Nell’epoca delle pandemie e delle crisi climatiche, è necessario rifiutare le logiche dell’insularismo: abbiamo bisogno di un’utopia che funzioni per tutti.

Come mai molte visioni utopiche hanno l’aspetto di un’isola? Dall’antico mito greco dell’isola di Atlantide all’adattamento moderno di Francis Bacon (Nuova Atlantide), dall’Utopia di Thomas More all’Isola di Aldous Huxley, fino alle più recenti fantasie dei miliardari della Silicon Valley di costruire delle isole galleggianti al fine di risolvere alcuni dei problemi più pressanti al mondo.

Il pensiero utopico occidentale nutre un’ossessione per le isole. Il fenomeno è spiegabile attraverso varie prospettive. È importante sottolineare, ad esempio, come l’immaginazione utopica europea si sia formata con l’avvento del colonialismo e dell’imperialismo europei, per mezzo della dicotomia tra Europa “continentale” e “isole” lontane, “scoperte” durante quel periodo storico.

Ma vi è un ulteriore, interessante aspetto da considerare: l’influenza delle epidemie sull’immaginazione utopica occidentale.

Utopie

In un recente articolo apparso sul quotidiano tedesco «Süddeutsche Zeitung», Lothar Müller sostiene che molte delle prime opere letterarie di tradizione utopica siano state fortemente influenzate dalla diffusione della peste in Europa, epidemia che uccise il 30-60 percento circa della popolazione europea nel XIV secolo e che continuò a ripetersi fino al XX secolo.

Consideriamo, ad esempio, Daniel Defoe, autore di Robinson Crusoe, una delle utopie insulari più famose del XVIII secolo. Defoe non scrisse soltanto Robinson Crusoe ma anche Diario dell’anno della peste, romanzo storico in cui rievoca lo scoppio della peste, avvenuto a Londra durante la propria infanzia, nel 1655.

In quanto giornalista, Defoe pubblicava regolarmente anche articoli e resoconti sulle epidemie di peste, tra le quali il focolaio di Marsiglia del 1722, chiedendo misure di prevenzione e quarantena. Müller sostiene inoltre che anche l’Utopia di Thomas More e la Nuova Atlantide di Francis Bacon siano state concepite come “baluardi” contro la peste.

Quei visitatori dell’isola utopica di Bacon, Bensalem, che avevano contratto una malattia venivano, infatti, posti in quarantena fino alla loro guarigione.

Insularismo

In seguito allo scoppio di Covid-19, in molti hanno suggerito l’ipotesi che il ventunesimo secolo possa rivelarsi una ulteriore epoca dominata dalle epidemie – non ultimo per via dell’influenza dei cambiamenti climatici.

In un articolo sulla rivista «Time», Justin Worland si domanda: «Quali agenti patogeni, rimasti sepolti per millenni, vengono rilasciati nell’atmosfera con lo scioglimento del permafrost artico? È possibile combatterli? Quali le conseguenze sulla psiche umana comporterà la perdita di intere comunità, paesi e stili di vita? Fin dove si spingeranno le zanzare vettrici di malattie, attualmente isolate ai tropici, quando il loro raggio d’azione si sarà spostato?»

In circostanze simili, è probabile che il sogno insulare torni alla ribalta. Ascolteremo tale retorica provenire non soltanto dalla Destra, la quale abbraccia da lungo tempo la politica “della scialuppa di salvataggio armata” e della militarizzazione dei confini, attraverso la criminalizzazione della migrazione e la mobilitazione di una retorica razzista e nazionalista.

I recenti episodi avvenuti al confine con la Grecia sono soltanto una delle manifestazioni di questa logica: polizia e milizie fasciste che danno la caccia e non esitano a sparare ai rifugiati (molti dei quali in fuga da conflitti legati a questioni climatiche e per i quali non detengono, quindi, alcuna responsabilità), spalleggiati da una Commissione europea che ostenta la propria proposta di un Green Deal.

Se non usiamo cautela, tale logica insulare si farà strada anche nel linguaggio della Sinistra, camuffata da retorica del “radicamento”, della “comunità” e del “locale”. Questa concezione escapista dell’utopismo, basata sulla volontà di sottrarsi da una società malsana e insostenibile piuttosto che sul tentativo di cambiare quest’ultima, non è solo moralmente discutibile, ma è anche, con ogni probabilità, destinata all’insuccesso.

Alienazione

Non vi è certamente nulla di sbagliato nel legame e nel radicamento in un dato luogo.

Tuttavia, ecovillaggi, comuni, gruppi politici e movimenti dovrebbero vigilare e respingere un linguaggio che giustifichi l’esistenza di forti barriere, fisiche o di altro tipo. Poiché se la Storia ci ha mostrato qualcosa, è proprio come, in definitiva, l’insularismo non sia altro che un’illusione.

Lo scrittore utopista Ernst Callenbach lo riconosce nella sua opera Ecotopia. Il romanzo del nostro futuro, in cui descrive una comunità ecologica utopica. Gli «ecotopi» del libro di Callenbach hanno compiuto grandi progressi, ma sono impotenti di fronte all’inquinamento dei loro stati vicini.

È necessario riconoscere l’esistenza di una interconnessione tra ecosistemi ed esseri umani, indipendentemente dai tentativi di separazione e da quanto energici questi possano essere. Il ripetuto fallimento delle comuni e dei progetti utopici di tradizione anarchico-utopica dimostra inoltre che è possibile fuggire da un determinato luogo o società, ma che è molto più difficile, e talvolta impossibile, sfuggire, invece, agli atteggiamenti cui siamo stati educati.

Difficilmente l’alienazione può essere superata per mezzo della separazione.

Pertanto, nel progettare visioni future in un’epoca caratterizzata, probabilmente, dalla crisi climatica e dalle epidemie, evitiamo il ricorso al linguaggio dell’insularismo, nonostante il profondo attecchimento di quest’ultimo nella tradizione utopica occidentale.

Solidarietà

Abbiamo bisogno di una visione che funzioni per tutti, e non soltanto per le nostre comunità. La buona notizia è che lo stesso processo di costruzione di un mondo solidale, piuttosto che insulare, si rivelerebbe, con tutta probabilità, un rimedio molto efficace anche contro un ulteriore tipo di epidemia che sembra aver accompagnato l’avvento del capitalismo neoliberista: la crisi della salute mentale.

Il filosofo Rupert Read la definisce una «meravigliosa coincidenza»: «È una meravigliosa coincidenza che quasi tutto ciò che dovremmo fare per fronteggiare l’emergenza climatica ed ecologica coincida esattamente con ciò che dovremmo fare per migliorare le nostre vite e incrementare i nostri mezzi di sussistenza, per affrancarci dalla triste condizione in cui ci troviamo attualmente e dimostrata dall’enorme incremento della malattia mentale nelle ultime due generazioni».

Traduzione dall’inglese di Lavinia Messina