Già con Napolitano e Mattarella l’assetto istituzionale ha subìto una torsione presidenzialista. La nomina di Monti da parte di Napolitano, la rielezione dello stesso Napolitano, gli interventi diretti sulla composizione del governo gialloverde e poi la nomina di Draghi da parte di Mattarella, hanno già modificato i pesi della Repubblica. Ampliando enormemente i poteri del presidente e riducendo quelli del Parlamento.
In questo caso però avremmo un passaggio negativo ulteriore. Draghi, già al momento della sua elezione, assumerebbe quel ruolo di tutore degli indirizzi politici e della composizione del governo che i predecessori hanno svolto in situazioni di emergenza.
Con il PNRR l’Italia ha accettato, in cambio di aiuti e prestiti, di vincolare le proprie scelte politiche ed economiche a precisi condizionamenti ed impegni, le famigerate riforme liberiste che da trent’anni costituiscono la costituzione reale della Unione Europea. L’attuale governo ha già cominciato ad ottemperare a questi obblighi, con la riforma della giustizia e quella degli appalti e dei servizi pubblici, con lo sblocco dei licenziamenti e il restauro della già citata legge Fornero. La direzione di marcia dei provvedimenti è chiara: liberalizzazioni, privatizzazioni, flessibilità del lavoro. A questo si aggiunge il ripristino dell’austerità di bilancio, cioè dei tagli alla spesa pubblica, a partire dai 2023.
I processi autoritari si affermano e consolidano sempre in un vuoto di democrazia e partecipazione.
È ovvio che la forza di Draghi è anche determinata da sistema di partiti dove trent’anni di alternanze in nome del meno peggio, hanno selezionato a rovescio la peggiore delle classi politiche. Che si scontra duramente su questioni d’immagine, ma poi condivide tutte le scelte di fondo di cui Draghi è interprete. Cosa che fa sì che la metà dell’elettorato abbia rinunciato a partecipare ad un voto che ritiene inutile.
Siamo giunti al punto che un personaggio, sintesi della degenerazione politico-istituzionale, cacciato dal parlamento in base alla legge Severino, oggi Berlusconi si candida a presidente della Repubblica e tutti i media e le forze politiche non urlano allo scandalo, ciò che invece noi facciamo.
La nostra democrazia da tempo ed in misura crescente è stata sottomessa, sul terreno pratico come su quello ideologico, al mercato, al profitto, alla competizione individualistica. L’articolo uno della Costituzione non è stato modificato, ma la realtà è che l’Italia è oggi una Repubblica fondata sull’impresa e non sul lavoro.
La società italiana sta regredendo da decenni verso una forma sempre più ingiusta e selvaggia di capitalismo. La pandemia invece che creare le basi per il cambiamento ha accentuato tale regressione. Ora con Draghi presidente il liberismo economico, sociale e culturale si consoliderebbe al massimo livello istituzionale. Impedire questo consolidamento sarebbe un primo passo per riaffermare quei principi della Costituzione che da tempo sono negati nel nome del profitto e dell’austerità.
No a Draghi Presidente della Repubblica!