Il 20 gennaio è il Martin Luther King Day; per celebrarlo Pressenza pubblica i sei argomenti a favore del ricorso metodico alla nonviolenza, presentati da M.L.King nel 1958 in “Lotte per la libertà”, così come nel famoso discorso “I have a dream” .
Primo. La resistenza nonviolenta non è destinata ai paurosi, è una vera resistenza! Chiunque ricorra ad essa per vigliaccheria o per mancanza di armi non è un vero non-violento.
È per questo che Gandhi ha ripetuto cosi spesso che se avessimo la scelta tra vigliaccheria e violenza, allora sarebbe meglio scegliere la violenza. Ma sapeva bene che esiste sempre una terza strada: nessuno- che si tratti di individui o gruppi- è mai costretto a questa sola alternativa: rassegnarsi a subire il male o ristabilire la giustizia attraverso la violenza; resta la strada della resistenza nonviolenta.
In fin dei conti è la scelta dei forti, poiché non significa restare in un immobilismo passivo. L’espressione “resistenza passiva” può far credere -a torto- a un’attitudine di “noncuranza” che porta a subire il male in silenzio. Niente è più lontano dalla realtà. In effetti, se il nonviolento è passivo, nel senso che non aggredisce fisicamente l’avversario, resta continuamente attivo col cuore e con lo spirito e cerca di convincerlo del suo errore.
È effettivamente una tattica con la quale si resta passivi sul piano fisico, ma vigorosamente attivi sul piano spirituale. Non è una resistenza passiva al male, ma piuttosto una resistenza attiva e nonviolenta.
Secondo. La resistenza nonviolenta non cerca di vincere o umiliare il suo avversario, ma di guadagnarsi la sua amicizia e la sua comprensione. La Nonviolenza vuole generare una comunità di fratelli, mentre la violenza genera solo odio e amarezza.
Terzo. È un metodo che affronta le forze del male e non le persone che si ritrovano ad esserne gli strumenti. Perché è il male stesso che il nonviolento cerca di vincere e non gli uomini che ne sono influenzati.
Quarto. La resistenza nonviolenta implica la volontà di saper accettare la sofferenza senza spirito di rappresaglia, di saper ricevere i colpi senza restituirli. Il nonviolento dev’essere pronto a subire la violenza, se necessario, ma non deve mai farla subire agli altri. Egli non cercherà di evitare la prigione e se necessario ci entrerà “come uno sposo nella camera nuziale”.
Quinto. Questa resistenza nonviolenta respinge non solo ogni tipo di violenza esterna e fisica, ma anche quella interiore e dello spirito. Il resistente nonviolento è un essere che si rifiuta non solo di colpire il suo avversario, ma anche di odiarlo. Il nonviolento afferma che, nella lotta per la dignità umana, l’oppresso non è necessariamente portato a soccombere alla tentazione della collera o dell’odio.
Sesto. Infine, la resistenza nonviolenta si basa sulla convinzione che la legge che governa l’universo è una legge di giustizia. Di conseguenza, colui che crede nella nonviolenza ha una fede profonda nell’avvenire, che gli dà una ragione supplementare di accettare di soffrire senza spirito di rappresaglia.
Sa in effetti che, nella sua lotta per la giustizia, è in accordo con il cosmo universale. È vero che alcuni sinceri partigiani della nonviolenza hanno difficoltà a credere in un Dio personale, ma credono nell’esistenza di qualche forza creatrice che agisce nel senso di un Tutto universale.
Che crediamo ad un processo incosciente, a un Brahma impersonale o ad un Dio vivente, alla potenza assoluta e all’amore infinito, poco importa: esiste nel nostro universo una forza creatrice che opera in modo da ristabilire in un tutto armonioso le molteplici contraddizioni della realtà.
Traduzione di Dalila Anneo