giungere alla definitiva istituzione dell’area marina protetta di Maratea, progettando di proporne altri per le dune e il mare della costa Jonica, per i Calanchi e per il fiume Ofanto.

estratto da lanuovaecologia.it

 

Crisi climatica, gli anziani sono tra i soggetti più vulnerabili alle ondate di calore

La crisi climatica viene spesso rappresentata come un problema soprattutto per le generazioni più giovani, che in futuro – senza una rapida riduzione delle emissioni legate al consumo di combustibili fossili – si troveranno a fare i conti con temperature sempre più torride ed eventi meteo estremi. In questo inquadramento del problema le generazioni più anziane, al contrario, mostrano riluttanza a sostenere politiche pubbliche orientate al futuro, di cui potranno dunque beneficiare solo parzialmente. In realtà la crisi climatica è in corso già adesso, e sempre più studi scientifici mostrano che gli anziani rientrano tra le categorie più esposte agli impatti del riscaldamento globale. Il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici (Cmcc) ha partecipato ad una ricerca recentemente pubblicata su The Gerontologist, dove s’indaga l’intersezione tra la salute degli anziani e i cambiamenti climatici, individuando due tendenze significative: l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle temperature, prefigurando un futuro potenzialmente critico. Lo studio, concentrato nell’area degli Usa, indica infatti una crescente vulnerabilità tra gli individui anziani agli effetti avversi sulla salute fisica e mentale del calore estremo. Lo stress termico aggrava infatti problematiche di salute preesistenti negli anziani, per una maggiore inefficienza nella regolazione della propria temperatura corporea e le sensibilità legate ai farmaci; inoltre gli impatti psicologici, l’isolamento e le difficoltà di movimento aggravano la loro vulnerabilità. «Gli anziani – spiegano gli autori dello studio – correranno sempre più rischi per la salute a causa del calore in futuro, e avremo bisogno di politiche pubbliche per rispondere ai costi sanitari di giornate sempre più torride».

news integrale su greenreport.it

 

L’altra Cernobbio discute su un’altra economia: un altro dei fili conduttori del discorso sociale e politico portato avanti da Sbilanciamoci!

La questione è sintetizzata da Daniele Archibugi: all’aumentare delle opportunità economico-sociali e del potenziale di miglioramento della condizione di vita delle persone si contrappone la totale iniquità con cui sono allocate queste risorse. Questo problema si riflette sul tema dei rapporti lavorativi, laddove alcuni lavorano troppo e altri invece si trovano senza occupazione. Simone D’Alessandro ha identificato due grandi questioni strutturali: le disuguaglianze e la sostenibilità (non solo climatica). L’urgenza che si pone, anche da parte degli scienziati, è di cambiare il sistema economico per garantire una prosperità diffusa al sud e al nord, nel rispetto dell’ambiente. Una trasformazione culturale necessaria per non arrivare al collasso sociale ed eco-climatico e cambiare radicalmente. Lucrezia Fanti, ricercatrice di Sbilanciamoci! ha parlato della campagna Tax the rich, nata dall’idea di intervenire su queste macrotendenze dopo quindici anni di crisi. La proposta alternativa è quella di introdurre la tassazione dei patrimoni sopra al milione di euro allineandosi alla patrimoniale di altri paesi europei, al contempo implementando la progressività della tassazione sui redditi ed eliminando le forme di tassazione separata. Infine, introdurre una vera tassazione delle transazioni finanziarie. Misha Maslennikov di Oxfam Italia ha citato non solo la disuguaglianza economica ma anche di potere. È necessario intervenire su falsi miti e sulle narrazioni che rafforzano lo status quo, come il mito della meritocrazia, che spesso è un concetto usato per giustificare il divario di potere e di accesso al benessere. Il contesto dato è dovuto a scelte economiche politiche precise verso cui serve intervenire. In sintesi, la riflessione collettiva in merito a questi argomenti ha rimarcato quanto serva correggere la disuguaglianza con interventi mirati verso cui spesso persino a livello europeo si è concordi: ad esempio tassare i ricchi con un sistema fiscale progressivo sui redditi e i patrimoni, e con tutte le iniziative che i relatori hanno introdotto basandosi su dati e indicatori di volta in volta forniti da un lavoro di ricerca costante nell’analizzare il panorama economico italiano, europeo, mondiale.
Per avere un sistema fiscale semplice, efficiente e dove l’equità venga rimessa al centro, è necessario prendere la strada verso un’economia che metta al centro ecologia e uguaglianza, per lavorare meno, meglio e tutti. Rivedendo la produzione, il consumo e il lavoro per far fronte alla crisi ecologica e sociale.

sintesi da ecoinformazioni.com

 

Dall’Africa solo il 3% delle emissioni globali ma continente vittima eventi climatici estremi. Nonostante ciò ha ricevuto solo il 12% dei finanziamenti internazionali necessari per far fronte agli impatti del climate change

Come finanziare le priorità ambientali dell’Africa, sarà al centro del dibattito al primo vertice sul clima del continente la prossima settimana mentre gli attivisti si oppongono ai piani di espansione dei cosiddetti mercati del carbonio. I paesi africani contribuiscono solo il 3% alle emissioni globali di carbonio ma sono sempre più esposti all’impatto di condizioni meteorologiche estreme causate dai cambiamenti climatici, inclusa la peggiore siccità degli ultimi decenni nel Corno d’Africa. Un rapporto diffuso due giorni fa dal Fondo Monetario Internazionale sottolinea che l’impatto del cambiamento climatico aggrava la tensione negli Stati “fragili” e colpiti dalla guerra, con la conseguenza di un aumento del 10% dei tassi di mortalità e una contrazione significativa del Pil. Sono 39 gli Stati categorizzati come “fragili” dalla Banca Mondiale, ben 21 sono in Africa. Tra questi Mali, Repubblica Centrafricana, Sudan, Somalia. Dal rapporto dell’FMI emerge che gli eventi climatici estremi non scatenano le guerre ma aggravano in questi paesi le tensioni già esistenti, oltre a carestia e povertà.

articolo integrale su pagineesteri.it

 

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