Le agenzie di rating, l’OCSE e la Banca Mondiale continuano a prevedere, e forse anche indurre, un peggioramento nell’economia mondiale, sollecitando ultriori misure di austerità, tagli, privatizzazioni e serie di Quantitative Easing, (QE, alleggerimento quantitativo: aumento della quantità di danaro effettuato rendendolo disponibile alle banche non fisicamente ma ettronicamente).

L’Unione Europea pretende dalla Grecia colpita da un altissimo tasso di disoccupazione l’aumento delle ore lavorative settimanale (!?), mentre i pacchetti di salvataggio per le banche scompaiono nei buchi neri dei paradisi fiscali.

Il cambiamento climatico è precursore di disastri, ma si accusano i cinesi di scaricare sull’Europa pannelli solari di poco prezzo e di far aumentare la propria “impronta emissiva” (Carbon Footprint), e intanto esternalizziamo in Cina le nostre produzioni industriali, e allo stesso tempo pretendiamo che salvino l’economia mondiale.

Ci sono molte e variegate alternative economiche molto più equilibrate, ma vengono scartate a priori.

Non tutto è come sembra.

La cultura della finanza globale è oggi quella del consumismo (“Compro dunque sono”), della produzione di massa e della crescita economica seguita da periodi di recessione durante i quali le compagnie più forti rilevano quelle più deboli o le obbligano a chiudere, in un processo di concentrazione progressiva del quale non si è mai visto l’eguale nella storia dell’umanità.

Rapidi profitti basati sulla speculazione piuttosto che su investimenti sul lungo termine creano un senso di instabilità e incertezza, per cui solo possedendo una grande quantità di danaro (mai abbastanza, in realtà), può proteggere l’immagine del futuro di chi fa parte di questo sistema.

In questo modo, ad avere peso nella scala dei valori della società non è il processo creativo della produzione, ma il danaro, una convenzione senza significato.

Le relazioni umane sono segnate dall’implacabile dogma del maggior valore dato ai vantaggi dell’individualismo, della competizione e del successo.

Il vuoto esistenziale viene riempito dal progressivo sviluppo dell’industria dell’intrattenimento.

I sensi sono accarezzati da immagini, musica, e la possibilità di vivere per interposta persona le vite di eroi ed eroine, celebrità e vittime di atrocità, principesse e assassini, il tutto dalla comodità del nostro soggiorno, e intanto assorbiamo acriticamente i valori di questo sistema pervasivo.

Talvolta, però, qualcosa sembra non avere senso, e ci poniamo delle domande: “Donna si suicida lanciandosi da ristorante sul tetto diventato il luogo preferito per i suicidi dei lavoratori della City”. Quanti sono?

Tre, dal 2007 al 2012. Tutti affermati membri del settore finanziario, con storie diverse ma che immediatamente fanno tornare alla mente i suicidi di massa degli agenti di borsa nel 1930.

Stando a Macleans, a Wall Street nel 2008 ci sono stati sei suicidi collegati alla borsa valori.

Secondo varie fonti, i morti nel 1930 furono circa 23.000.

Si tratta di una delle immagini di Wall Street durante la crisi più profondamente radicate nella memoria: un disperato agente di borsa in piedi sul davanzale di una finestra.

Durante il salvataggio delle banche nello scorso settembre, i dimostranti di fronte alla borsa di New York portavano cartelli su cui era scritto: “Saltate str***i.

Eppure, è interessante notare come l’economista americano John Galbraith (1) ricordi nel suo libro The Great Crash (La grande crisi), che statisticamente la percentuale di suicidi a New York nei mesi della crisi del 1930 non era affatto aumentata.

E nemmeno c’erano stati molti casi di gente di Wall Street che si lanciava nel vuoto.

Tuttavia, dal convincimento popolare che gli speculatori erano predisposti all’auto-distruzione in caso di fallimento nacque il “mito dei suicidi”.

“I reportage sui banchieri che si lanciavano nel vuoto erano così numerosi che i marciapiedi cominciarono ad essere considerati poco sicuri” racconta lo storico Charles Geisst nel suo libro Wall Streett: A History.

“Ma nonostante la grande attenzione che queste morti ricevevano, il fenomeno era limitato”.

In realtà, considerato il fatto che al tempo circa 12.000 lavoratori erano licenziati ogni giorno, il tasso di suicidi potrebbe essere stato incrementato proprio dalla disoccupazione.

(BBC)

Entrare nel QE, iniettare danaro nell’economia, salvare le banche, cercando di controllare la conseguente inevitabile inflazione e fallire di nuovo per dare una scossa all’economia.

Perché?

La ricchezza collettiva dei mille britannici più ricchi è aumentata del 30% nel 2010 sull’onda della crisi economica.

In Nuova Zelanda, i 150 più ricchi hanno aumentato la loro ricchezza del 20%.

Indubbiamente, un sistema concepito per concentrare la ricchezza continuerà a farlo, a meno che non si cambino le regole.

Quello che è molto più importante, tuttavia, è che “crescita” non è sinonimo di “benessere”, e a meno che non si mettano in primo piano gli indicatori di valore umani anziché quelli monetari, non saremo in grado di affrontare la vera sofferenza creata da questo sistema.

Il suicidio è sempre molto difficile da capire, tanto più se non si ascoltano le persone.

Aggressioni?

Sommosse?

Violenza domestica?

Razzismo?

Abuso di droghe e alcol?

Bisogna dare la colpa agli individiui, niente a che vedere con la società.

Crisi? Quale crisi?

Le “confraternite” della finanza, del petrolio, dell’industria delle armi e dell’industria farmaceutica (Big Money, Big Oil, Big Arms e Big Pharma) stanno tutte registrando profitti record.

Ma non sono i soli a navigare attraverso la crisi senza grandi problemi.

In effetti, non c’è bisogno di vendere l’anima al diavolo per rimanere economicamente solidi.

Ci sono molti esempi di compagnie e città che, aderendo ad alti principi morali centrati sull’essere umano si organizzano in modo da mantenere stabilità e crescita.

Molti rimangono sorpresi nell’apprendere che i proprietari degli eleganti grandi magazzini John Lewis e relative sussidiarie sono gli stessi lavoratori: un’impresa in cooperativa, o in partecipazione, nella quale gli azionisti sono i dipendenti stessi, che si dividono profitti e bonus.

Certo, anche loro hanno subito i contraccolpi della contrazione, ma la riduzione dei bonus (in media il 18% del salario) è stata solo del 3,5%, per la prima volta in tre anni, senza alcun licenziamento, e anzi con la creazione di 4.400 nuovi posti di lavoro.

La Mondragon Corporation è una federazione di cooperative di lavoratori con sede principale nella regione basca (Spagna).

Fondata nel1956 nella città di Mondragon, è al momento la settima compagnia spagnola per giro d’affari e il primo gruppo industriale nei Paesi Baschi.

Alla fine del 2011 dava lavoro a 83.869 persone in 256 diverse compagnie suddivise in 4 settori: formazione e innovazione, servizi finanziari, produzione, distribuzione.

Studiosi come l’americano Richard D. Wolff, docente di economia, hanno elogiato come un grande successo il gruppo di imprese della Mondragon e gli ottimi stipendi pagati ai lavoratori, il loro coinvolgimento nei processi decisori e le misure di pari opportunità per le lavoratrici, citandolo inoltre come modello industriale da seguire per un’alternativa a quello capitalistico.

Mentre in Spagna il tasso di disoccupazione è intorno al 22%, le cooperative Mondragon hanno mostrato una grande resistenza che ha permesso loro di sostenere la loro quota di colpi emergendone praticamente indenne.

Juan Manuel Sanchez Gordillo, sindaco di Marinaleda in Andalusia, è diventato famoso per i furti nei supermercati organizzati per dare da mangiare ai poveri.

Nei suoi 30 anni da sindaco ha introdotto a Marinaleda un sistema agricolo di cooperative, e ha provato varie volte a prendere possesso di terra da coltivare. L’obiettivo più grande, 1.200 ettari di proprietà del ministero della Difesa.

Tra cooperazione e commoning (la pratica del “mettere in comune”), a Marinaleda nessuno soffre la fame.

Abbiamo pubblicato su Pressenza il rapporto-elogio del segretario generale dell’ONU Ban Ki-Moon sulle banche cooperative per la loro capacità di resistenza di fronte alla crisi.

Verso un sistema monolitico di sole cooperative?

L’economista argentino Guillermo Sulling, nel suo saggio “Mixed Economy: Beyond Capitalism” sottolinea l’importanza di stabilire una realtà di strutture nel contesto di una democrazia partecipata, con lo Stato nella funzione di coordinatore piuttosto che di amministratore dissociato dai bisogni sociali.

Ecco qualche estratto dal suo lavoro:

“Un sistema a economia mista risolverebbe all’origine l’ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza, attraverso la partecipazione dei dipendenti agli utili, alla proprietà e alla gestione delle aziende…L’implementazione di riforme agricole dove razionali e necessarie e una modifica assennata del diritto ereditario potrebbero limitare gli eccessi del potere economico che tanti danni hanno causato all’umanità.

Un sistema a economia mista metterebbe fine al controllo monopolistico di risorse strategiche e servizi essenziali…facendosi carico del rispetto dei diritti umani, tra cui principalmente la salute e l’educazione pubblica secondo standard di eccellenza…fermare l’irrazionale sfruttamento delle risorse ambientali…Un sistema ad economia mista non dipenderà esclusivamente dalle iniziative dei mercati per gli investimenti produttivi e generazione di impiego, poiché ci saranno politiche per lo sviluppo in grado di guidare il settore privato o di intervenenire per generare investimenti…Un sistema a economia mista eliminerebbe la speculazione/usura delle banche private creando una banca statale a interessi zero…è indispensabile fondere insieme interesse sociale e interesse economico in un nuovo sistema, dove lo stato si fa carico delle necessità della popolaizone e della direzione dell’economia, mentre la gente si fa carico del funzionamente e degli obiettivi dello stato”.

1.

Tra le sue frasi più famose: “Con il capitalismo, l’uomo sfrutta l’uomo. Con il comunismo, lo stato sfrutta l’uomo”
“I conservatori moderni sono impegnati in uno dei più antichi esercizi di filosofia morale, e cioè la ricerca di una giustificazione morale superiore per il proprio egoismo”. Era un keynesiano e la sua serie TV trasmessa dalla BBC, intitolata The Age of Uncertainty esasperò a tal punto l’allora leader del partito conservatore inglese, Margaret Thatcher, che fu chiamato l’ultra-liberale Milton Friedman da Chicago per una conferenza contro i punti di vista di Galbraith sull’economia.

Traduzione dall’inglese di Giuseppina Vecchia