>  glocalnews sulle soggettiv₳zioni del meticciato meridionale  <

 

Andamenti economici generali e territoriali nella Relazione Banktalia. Ombre per la moltitudine-sociale e luci per il sistema-impresa

Tralasciamo in questa sede l’approfondimento critico sull’andamento economico generale, sono già sufficienti le “oggettive” contraddizioni che emergono dall’analisi della banca centrale. Ci riserviamo di intervenire nei prossimi giorni per una più attenta disamina sugli effetti, non certo esaltanti, delle politiche economiche poste in essere e sulle ricadute negative da esse generate in relazione all’occupazione-disoccupazione (in particolare nel mezzogiorno) e ai redditi delle famiglie (formalmente cresciuti ma sostanzialmente in forte declino). Di contro, assieme alla crescita del Prodotto, dalla relazione si evidenzia un’accresciuta redditività per il sistema dell’impresa e il mantenimento di  ampie scorte di liquidità

Secondo l’indicatore trimestrale dell’economia regionale (ITER) elaborato dalla Banca d’Italia, nel 2022 il prodotto è aumentato del 3,8 per cento nel Nord Ovest, del 3,7 nel Nord Est e al Centro e del 3,4 nel Mezzogiorno. Tutte le macroaree, ad eccezione del Centro, avrebbero recuperato i livelli di attività economica precedenti la pandemia. Il Mezzogiorno ha tuttavia perso ulteriore terreno nel confronto con il resto dell’Italia, proseguendo una tendenza ormai di lungo periodo: il prodotto è ancora 10 punti sotto i livelli osservati prima della crisi del 2008-09 nelle regioni meridionali e oltre 6 punti inferiore in quelle centrali, mentre ha superato i valori del 2007 al Nord. Considerando i diversi andamenti demografici, i differenziali di crescita tra le due aree sono meno marcati: rispetto al 2007 il PIL pro capite è inferiore del 3,4 per cento nel Centro Nord e del 6,4 nel Mezzogiorno, dove è pari al 55 per cento di quello del resto del Paese (un valore pressoché stabile nell’ultimo quinquennio, ma circa 2 punti più basso rispetto al 2007). […]Secondo la Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, nel 2022 l’occupazione è cresciuta del 2,4 per cento nel Centro Nord e del 2,5 nel Mezzogiorno, recuperando il calo registrato durante la crisi pandemica in entrambe le aree. L’incremento ha riguardato principalmente i lavoratori dipendenti e quelli a tempo pieno; nel Centro Nord sono comunque aumentati anche i rapporti part-time e il numero dei lavoratori indipendenti, mentre nelle regioni meridionali queste due categorie di lavoratori si sono ridotte. L’incremento dell’occupazione è stato particolarmente consistente fra i giovani di età compresa fra 15 e 24 anni, soprattutto nel Centro Nord; è stato maggiore nei servizi e, in particolare nel Mezzogiorno, nelle costruzioni. Permangono forti differenze territoriali nel tasso di occupazione: nel 2022 nella fascia 15-64 anni è stato del 46,7 per cento nelle regioni meridionali, a fronte del 67,1 in quelle centro-settentrionali. Il tasso di disoccupazione è sceso (di 1,1 e di 2,1 punti percentuali, rispettivamente nel Centro Nord e nel Mezzogiorno) e si è espansa la partecipazione al mercato del lavoro. Nel Sud e nelle Isole il tasso di disoccupazione (pari al 14,3 per cento) rimane più che doppio rispetto al resto del Paese (5,6 per cento); quello di lunga durata permane su un livello triplo rispetto al Centro Nord.

BancaItalia.relazione-annuale 2022/sintesi

 

Rapporto-EURISPES: “Nell’era delle migrazioni dobbiamo prendere finalmente atto che la legge Bossi-Fini va cambiata”

Molti nostri giovani connazionali, per scelta o obbligati dall’assenza di lavoro e opportunità, ancora oggi sono costretti ad andare all’estero irrobustendo altre economie e sistemi sociali, a discapito dell’Italia e del suo futuro. Il lavoro continua infatti a essere la radice fondamentale delle tensioni sociali e ipoteca soprattutto per le giovani generazioni, nel momento in cui esso è “precario per sempre”. Non si deve dimenticare che dei 281 milioni di migranti nel mondo, 169 milioni sono lavoratori, ossia persone che cercano un lavoro per vivere e costruire un futuro per sé e la propria famiglia. I migranti che fuggono da guerre e pestilenze sono in realtà “una minoranza di una minoranza” e non certo una minaccia che mette in pericolo la democrazia europea e la sua identità. Il lavoro regolare o meno, peraltro, non dipende dalla volontà degli immigrati ma dall’organizzazione che essi trovano nel mercato del lavoro nel paese di accoglienza, regolamentato troppo spesso da un’ambigua relazione tra norme formali e informali, da modalità di reclutamento spesso illegali, da sistemi criminali come il caporalato che sono già ben presenti e radicati in Europa e non certo fenomeno criminale importato. Insieme ai migranti per lavoro ci sono poi i migranti forzati, compresi gli sfollati interni e i rifugiati. Sono più di 15 milioni di ucraini, spesso donne e minori, che hanno trovato in Europa accoglienza e protezione. Un’accoglienza straordinariamente calorosa di cui andare fieri, che però non è stata offerta a tutti coloro che hanno bussato alle nostre porte per chiedere aiuto e protezione; insomma, una solidarietà differenziata. Sono infatti migliaia i profughi provenienti dal Sud del mondo di cui purtroppo non conosceremo mai il nome e la storia perché morti durante il viaggio della speranza. Tra i luoghi più difficili da attraversare c’è il Mediterraneo che, da ponte che lega le culture, è divenuto un cimitero: sono almeno venticinquemila i morti nel Mediterraneo dal 2014 a oggi. Per fronteggiare questa emergenza, dobbiamo anche essere consapevoli di un dato che contraddice diffusi allarmismi: di coloro che partono da Africa, Asia e Sud America per mettersi in salvo, arriva in Europa appena il 15%. Il restante 85% resta in Stati prossimi a quello di origine. Già nel 2003 abbiamo avuto modo di esprimere il nostro pensiero sulla questione immigrazione. All’epoca, l’Eurispes sostenne la necessità di liberalizzare gli ingressi degli immigrati invitando il Governo a riceverli nei porti di giorno e non sulle spiagge di notte. Oggi, a vent’anni dall’entrata in vigore della “legge Bossi-Fini”, dobbiamo prendere finalmente atto che la legge va cambiata.

EURISPES sintesi-rapporto-italia-2023.pdf

 

AI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO, ALLE PERSONE, ALLE COLLETTIVITÁ E AI POPOLI CHE DIFENDONO LA VITA. A COLORO CHE SENTONO L’URGENZA DI AGIRE DI FRONTE A UN SUD-EST MESSICANO IN FIAMME

Oggi, in questo momento, il Messico è giunto ad un limite, un limite che sembra sempre lontano finché un proiettile esploso dall’alto non fa detonare la rabbia del Messico dal basso. Il compagno zapatista Jorge López Santiz è in bilico tra la vita e la morte a causa di un attacco paramilitare dell’Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (ORCAO), la stessa organizzazione che da tempo sta attaccando e molestato le comunità zapatiste. Il Chiapas è sull’orlo di una guerra civile, con paramilitari e assassini al soldo di vari cartelli che si contendono i territori per i propri profitti, e i gruppi di autodifesa, con la complicità attiva o passiva del governo statale di Rutilio Escandón Cadenas e il governo federale di Andrés Manuel López Obrador. L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), che ha mantenuto la pace e ha sviluppato un proprio progetto di autonomia nei suoi territori cercando di evitare scontri violenti con paramilitari e altre forze dello Stato messicano, viene costantemente molestato, attaccato e provocato.  Dalla fine del XX secolo, e fino al giorno d’oggi, l’EZLN ha optato per la lotta politica pacifica e civile nonostante le sue comunità siano state attaccate con proiettili, i suoi raccolti incendiati e il suo bestiame avvelenato. Nonostante il fatto che, invece di investire il proprio lavoro nella guerra, lo abbiano speso nella costruzione di ospedali, scuole e governi autonomi di cui hanno beneficiato zapatisti e non zapatisti, i governi, da Carlos Salinas a López Obrador, hanno sempre tentato di isolarli, delegittimarli e sterminarli. Oggi, a pochi mesi dal 40°anniversario dell’EZLN, l’attacco paramilitare contro gli zapatisti da parte dell’ORCAO ha come conseguenza che la vita di un uomo sia appesa a un filo, così come é al sul punto di esplodere un Messico che non può più sopportare la pressione che subisce nei confronti della propria dignità o la guerra contro le sue comunità e nei suoi territori. L’attacco dell’ORCAO non è un conflitto tra comunità, come lo avrebbe definito Carlos Salinas e, come López Obrador cercherà sicuramente di dipingerlo. Si tratta di un atto la cui responsabilità diretta é tanto del governo del Chiapas quanto del governo federale. Il primo per aver coperto la crescita di gruppi criminali che hanno trasformato il Chiapas, da uno stato di relativa tranquillità, in una zona rossa di violenza. Il secondo per essere rimasto in silenzio e passivo di fronte all’evidente situazione in cui si trova il sud-est del paese. Perché l’ORCAO attacca le comunità zapatiste? Perché puó. Perché lo permette il governo di Rutilio Escandón? Perché, nel Chiapas di cui sopra, governare significa bagnarsi di sangue indigeno. Perché López Obrador tace? Perché il governatore del Chiapas è cognato del suo caro e fedele Ministro degli Interni, Adán Augusto López; perché come i suoi predecessori non può sopportare che un gruppo di ribelli sia il punto di riferimento per la speranza e la dignità; perché ha bisogno di giustificare un’azione militare per “ripulire” il sud-est e poter finalmente imporre i suoi megaprogetti. Allo stesso modo crediamo che questo attacco sia il risultato delle politiche sociali del governo attuale per dividere e corrompere, distruggendo il tessuto sociale delle comunità e dei popoli messicani,in particolare del Chiapas. Vediamo con preoccupazione che programmi come “Sembrado Vida” (che si caratterizza per avere praticamente lo stesso budget del Ministero Federale dell’agricoltura) e altri simili, stiano incoraggiando lo scontro tra comunità storicamente espropriate delle loro terre e dei loro diritti, giacché vengono utilizzati come meccanismi di controllo politico e come merce di scambio affinché le organizzazioni come la ORCAO possano ottenere l’accesso ai presunti benefici che questi programmi forniscono, il cui prezzo è il furto delle terre autonome zapatiste recuperate. Per noi è chiaro che non si tratta di conflitti tra villaggi; si tratta di un’azione di controinsurrezione che mira a distruggerli, a distruggere l’EZLN e tutte le comunità e i popoli che continuano a lottare per una vita dignitosa. Firmiamo questa lettera per chiedere a noi stessi e a coloro che credono che la dignità e la parola devono sollevarsi per fermare il massacro che si sta profilando; per chiamare a raccolta coloro che sono d’accordo con l’attuale governo, ad aprire i loro cuori alle ingiustizie che stanno sommergendo il presente di questo Paese, aldilà delle loro affinità o simpatie politiche; affinché possiamo riconoscerci nella necessità di agire con l’obiettivo comune di fermare questa atrocità. Firmiamo questa lettera perché vediamo l’urgenza di porre fine alla violenza paramilitare in Chiapas. Perché non farlo significa lasciare che il Messico sprofondi ancora di più in questa guerra infinita che lo sta distruggendo.

  • Chiediamo giustizia per Jorge López Santiz. Chiediamo lo scioglimento assoluto dell’ORCAO.
  • Chiediamo un’indagine approfondita sul governo di Rutilio Escandón.
  • Chiediamo che il silenzio di López Obrador cessi di essere complice della violenza in Chiapas.

Facendo nostre le richieste presentate dal Congresso Nazionale Indigeno, chiediamo: 1) che sia garantita la salute del compagno Jorge e che gli sia prestata tutta l’attenzione necessaria per il tempo necessario; 2) che si fermi l’attacco armato contro la comunità “Moisés y Gandhi” e che si rispetti il suo territorio autonomo; 3) che gli autori materiali e intellettuali di questi attacchi paramilitari siano puniti; 4) che vengano smantellati i gruppi armati attraverso i quali la guerra contro le comunità zapatiste è attiva e in crescita. Chiediamo inoltre l’immediata liberazione di Manuel Gómez, base d’appoggio dell’EZLN, di cui non abbiamo dimenticato l’ingiusta detenzione.

comunicato Sicilie Zapatiste Sicilie Zapatiste

 

Appello Movimento NoPonte per il corteo del 17 giugno 2023

Noi abitanti dei territori dello Stretto di Messina, negli scorsi anni, con la mobilitazione delle nostre intelligenze e dei nostri corpi, avevamo contribuito a bloccare l’iter progettuale e l’avvio dei cantieri, smascherando la natura speculativa e l’impatto devastante del ponte sullo Stretto. Nonostante la gioia provata all’epoca della messa in liquidazione della società Ponte sullo Stretto, non abbiamo mai pensato di aver ‘completamente’ vinto: la posta in gioco della lotta contro la Grande Opera non era e non è la difesa dell’esistente, e basta pensare anche solo per un istante ai profitti di Caronte&Tourist col monopolio di fatto dell’attraversamento dello Stretto, o alle frane e alle alluvioni durante le quali esperiamo tutta la fragilità dell’assetto idro-geologico del nostro territorio, per accorgersi che il ‘NO AL PONTE’ può essere un prisma per guardare meglio alla nostra condizione generale; per interrogare radicalmente i nostri bisogni e accorgerci di cosa desideriamo per abitare in modo più felice lo spazio in cui viviamo; per riconsiderare la nostra centralità rifiutando le scelte coloniali imposte dalle istituzioni centrali. Lo Stretto di Messina, quell’area che si estende lungo la costa jonica e crea il punto d’incontro con quella tirrenica, è il luogo del possibile riconoscersi, ove proiettarsi come comunità e allo stesso tempo ritrovarsi introspettivamente: i suoi colli, il suo mare, i suoi panorami, basterebbero da soli a definire la struttura che connette il tutto, indirizzandoci a preservarne, difenderne, esaltarne la bellezza.

Oggi, di fronte alla ripresa a marce forzate dell’iter per la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, è urgente riprendere e rendere visibile la mobilitazione per contrastarlo …

…𝗰𝗼𝗻𝘁𝗿𝗼 𝗹𝗲 𝗳𝗮𝗸𝗲 𝗻𝗲𝘄𝘀 𝗽𝗼𝗻𝘁𝗶𝘀𝘁𝗲

Intendiamo in primo luogo intraprendere un nuovo percorso di contro-informazione per rispondere colpo su colpo all’impressionante campagna di disinformazione che mira a creare consenso popolare intorno alla grande opera, utilizzando argomenti falsi con la compiacenza della grancassa mediatica: come se non bastasse la quotidiana campagna pro-ponte della gazzetta del sud, il governo intende infatti stanziare un milione l’anno, dal 2024 al 2031, per propagandare e fornire un po’ di supporto all’idea di una costruzione che da sola, lo comprendiamo bene, non starebbe tecnicamente in piedi. Toccherà ancora, dunque, e anzi sempre di più, sentire le ‘bufale’ relative a un ponte “grande opera green”, “pronto e cantierabile”, “preziosa occasione occupazionale per più di 100.000 persone”.

…𝗮 𝗱𝗶𝗳𝗲𝘀𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝗻𝗼𝘀𝘁𝗿𝗼 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗶𝘁𝗼𝗿𝗶𝗼

Toccherà ancora, dunque, e anzi sempre di più, dire e gridare che:

  • il ponte è un’opera devastante dal punto di vista ambientale, uno sfregio per il paesaggio dello Stretto di Messina nostro luogo dell’anima, un delirio di svincoli e viadotti ferroviari e stradali che darebbe il colpo di grazia ad un territorio già ferito a morte – con buona pace dell’articolo 9 della Costituzione Italiana (che, da poco
    rimodulato, recita beffardamente: “La Repubblica tutela il paesaggio, l’ambiente, la biodiversità e gli Ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”).
  • la tanto sbandierata creazione di nuovi posti di lavoro che il ponte creerebbe – il cui numero varia a seconda del nuovo annuncio del populista di turno (il ministro Salvini e il costruttore Salini si stanno in tal senso dimostrando all’altezza, o meglio alla bassezza, dei loro predecessori) – è solo un miraggio per una popolazione ed una città che hanno bisogno di tutt’altra occupazione, dal punto di vista quantitativo e qualitativo, per mettere in sicurezza i territori e creare le condizioni per abitarli.
  • gli scavi per le torri e i viadotti del ponte produrranno milioni di metri cubi di terra e detriti che finiranno per intasare discariche, colline e torrenti, mentre i circa trenta/quaranta cantieri che sorgeranno sulle due rive dello Stretto costringeranno migliaia di persone ad abbandonare i luoghi interessati dai lavori in quanto espropriati delle loro case e/o renderanno praticamente impossibile la loro vita per chissà quanti anni.

… CHIAMIAMO A RACCOLTA TUTTE \ I \ U

Chiamiamo a raccolta in primo luogo tutta la popolazione dell’area dello Stretto di Messina, l’associazionismo ambientalista, comitati e movimenti a difesa dei territori e dei beni comuni, tutte/i/u a livello locale, nazionale ed internazionale per intraprendere con noi la lotta contro il ponte e salvaguardare e difendere la bellezza, l’integrità, l’identità dei nostri territori.

𝐍𝐨𝐢 𝐚𝐛𝐢𝐭𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐢 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐒𝐭𝐫𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐌𝐞𝐬𝐬𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐞 𝐯𝐨𝐥𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐢𝐧𝐮𝐦𝐚𝐧𝐨 𝐞 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢 𝐢𝐧𝐚𝐜𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞, 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐮𝐧 𝐚𝐠𝐢𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐥𝐢𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨 𝐜𝐢ò 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢 𝐬𝐜𝐡𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚 𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐝𝐮𝐜𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐚𝐬𝐭𝐫𝐢 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢, 𝐜𝐥𝐢𝐦𝐚𝐭𝐢𝐜𝐢, 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢. 𝐃𝐢𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐢ò 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐟𝐞𝐫𝐦𝐞𝐫𝐞𝐦𝐨 𝐟𝐢𝐧𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨𝐜𝐡é 𝐢𝐥 𝐩𝐨𝐧𝐭𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐚𝐫à 𝐜𝐚𝐧𝐜𝐞𝐥𝐥𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐨𝐫𝐢𝐳𝐳𝐨𝐧𝐭𝐞 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨.

appello/corteo-no-ponte-torre-faro-me

 

Iniziativa internazionale della CUB su “Le lotte nel mondo, costruire Reti, organizzare Il Conflitto”

Palermo, sabato 10 giugno (ore 17.30), presso il Comitato Territoriale Olivella (via San Basilio 17) si incontreranno alcune delegazioni del sindacalismo conflittuale internazionale provenienti da diversi paesi (Francia, Portogallo, Polonia, Spagna, Germania, Svizzera, Brasile e Argentina). L’iniziativa è stata promossa dalla CUB (Confederazione Unitaria di Base) e dalla Federazione del Lavoro e del Sociale. L’obiettivo che si propongono gli organizzatori è quello di iniziare a sviluppare e mettere in rete le lotte che attraversano le moltitudini di ogni latitudine del globo

Ogni giorno continuiamo ad assistere agli attacchi a danno di lavoratori e lavoratrici ma non solo. Se da un lato assistiamo ad un aumento delle ore di lavoro e una riduzione del salario, dall’altro lato siamo di fronte ad un aumento impressionante del tasso di disoccupazione nelle nostre città. In Sicilia, in generale a Sud, gli stessi disoccupati sono minacciati – dopo la nuova manovra della Legge di bilancio – dall’abolizione del reddito di cittadinanza. Una misura, questa, di sostegno al reddito che va invece tutelata, estesa, rivendicata contro il lavoro precario, sfruttato e sottopagato. Esiste un vuoto incolmabile tra le istituzioni del potere e i cittadini. Le istituzioni si configurano come NEMICHE dei territori; per questo non possiamo permetterci di delegare tutto o di delegare le nostre vite, i nostri redditi, la nostra libertà. Abbiamo bisogno di mettere al centro della discussione le condizioni di lavoro e di vita di migliaia di persone oggi impegnate nella sopravvivenza dentro un quadro di crisi progressiva. Il ragionamento prende spunto da una considerazione di campo, che vede nei nostri quartieri e nelle nostre città migliaia di persone costrette a vivere ai margini. Costrette ad emigrare in cerca di lavoro, costrette a subire ricatti occupazionali, costrette a subire gli effetti della mancanza di servizi pubblici. Tutti noi, occupati o inoccupati abbiamo un diritto inalienabile: il diritto ad esistere, aldilà dei governi che si succedono e delle loro prese di posizione sui territori. Poniamo però, anche l’obbiettivo di impegnarci sul terreno di un vero ‘’internazionalismo’’ che superi i ‘’vecchi blocchi economici”, militari e statuali e che affermi una nuova fase di pace, di confronto tra i territori e tra i conflitti che nascono a difesa della salute degli individui e dell’ambiente. Per questo, cogliamo l’occasione di invitare la città ad un confronto pubblico a partire dall’iniziativa “Le lotte nel mondo” giorno 10 giugno alle ore 17.30 al Comitato Territoriale olivella insieme a delegazioni di compagni e attivisti della rete Labour Solidarity provenienti da più regioni del mondo, impegnati in lotte sindacali e politiche che possono aprire degli spunti importanti per alimentare e far crescere le lotte locali, a tutela degli sfruttati e delle sfruttate.

comunicato Federazione del Lavoro e del Sociale CUB