Dove c’è amore, non può esserci esclusione. Un appello alla Chiesa perché ritrovi il coraggio di riconoscere ciò che esiste già: l’amore vissuto, anche fuori dai canoni.

“Anche noi siamo una famiglia?”

È la domanda che Luca Trapanese, credente, padre, compagno, cittadino, ha rivolto a Papa Leone XIV attraverso una lettera aperta condivisa in un videomessaggio sulla sua pagina Facebook ufficiale. Un messaggio semplice, diretto, nato non dalla polemica ma dalla vita: una vita spesa nella cura, nella responsabilità, nell’amore.

Luca non chiede approvazione né concessioni. Chiede semplicemente che la Chiesa guardi la sua realtà, come quella di tante altre, e riconosca ciò che essa incarna ogni giorno: l’amore.

Nel recente discorso al Corpo Diplomatico, Papa Leone XIV ha riaffermato l’importanza della famiglia “fondata sull’unione stabile tra uomo e donna”. È una frase storicamente presente nel linguaggio della dottrina cattolica. Non nuova, non provocatoria. Eppure oggi, in un tempo in cui i legami d’amore si manifestano in molte forme, quella frase ci lascia un senso di disorientamento.

Siamo confusi, ma non vogliamo travisare.

Siamo inquieti, ma non vogliamo strumentalizzare.

Siamo spaventati, perché sappiamo cosa significa quando l’amore non viene riconosciuto.

Negare l’amore, in qualsiasi sua forma autentica, rispettosa e responsabile, equivale a negare la vita stessa.

E la Chiesa, nei suoi fondamenti più profondi, non può che essere dalla parte della vita e dell’amore. Sempre.

Papa Francesco ci aveva insegnato che “la realtà è più importante dell’idea”, e nel suo pontificato, pur senza modificare i capisaldi dottrinali, aveva aperto cammini di ascolto e accompagnamento.

In Fiducia supplicans si è detto che anche le coppie in situazioni “irregolari” possono ricevere una benedizione, non un sacramento, purché non si generi confusione con il matrimonio. Una breccia fragile ma significativa, verso un’umanità imperfetta ma reale.

“Chi si mette umilmente davanti a Dio per chiedere il suo aiuto” afferma il documento, “non dovrebbe dover passare attraverso un giudizio morale completo come se fosse un requisito per ricevere la benedizione.”

È un invito a riconoscere che non è la perfezione, ma la fiducia, il primo passo verso l’amore e verso Dio.

Oggi, con Papa Leone XIV, questa traiettoria sembra sospesa. Le sue parole non hanno chiuso alcuna porta, ma nemmeno ne hanno aperta una nuova. E questo silenzio, in un tempo così pieno di domande, può sembrare una risposta mancata.

Anche all’interno della nostra stessa testata, ci si è interrogati su questo nodo profondo. In un articolo lucido e coraggioso, Lorenzo Poli si chiedeva se la Chiesa non stia esercitando una forma di ipocrisia, benedicendo cose e situazioni discutibili, ma negando una preghiera a chi vive nell’amore e nella cura reciproca. Scriveva: “È possibile benedire missili, cannoni e crociate, ma non due persone che si amano?”.

Una domanda che si affianca a quella di Luca Trapanese e che amplifica la richiesta che oggi sale da tante coscienze. Non per sradicare la dottrina, ma per radicarla nuovamente nella realtà.

Santità, cosa dobbiamo dire ai nostri figli quando ci chiedono: “Anche noi siamo una famiglia?”

Come possiamo spiegare loro che la Chiesa, la casa dell’amore, non ha ancora trovato parole per benedirli?

La risposta non può più essere rimandata.

Perché dove c’è amore, lì c’è già la benedizione.

 

Riferimenti

– Videomessaggio di Luca Trapanese sulla sua pagina ufficiale: facebook.com/Luca-Trapanese

– Lorenzo Poli, “Coppie gay, la Congregazione per la Dottrina della Fede sancisce l’ipocrisia?”, Pressenza, 22 marzo 2021

https://www.pressenza.com/it/2021/03/coppie-gay-la-congregazione-per-la-dottrina-della-fede-sancisce-lipocrisia/