I due condannati sono Stephan Schmidheiny, miliardario svizzero di 64 anni, e il barone belga Louis de Cartier, 90 anni. Riconosciuti colpevoli di disastro ambientale doloso e omissione dolosa di cautele antinfortunistiche.

L’atmosfera del processo ha ricordato da vicino quella del Processo Thyssen. La Procura di Torino, con Antonio Guariniello e il suo pool. Molti degli avvocati di parte civile erano gli stessi dei lavoratori Thyssen.

Anche Medicina Democratica, fra le Associazioni, era presente ora come allora. Sebbene la richiesta della Procura fosse di 20 anni di reclusione, e sebbene sia chiaro che si tratta di una sentenza di primo grado a carico di due contumaci all’estero, uno dei quali molto anziano, è comunque un momento importante, e vi è generale soddisfazione anche fra i parenti delle vittime. Le imputazioni riguardavano numeri impressionanti: 2.100 morti e oltre 800 malati, nelle zone degli stabilimenti di Casale Monferrato (Alessandria), Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli). Le parti civili che si sono costituite in giudizi sono oltre seimila.

Se andiamo a esaminare più nel dettaglio la sentenza, si nota qualche crepa. Gli imputati sono stati dichiarati colpevoli per gli stabilimenti di Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), mentre il reato risulta estinto per prescrizione per gli stabilimenti di Rubiera, in Emilia Romagna, e Bagnoli, in Campania. Ma resta il fatto che Casale era senz’altro il punto di maggior attenzione.

Il giudice Giuseppe Casalbore ha accordato risarcimenti per le parti civili: 30mila euro per ogni familiare delle vittime e 35mila euro per gli ammalati. Inoltre: 100 mila euro per ogni sigla sindacale e per l’Associazione vittime dell’amianto, 25 milioni per il comune di Casale Monferrato, 4 milioni per il comune di Cavagnolo, 20 milioni per la Regione Piemonte e una provvisonale di 15 milioni per l’Inail.

Per la procura di Torino gli imputati hanno “fornito e mantenuto in uso a privati ed enti pubblici materiali di amianto per la pavimentazione di strade, cortili, aie, o per la coibentazione di sottotetti di civile abitazione, determinando un’esposizione incontrollata, continuativa e a tutt’oggi perdurante, senza informare gli esposti circa la pericolosità dei materiali e per giunta – si legge nel capo d’accusa – inducendo un’esposizione di fanciulli e adolescenti anche durante le attività ludiche”.

E, infine, il reato di disastro si è consumato anche nelle abitazioni dei lavoratori, proprio per aver omesso di organizzare al lavoro la pulizia degli indumenti, che gli operai portavano a casa, esponendo così familiari e conviventi all’amianto. Hanno “omesso di adottare i provvedimenti tecnici, organizzativi, procedurali, igienici necessari per contenere l’esposizione all’amianto (come impianti di aspirazione localizzata, adeguata ventilazione dei locali o procedure di lavoro atte a evitare la manipolazione manuale delle sostanze e sistemi di pulizia degli indumenti in ambito industriale), di curare la fornitura e l’effettivo impiego di apparecchi di protezione, di sottoporre i lavoratori ad adeguato controllo sanitario, di informarsi e informare i lavoratori circa i rischi specifici derivanti dall’amianto e le misure per ovviare a tali rischi”.

Questa mattina, fuori dall’edificio del Tribunale di Torino, vi è stato un numeroso presidio da parte di lavoratori ed associazioni delle vittime dell’Amianto. I visi delle vittime dell’amianto hanno ancora una volta attirato l’attenzione dei cittadini con la loro muta richiesta di giustizia.

Ad essi hanno portato solidarietà anche molti attivisti NOTAV, presenti davanti al Tribunale in occasione del riesame dei provvedimenti di carcerazione per alcuni dei 26 arrestati fra gli attivisti NOTAV a fine gennaio.

La presenza di amianto ed altri materiali pericolosi nelle rispettive zone accomuna i due Movimenti in lotta, e l’atmosfera del Presidio è stata di assoluta condivisione e sostegno reciproco. Molti sono ovviamente gli esponenti di forze politiche che hanno espresso soddisfazione appresa la sentenza. Riportiamo una voce parzialmente e ironicamente dissonante, quella di Alberto Perino, uno fra i leader valsusini del Movimento NOTAV: “Sono soddisfatto, ed un pensiero solidale va alle vittime, ai malati e ai loro familiari. Purtroppo però ho la sensazione che i due condannati non passeranno neppure un giorno dietro le sbarre: mica sono dei NOTAV”.

Articolo pubblicato in origine su Metropolis

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