E ogni burocrate, imperfetto, può diventare un censore nocivo.

Il puro cuore di ogni religione è, infatti, la fede.

La fede deriva però da esperienza personale e non da credulità.

Solo qui si esplica il succo più dolce che ogni religione può dare.

Le religioni possono essere molto diverse fra loro, ma gli uomini di vera fede di ogni religione sono molto simili fra loro e quindi le strutture che assumono in sé il meglio di ogni religione, si assomigliano al punto quasi da identificarsi.

Il cuore del buddismo è lo zen.

Il cuore del confucianesimo è il tao.

Il cuore dell’induismo è il tantra.

Il cuore del cristianesimo può essere ascritto agli insegnamenti di Mastro Eckart

il cuore dell’ebraismo è la Kabbala.

Il cuore dell’islam è il sufismo.

Un buddista, un indù, un cristiano e un mussulmano potranno anche litigare fra loro e persino uccidersi.

Ma un uomo che pratica l’autentico zen non litigherà mai con un uomo che pratica l’autentico tantra né potrà litigare con un autentico sufi.

Il sufismo, quindi, è il cuore dell’islam, la sua parte più vera e pura.

Il sufismo non è una religione né una filosofia.

E’ una pratica.

C’era una volta un uomo che accusava problemi di vista.

Andò da uomini religiosi che gli prescrissero di avere pazienza e di pregare negli edifici predisposti. Ma non migliorò.

Andò da un filosofo che gli spiegò l’atto del vedere e le bellezze e gli inganni della ragione nel guardare il mondo. Ma non migliorò.

Infine andò da un oculista, il quale diagnosticò una cataratta, lo operò e gli rese la vista.

In questo caso l’oculista fu un sufi.

Il sufismo quindi è l’agire nel miglior modo possibile in quella data situazione per quel dato individuo in quella data circostanza temporale.

Nel sufismo sono fondamentali i comportamenti non tanto in sé,
quanto relativamente alla situazione contingente.

Sono fondamentali, quindi, il tempo, il modo, il luogo e le persone per quel tale atto.

Nel Corano si racconta dell’incontro fra il profeta Mosè e il Khidr, il sempre verde, il grande profeta errante a cui Mosè si sente enormemente inferiore.

Mosè scongiura il Khidr di prenderlo come suo allievo e il Khidr accetta sottomettendo,però, Mosè alla promessa di non ribellarsi di fronte a qualunque azione che il Khidr stesso dovesse compiere.

Purtroppo Mosè, per ben tre volte, rompe il patto di fronte alle azioni incomprensibili e criminali del Khidr stesso, finchè il Khidr è costretto ad allontanare Mosè.

Naturalmente, solo alla fine della storia, il Khidr rivelerà le reali motivazioni dei suoi atti a un Mosè esterrefatto e contrito, ma ahimè, troppo tardivamente.

Il sufi sa che per ogni cosa ci vuole zamam, makan, e ikhwan.
cioè il giusto tempo, il giusto luogo e la persona giusta.
Il sufi sa che una azione non è mai giusta in quanto tale,
ma solo in relazione alla situazione contingente.

Del resto uccidere un uomo è una azione orribile, ma qualunque legislazione permette l’uccisione, in caso di legittima difesa.

Oppure non fermereste anche con la violenza un uomo che sta violentando una donna?

Questo è anche un motivo per cui un atto, una cerimonia, un esercizio sufi,va sempre attualizzato.

Una prescrizione sufi descritta nel dodicesimo secolo dell’era cristiana o anche solo venti anni fa, può essere non solo inutile ma del tutto dannosa se trasposta in un altro clima culturale e con allievi non preparati o stranieri.

E’ ridicolo applicare tecniche sufi nell’Italia del ventunesimo secolo, se sono state proposte e ideate in ambienti turchi o arabi o persiani di epoche passate,purché non ci sia una perfetta coscienza della situazione.

Nel sufismo si agisce ora, con il materiale umano di ora e con le tecniche e le corrette applicazioni di ora.

Nessuno si sognerebbe di insegnare la meccanica quantistica a chi non conosce ancora le tabelline.

Nessuno si sognerebbe oggi di farsi operare di cataratta con la tecnologia e le metodiche antisettiche di cinquant’anni fa, ma si pretende, invece, di seguire pratiche spirituali desuete e aliene al contesto attuale, svuotate del loro reale significato.

Nelle pratiche religiose correnti spesso si conserva la forma antica, avendo però perduto il contenuto originario. Nel sufismo, invece, si cerca di mantenere il contenuto originario
applicando la forma più conveniente alla situazione.

Nel sufismo l’autentica antica tradizione, accuratamente custodita, assume sempre una corretta forma moderna, non per spacciarla meglio alle richieste del mercato spirituale, come sempre più frequentemente si è soliti assistere, ma per conferire un messaggio comprensibile a coloro che “hanno orecchie per ascoltare e sentire”.

Nel sufismo si agisce ora, nel contesto presente, a seconda degli usi e costumi dell’ambiente in cui si opera, nell’intento, però, di costruire alla luce del contenuto
autentico delle tradizioni più antiche.

Nel sufismo la forma cambia in continuazione per mantenere integro l’antico contenuto. E quindi le scuole di sufismo, pur continuando a insegnare da sempre le stesse cose, utilizzano mezzi sempre diversi, e cambiano frequentemente denominazioni.

Per tutto questo il sufismo cerca di istruire i suoi adepti a una profonda conoscenza delle cose, alla comprensione globale del mondo, allo sviluppo dell’intuito e infine alla consapevolezza non solo dell’ordine delle cose ma soprattutto di sé.

La consapevolezza di sé si estrinseca attraverso non solo lo studio della psicologia, della sociologia e della mente umana secondo le più antiche tradizioni e secondo le conoscenze scientifiche attuali, ma anche attraverso un profondo e continuo esercizio di attenzione.

Un sufi deve esercitare, infatti, essenzialmente 3 cose:

1) l’attenzione

2) l’attenzione

3) l’attenzione.

Se una persona a te nota inizia improvvisamente a comportarsi da pazzo,le possibilità sono diverse

1) è diventato pazzo

2) è diventato solo momentaneamente pazzo

3) si comporta da pazzo ma, in realtà, sta facendo finta di essere pazzo

Un sufi si allena a sviluppare la sua attenzione per verificare quale della situazione si sta verificando, perché il suo comportamento sarà diverso a seconda della causa.

Questo tipo di attenzione è del tipo logico-razionale e va sviluppata.

Ma da secoli e secoli i sufi sanno che la reale attenzione da magnificare è quella intuitiva. La mente, intesa come capacità analitica, non è in grado, da sola,di risolvere opportunamente le questioni umane e nell’ambito del sufismo si cerca, quindi, nei limiti del possibile, e in assoluto equilibrio scientifico, di acuire quelle capacità che vengono ascritte al cosiddetto “sesto senso” ma che altro non sono che qualità che salgono dai centri dell’emozione e del sentimento.

Questo è uno dei motivi, quindi, per cui un maestro sufi cercherà di stimolare i suoi allievi a realizzarsi in campo artistico, trovando nell’arte un linguaggio idoneo per comprendere meglio altre realtà.

E, spesso, un maestro sufi è lui stesso un artista multiforme.

Su questa base, quindi, è corretto pensare che saremo giudicati più dalle nostre intenzioni che dalle nostre realizzazioni.

Chiunque di noi vorrebbe la pace nel mondo.

I sufi, da millenni, sanno che la pace deve sempre partire da noi stessi e dal perfezionamento interiore. Solo attraverso un riverbero all’esterno del nostro sentimento di pace e solo dopo aver sgomberato il nostro cuore da tutti i tipi di odio, potremo contribuire a un mondo di pace.

Solo in tal modo, se tutti si adeguassero a questo comportamento, la pace nel mondo non sarebbe una sterile utopia.

Un sufi sa che non sarà giudicato dalle sue azioni ma dalle sue intenzioni. Ma solo se avrà lottato per sviluppare l’attenzione.

Un sufi sa che compito di ognuno di noi è perfezionare se stesso, migliorarsi,perché la via della pace passa dal mutamento in ognuno di noi.
Se desideri la pace, devi prima creare la pace in te stesso.

*INCISO*

A differenza della scienza filosofica occidentale che con Marcuse sostiene che ogni tentativo di diventare migliori prima che sia stata fatta la rivoluzione, è reazionario, il sufismo afferma perentoriamente da almeno 1500 anni che non ci sarà pace nel mondo finché non c’è prima pace in noi o che non possiamo aiutare gli altri se prima non abbiamo aiutato noi stessi.

*INCISO*

Dallo sceicco Fadhlalla Haeri veniamo a sapere che il termine sufismo deriva dalle tre lettere arabe: sa, wa e sa e che i concetti di derivazione da queste tre lettere sono vari
e solo apparentemente discordanti.

Numerose, infatti, sono le opinioni sulla genesi di questa parola e non sempre queste ipotesi, poi,
sono necessariamente in competizione fra loro, ma tutte possono essere accettate assieme.

Safa per esempio significa purezza.

Safwe vuol dire eletti.

Saf vuol dire fila, indicando gli amici della panca che seguivano il profeta Maometto in prima fila nelle preghiere, ovvero indica suffa, la panca perché c’erano intimi del profeta che, appena potevano, si riunivano su una panca vicino alla tenda di Maometto per frequentarlo più spesso.

Altri ancora ritengono che derivi dal termine suf, cioè lana, cioè un abito semplice di lana di cui si vestivano i primi sufi, che non si curavano delle apparenze, ma preferivano invece cercare la conoscenza interiore.

E’ singolare ricordare come la tonaca dei Francescani inventata da S. Francesco non sia altro che una copia della semplice veste che usavano alcuni sufi con cui S. Francesco ebbe contatti diretti o indiretti.

Comunque sia questo termine fu usato raramente nei primi due secoli della storia dell’Islam, mentre ebbe uno sviluppo pieno dopo l’incontro con il buddismo indiano ma soprattutto afgano.

E’ curioso, poi, come il termine arabo sufi ricordi il termine greco sofoi, cioè, appunto,i saggi, i sapienti, coloro che comprendono.

*IL MAESTRO SUFI*

Per raggiungere queste capacità bisogna imparare tramite l’ausilio di qualcuno che abbia già sperimentato e assimilato le qualità che si vogliono acquisire, cioè un maestro.

Ecco perché, usualmente, una scuola sufi si esplica nell’ambito di particolari confraternite, rette da un capo, un anziano, un saggio, uno sceicco, un maestro.

E ognuna di queste confraternite, pur nell’ambito islamico, ha le sue regole esattamente diverse le une dalle altre come difformi sono le regole fra l’ordine dei gesuiti e quello
dei domenicani, pur appartenendo entrambi alla chiesa cattolica.

Chi, oggi, sano di mente, si farebbe operare allo stomaco da una persona qualsiasi?

Oggi pretendiamo che il nostro chirurgo sia laureato in medicina, abbia eseguito tirocini pratici, abbia conseguito il diploma statale di esercizio alla professione e abbia conseguito una specializzazione nella materia che ci interessa,
che sia bravo, amabile ed esperto e abbia ottime referenze.

Altrimenti cercheremo un altro chirurgo.

Lo stesso dovrebbe avvenire in materia spirituale.

Un maestro sufi deve essere un sufi iscritto in un ordine in regesti appositi che ne provino l’iniziazione, deve aver eseguito un lungo tirocinio morale e pratico patrocinato da maestri appositi, deve essere stato nominato maestro e deve aver conseguito il permesso di insegnamento secondo limiti e regole ben precise.

Quindi come un medico laureato e specializzato può presentare le sue credenziali scritte ed esistono ordini che ne verifichino la validità a tutti gli effetti legali, esaminabili da chiunque, così un maestro sufi può disporre di simile documentazione.

Un maestro sufi, quindi, può presentare un curriculum vitae che evidenzi la sua iniziazione, la sua appartenenza a un particolare ordine e la discendenza della sua capacità di insegnamento da parte di una serie successiva di maestri documentabili.

Se questo non avviene, non è un autentico maestro sufi.

In Occidente, oggi, la maggior parte degli autentici maestri sufi sono anche medici o psicologi o comunque hanno seguito lunghi training sulla conoscenza della mente umana, perché notevoli sono i rischi di chi si assoggetta a questi insegnamenti, se fossero impartiti da persone, anche in buona fede, non adatte.

Per esempio un maestro sufi deve impedire che si creino dei transfert nei suoi confronti.

Per transfert intendiamo un eccessivo attaccamento dell’allievo al maestro, tale da determinare una vera dipendenza psicologica.

Tale evento è purtroppo diffusissimo in campo religioso e ancor di più nelle numerose sette di ogni ordine e tipo che fioriscono sempre più abbondanti.

Lo scopo di un maestro sufi, infatti, non è quello di limentare la crescita numerica di un gruppo o di ricavare vantaggi materiali o anche solo gratificazioni psicologiche dal suo ruolo, ma di rendere un servizio al suo allievo per renderlo libero e indipendente anche dal maestro stesso. Il successo di un maestro è quello di creare individui liberi e indipendenti, capaci di stare sulle proprie gambe e di allontanarsi infine
dal maestro stesso, quando le condizioni siano opportune.

E’ come se un medico creasse una dipendenza del paziente per averlo sempre a propria disposizione e quindi non potendosi permettere di guarirlo mai.

Inoltre, oggi, nei paesi occidentali, ove la regola degli affari impera, un maestro sufi non si fa mai pagare per il suo operato.

Il suo insegnamento è sempre gratuito.

E’ chiaro, quindi, che un maestro sufi dovrà avere un altro lavoro per mantenere se stesso e la propria famiglia, in quanto non può ricavare prebende dal suo magistero sufi.

*COME RICONOSCERE UN MAESTRO SUFI OGGI:*

Si conosce a quale confraternita appartiene.

Si conoscono i suoi maestri e i maestri dei suoi maestri e i maestri dei maestri dei suoi maestri e così via in una catena lunghissima.

non può ricevere denaro dal suo operato sufi.

*UN FALSO MAESTRO SUFI*

Non possiede credenziali, ha solo carisma.

Crea attaccamento e dipendenza negli allievi verso sé o verso l’organizzazione.

Trae guadagni per la sua attività di maestro.

(uno solo di questi punti squalifica definitivamente la bontà di un supposto maestro sufi).

I falsi maestri sono assai più numerosi dei veri maestri, ma questo fa parte del gioco.