Incoraggiati dalla solidarietà dei sindacati internazionali e ricordando l’eredità rivoluzionaria di Jean-Jacque Dessalines, gli scioperanti haitiani rimangono imperterriti davanti alla violenza dello stato e alle concessioni al ribasso.

Di Frances Madeson – Questo articolo è stato pubblicato originariamente su therealnews.com il 4 marzo 2022. È condiviso qui con autorizzazione secondo licenza Creative Commons (CC BY-NC 4.0).

A meno che non siate completamente nudi mentre leggete questo articolo, è probabile che stiate indossando almeno un indumento confezionato nelle aziende di abbigliamento haitiane di Port-au-Prince, Caracol e Ouanaminthe. Gli slip Hanes o Fruit of the Loom nel cassetto del comò, il classico giubbotto di jeans Levi’s appeso nell’armadio, o quel vestito H&M economico, trendy e con le maniche a sbuffo che sperate di aggiungere al guardaroba primaverile: ognuno di essi, probabilmente, è stato fatto da uomini e donne di Haiti che guadagnano appena il minimo salariale.

In cambio di una giornata lavorativa di otto ore, circa 57 mila lavoratori tessili haitiani continuano a guadagnare quasi tre centesimi l’ora in meno rispetto alla media dei detenuti lavoratori negli Stati Uniti, di soli 63 centesimi l’ora.

Dal 2019 fino a solo due settimane fa, quando il governo ha annunciato un aumento modesto e insoddisfacente per placare lo spirito combattivo dei lavoratori, il salario minimo haitiano per i lavoratori tessili che producono abbigliamento per l’esportazione è stato di 500 gourde al giorno (4,32 euro). I conti sono ancora più crudeli del previsto: in cambio di una giornata lavorativa di otto ore, circa 57 mila lavoratori tessili haitiani hanno guadagnato quasi tre centesimi l’ora in meno rispetto alla media dei detenuti lavoratori negli Stati Uniti, di soli 63 centesimi l’ora.

Con i loro prodotti venduti nei principali punti vendita come Walmart, Target, Zara e The Gap, 62 marchi americani hanno abbondantemente guadagnato per anni pagando salari miserabili e invivibili ai lavoratori haitiani. Ma il 9 e 10 febbraio, troppo poveri perfino per permettersi l’equipaggiamento da sciopero come t-shirt coordinate o cartelloni stampati, i lavoratori sono usciti in massa dalle fabbriche per il primo di diversi scioperi strategici. Riversandosi nelle strade, hanno alzato la voce per protestare contro lo sfruttamento quotidiano e la miseria che devono sopportare. Il loro unico simbolo di protesta è consistito in semplici ramoscelli tenuti sollevati come affermazione del loro diritto a una porzione delle ricchezze di questa Terra nell’arco della loro vita. Poesia in movimento; non sono da soli.

Il loro unico simbolo di protesta è consistito in semplici ramoscelli tenuti sollevati come affermazione del loro diritto a una porzione delle ricchezze di questa Terra nell’arco della loro vita.

A nome dei 50 milioni di membri in tutto il mondo Atle Høie, Segretario generale di IndustriALL Global Union di Ginevra, ha scritto al primo ministro e presidente ad interim Ariel Henry sollecitando un’agevolazione salariale per quei lavoratori il cui reddito si è contratto a causa dell’inflazione. Da allora, l’ondata di sostegno agli scioperanti haitiani ha continuato a ingrossarsi. Workers United, il sindacato successore dell’International Ladies’ Garment Workers’ Union in Nord America, ha rilasciato una dichiarazione di solidarietà. Il Segretario Tesoriere Edgar Romney ha ammonito le aziende americane per il loro silenzio quando i loro lavoratori sono stati aggrediti dalla polizia di stato, e ha ricordato che le loro azioni non sono invisibili:

Il mondo sta guardando e ammonirà le aziende che traggono profitto sulle spalle dei nostri fratelli e sorelle haitiani. È tempo che le multinazionali, specialmente le nostre aziende americane che importano indumenti fabbricati ad Haiti, si facciano avanti e paghino i lavoratori ciò che meritano.

Il vostro marchio è a rischio.

LO SFRUTTAMENTO DEI LAVORATORI È ASSICURATO

Ose Pierre è un rappresentante del Solidarity Center, la più grande organizzazione internazionale per i diritti dei lavoratori con sede negli Stati Uniti che lavora per sostenere il movimento operaio di Haiti; secondo lui, un tipico lavoratore tessile haitiano inizia la sua giornata lavorativa alle 6:30. Poiché è troppo presto per cucinare e mangiare prima di uscire di casa, molti lavoratori comprano la colazione fuori: è un pasto che ad Haiti viene chiamato “pranzo pre-lavoro”. Include cibo e bevande e costa circa 100 gourde, ha dichiarato Pierre a The Real News. Comprano anche il loro “manje midi” o pasto di mezzogiorno (un piatto di riso, fagioli e carne) per circa 200 gourde. Il trasporto, a seconda di dove vivono, potrebbe costare fino a 100 gourde. Con quattro quinti dei loro guadagni giornalieri consumati dalle necessità, l’unico modo per tirare avanti è offrirsi volontari per “i premi di produzione.”

Anche se l’espressione potrebbe suonare innocua, per premi di produzione s’intende un sistema di bonus discrezionale basato sulla produzione aggiuntiva, in cui una linea di una decina di lavoratori stringe accordi secondari con i propri padroni. «Un importatore decide: ‘Beh, avreste fatto cinquemila pezzi, ma se ne fate settemila potrete avere qualche soldo in più’», ha spiegato Pierre. «Gli operai devono lavorare ancora più sodo e velocemente.»

A parte i princìpi legali, per decenni ai lavoratori tessili è stato negato tutto ciò che si avvicina allo standard di equità.

Si può far risalire quasi ogni difficoltà economica nella moderna Haiti al debito senza precedenti affibbiato al paese nel 1825 per le riparazioni dopo la vittoria sulla Francia nella guerra rivoluzionaria, in cambio del riconoscimento della sua indipendenza e sovranità; il debito corrisponderebbe ora a meno di 23 miliardi di euro ed è stato pagato nell’arco di 122 anni fino al 1947. Di conseguenza, lo sviluppo di Haiti è stato strangolato e dilaniato a ogni occasione; una disuguaglianza strutturale di potere che ha portato a una dipendenza neocoloniale dagli investimenti stranieri e che si è rivelata impossibile da superare per qualsiasi governo haitiano. Tutti gli sforzi dell’ex primo ministro Jean-Bertrand Aristide per aumentare significativamente i salari (nel 1991, 1994 e 2004) hanno avuto come risposta colpi di stato, sanzioni, calunnie, o tutto insieme.

Allo stesso modo, molte delle difficoltà politiche che Haiti deve affrontare oggi, come l’attuale instabilità e insicurezza a seguito dell’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moise nel luglio scorso, possono essere ricondotte al Core Group. Imposto ad Haiti dalle Nazioni Unite nel 2004 dopo il colpo di stato contro Aristide sostenuto dagli Stati Uniti, il Core Group è un organismo di supervisione multinazionale con la fumosa missione di “indirizzare il processo elettorale”. La sua creazione era stata proposta in origine come una misura di sostegno transitoria di sei mesi, ma persiste ancora oggi.

I sostenitori del Montana Accord, una proposta della società civile presentata da una coalizione di 70 organizzazioni politiche e gruppi sociali, vogliono pianificare una transizione di potere per stabilizzare il Paese e muoversi verso elezioni libere ed eque entro il 2023 senza interferenze esterne. Al contrario, il presidente e primo ministro ad interim Ariel Henry, che risponde al Core Group, ha spinto per delle elezioni più avanti nel 2022, che presumibilmente saranno di nuovo “indirizzate” al servizio degli interessi delle forze oligarchiche interne ad Haiti e delle forze del capitale internazionale a spese di un’altra generazione di lavoratori haitiani.

LAVORATORI TESSILI COSTRETTI A SCIOPERARE, AFFRONTANO GAS LACRIMOGENI E PROIETTILI VERI

In relazione a questi vincoli sistemici, la costituzione haitiana (Articolo 35: Libertà di lavoro) garantisce esplicitamente ai lavoratori alcuni diritti e doveri, tra i quali: il diritto a un salario equo, riposo, vacanze e bonus, sindacati e sciopero. Ma a parte i princìpi legali, ai lavoratori tessili è stato negato per decenni tutto ciò che si avvicina allo standard di equità.

«Il salario minimo di Haiti è il più basso della regione a causa di anni di repressione violenta da parte di forze esterne e interne. Con un parlamento quasi inesistente, un primo ministro ad interim e nessun presidente, le masse si stanno facendo giustizia da sole per impostare un percorso verso un salario di sussistenza.»

MADAME BOUKMAN-JUSTICE 4 HAITI

In teoria, il Superior Council of Wages (SCW) è responsabile dell’analisi dei fattori socioeconomici e di garantire che il salario minimo rifletta i cambiamenti del costo della vita a intervalli di segnalazione pianificati. Inoltre, qualsiasi aumento dell’inflazione superiore al 10% innesca un requisito per l’azione ai sensi dell’articolo 137 del codice del lavoro haitiano. Ma l’SCW non ha adempiuto al suo incarico; così, il 17 gennaio, notando un tasso di inflazione del 22,8%, una coalizione di nove sindacati rappresentanti o affiliati ai lavoratori tessili di Haiti ha inviato una lettera aperta a Henry rivendicando un aumento dei salari da 500 gourde (4,32 euro) a 1.500 gourde (12,92 euro) al giorno. Con questo, i sindacati hanno sparato i loro colpi di apertura in quello che Mamyrah Prosper, coordinatrice internazionale della Pan-African Solidarity Network, ha definito una “Lotta diversa per le 1.500” nel suo articolo del 2 marzo per Black Agenda Report.

Ignorati da Henry, a febbraio i sindacati si sono uniti ai lavoratori per una serie di scioperi strategici di più giorni per forzare la questione. Gli spettatori interessati hanno potuto seguire il susseguirsi degli eventi sull’account Twitter Madame Boukman-Justice 4 Haiti dopo che lei aveva iniziato a scrivere di Valdor Apparel, una società con sede in Florida che ha chiuso la sua fabbrica di Haiti il 31 dicembre, dileguandosi con i salari dei lavoratori. Madame Boukman ha dichiarato a The Real News che, basandosi sulle risposte positive internazionali ai suoi tweet, sta vedendo un crescente sostegno al movimento dei lavoratori dentro e fuori Haiti.

«È un movimento che può trasferire un potere immenso dalla piccola ma potente élite economica alle masse povere», ha osservato. «Il salario minimo di Haiti è il più basso della regione a causa di anni di repressione violenta da parte di forze esterne e interne. Con un parlamento quasi inesistente, un primo ministro provvisorio e nessun presidente, le masse si stanno facendo giustizia da sole per impostare un percorso verso un salario di sussistenza.»

Le loro azioni hanno iniziato a fare la differenza. I colloqui tra il governo, gli industriali stranieri e i sindacati hanno portato a diversi progressi e concessioni graduali sui salari e sui sostegni proposti, come il trasporto al lavoro. Ma finora i negoziati non sono stati all’altezza della richiesta primaria degli scioperanti: il 21 febbraio, l’SCW ha agito per aumentare il salario minimo in tutti i settori e il salario più alto, applicabile ai lavoratori tessili che fanno parte della tranche import/export, è ora di 770 gourde, che ammonta alla metà circa di quanto richiesto dai lavoratori tessili.

«Poliziotti mascherati senza alcun distintivo sono arrivati in auto bianche con targhe generiche… e hanno sparato a lavoratori pacifici e a tre giornalisti.»

OSE PIERRE, RAPPRESENTANTE DEL SOLIDARITY CENTER, LA PIÙ GRANDE ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE STATUNITENSE PER I DIRITTI DEI LAVORATORI

Gli scioperanti sono tornati di nuovo in piazza il 23 febbraio, ma questa volta si sono scontrati con una violenza di stato letale, pensata per forzarli a tornare alle loro macchine da cucire a qualunque costo. Pierre sospetta che la violenza della polizia abbia avuto l’effetto opposto e abbia rafforzato la determinazione degli scioperanti, anche se i video dell’assalto della polizia contro le proteste pacifiche sono certamente scioccanti.

«Gli operai stavano protestando: dai loro cellulari risuonava musica haitiana e ballavano, e avevano volantini con scritto ciò che vogliono, le loro richieste», ha spiegato. «Poi è arrivata la polizia nazionale haitiana. Hanno usato gas lacrimogeni.»

Oltre a soffocare con il gas, alcuni dei lavoratori sono stati bruciati dalle bombole che li hanno colpiti al corpo e ai piedi. Secondo quanto riferito, un’altra forza di polizia sconosciuta è arrivata in mezzo al caos e ha sparato tra la folla.

«Poliziotti mascherati senza alcun distintivo sono arrivati in auto bianche con targhe generiche… e hanno sparato a lavoratori pacifici e a tre giornalisti», ha dichiarato Pierre. Il fotogiornalista Maxihen Lazarre è stato ucciso e altri due giornalisti sono rimasti feriti. Secondo i giornali locali, un altro lavoratore è stato colpito al piede, tre persone sono state ricoverate in ospedale e molti altri sono stati feriti. Le fabbriche sono state poi chiuse, ufficialmente per le celebrazioni del Carnevale, ma più probabilmente per consentire all’indignazione dei lavoratori di dissiparsi, come il gas tossico sparato dalla polizia.

«La gente mi chiede se sono al sicuro ad Haiti e io dico: “Non sono al sicuro, ma sono tranquillo”», ha detto Pierre.

UNA STORIA DI IRRESPONSABILITÀ PERVADE GLI “INVESTIMENTI” DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE A HAITI

Sandra Wisner, avvocato senior dell’Institute for Justice & Democracy in Haiti (IJDH), ritiene che sia giunto il momento che la comunità internazionale riconosca il proprio ruolo nella creazione sul campo di queste condizioni. «Deve guardarsi allo specchio», ha dichiarato a The Real News, «e focalizzarsi su un approccio a lungo termine basato sui diritti per lo sviluppo del Paese, invece di dare priorità agli interessi stranieri.»

Il Caracol Industrial Park, dove è iniziata la recente ondata di azioni dei lavoratori tessili, è un buon esempio.

Nel 2010 dopo il devastante terremoto, attori stranieri quali gli Stati Uniti e la Banca Interamericana di Sviluppo hanno deciso di individuare un nuovo centro tessile nel distretto nord-est, lontano dall’epicentro. Ma Wisner ha spiegato che, durante la costruzione nel luogo prestabilito, gli haitiani sono stati espropriati di preziose terre fertili, sostituendo l’agricoltura di sussistenza con un’industria tessile che sfrutta manodopera a basso costo. Una dozzina di anni dopo, centinaia di agricoltori e le loro famiglie sono ancora in attesa del risarcimento per il sequestro delle loro terre e per la perdita dei loro mezzi di sussistenza.

«Erano previsti 65 mila nuovi posti di lavoro nel Paese», ha detto Wisner riguardo al piano originale per il centro tessile. «Ma fino a due anni fa sono ne stati creati solamente 14 mila circa. Quando la comunità internazionale entra nel Paese e decide come andrà lo sviluppo a prescindere dalle ripercussioni per gli haitiani, ci deve essere una presa di responsabilità.»

«Dov’è la presa di responsabilità?» chiede.

SANDRA WISNER, AVVOCATO SENIOR DELL’Institute for Justice & Democracy in Haiti

Traduzione dall’inglese di Enrica Marchi. Revisione di Mariasole Cailotto.

L’articolo originale può essere letto qui