Questo articolo segue l’incontro promosso dalla redazione locale di Pressenza, tenutosi alla Biblioteca Centrale della Regione Siciliana l’ultimo dello scorso mese, per la presentazione della Rivista OOA- Osservatorio Outsider Art, durante la quale la storica dell’arte Eva Di Stefano, ideatrice e responsabile della rivista, ha tenuto una lectio magistralis sull’Art Brut

Durante l’esposizione, accompagnata dalle immagini, la Di Stefano nella sua lectio magistralis ha mostrato l’arte dei “diversi”, di donne e uomini esclusi dalla società, spesso colpiti da handicap sia psicologici che neurologici, che attraverso l’espressione artistica mostrano una parte molto profonda di sé stessi e lo fanno mediante la rappresentazione di un universo simbolico, realizzato attraverso segni e figure dispiegati nello spazio della tela, del foglio di carta, sui muri, ma anche plasmando la materia più diversa in forme scultorie dal forte impatto visivo, oppure lavorando la dura pietra con libertà espressiva autentica.  Ne viene fuori un “mondo” inconscio che si manifesta attraverso figure  umane e forme astratte, segni circolari o lineari, che sono espressioni di un’arte spontanea, di un linguaggio nuovo, a volte ossessivo, lontano dalle “correnti” artistiche riconosciute e codificate.

E’ grazie ad appassionati come Jean Dubuffet, Bruno Decharme ed, in Sicilia, Eva Di Stefano che è possibile oggi annoverare tra le correnti artistiche del XX secolo l’Art Brut o Outsider Art, uno spaccato artistico che parla di disagio, angoscia, paura.

Il pioniere dell’Art Brut è stato Jean Dubuffet, pittore francese, che negli anni ’70 ha fondato un museo a Losanna dedicato interamente all’arte dei “diversi”. Dubuffet, infatti,  già dagli anni ’50 inizia a interessarsi alle creazioni dei pazienti internati nei manicomi svizzeri: autodidatti, senza alcuna formazione artistica e spesso neanche culturale,  donne e uomini che attraverso la loro produzioni riescono a sopportare la propria condizione di isolamento. Alcune/i di loro rappresentano un mondo riconoscibile in cui si identificano, mentre altre/i realizzano composizioni con minuziosa sapienza attraverso elementi decorativi, ma anche numeri o lettere ed altri immagini di fantasia, disposti con senso miniaturistico. Si tratta di opere ottenute mediante i materiali più disparati e di riciclo: lenzuola sciupate, tovaglie di carta, inchiostri ricavati dalla macerazione di elementi vegetali, comunque sia tutte creazioni realizzate con materie povere e a portata di mano.

Oggi, attraverso la donazione del cineasta Bruno Decharme al Centro Pompidou, l’Art Brut entra a pieno titolo nell’Arte del XX secolo, così apre ai lettori l’editoriale di Eva Di Stefano nel numero 22 della rivista dell’Osservatorio che è stata presentata il 30 novembre.

Una delle figure più affascinanti di questo numero dell’OOA risulta essere, sicuramente, Nabila nel racconto di Silvana Crescini. Nabila, una donna egiziana, internata nell’ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere, ha la capacità di leggere i fondi del caffè, una pratica orientale ed africana che aveva imparato dalla madre.

Su sollecitazione della Crescini all’interno del laboratorio di pittura realizzato nell’Ospedale, Nabila lavora con concentrazione, nel profondo silenzio, estraniandosi dalla realtà che la circonda rappresentando il suo mondo interiore come un’esplosione di figure, coloratissime, accese e brillanti incastrate tra loro. Le sue opere, molto apprezzate dalla critica, sono state esposte in diverse mostre d’arte sia in Italia che in Europa.