“La gente per strada dice: ‘Purchè non ci sia la guerra…’. Quello che vogliono è pace e stabilità e per questo sembrano disposti a riconfermare il presidente per altri cinque anni”. Padre Dario Dozio, della Società delle missioni africane (Sma), parla con la MISNA da Abidjan, in Costa d’Avorio, paese in cui domenica oltre 6 milioni e 300 mila persone saranno chiamate alle urne per le  presidenziali.

Si tratta del primo voto dopo quello del 2010, che fu seguito da un conflitto tra i sostenitori dell’allora presidente uscente, Laurent Gbagbo e il vincitore decretato delle urne, Alassane Ouattara: i morti furono oltre 3.000. Cinque anni dopo, Ouattara resta largamente favorito sui suoi sette sfidanti, tra cui spiccano Pascal Affi N’Guessan, che guida il partito di Gbagbo (Fronte popolare ivoriano, o Fpi) mentre il leader è sotto processo all’Aia e Charles Konan Banny, ex premer che con altri delusi da Ouattara ha fondato la Coalizione nazionale per il cambiamento (Cnc).

“La popolazione non si è appassionata alla campagna elettorale, la situazione è diversa da cinque anni fa: in città la situazione è tranquilla, anche se altrove ci sono stati disordini, ma c’è qualche paura visto quel che è successo nel 2010”, spiega ancora padre Dozio. “Il paese deve tornare unito: la gente è ancora divisa, tanti hanno sofferto e molte famiglie ancora non rientrano nel paese dal Ghana o dalla Liberia, perché hanno timore”, continua il missionario, secondo cui “di pace si è parlato molto, ma le ferite interiori restano”.

Ouattara però ha dalla sua parte i dati economici: secondo il Fondo monetario internazionale, il prodotto interno lordo crescerà dell’8,4% sia quest’anno che il prossimo, ma le opposizioni – in particolare Banny, che come il presidente ha una formazione da economista – rimproverano a Ouattara di non aver saputo ridistribuire i frutti di questa crescita.

Ad essere criticata è anche la gestione delle questioni lasciate aperte dal conflitto: oltre 10.000 armi da fuoco in mano alle vecchie milizie sono state raccolte o sequestrate, ma non è chiaro quante ne restino in circolazione. I processi condotti contro i fedelissimi di Gbagbo, inoltre sono stati criticati da una parte dell’opinione pubblica, in quanto considerati un esempio di “giustizia dei vincitori”.

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