Esprimiamo vicinanza e solidarietà alle comunità dell’Emilia-Romagna pesantemente colpite dalle alluvioni di questi giorni che, oltre alla distruzione materiale, hanno provocato vittime e migliaia di sfollati. Le organizzazioni politiche aderenti a Unione Popolare e i nostri militanti tutti stanno già intervenendo sul campo a sostegno della cittadinanza – su base volontaristica – e si sta organizzando un intervento di solidarietà attiva per affrontare l’emergenza, favorire l’autorganizzazione e porre le basi politiche per una ricostruzione immediata, adeguatamente finanziata e aderente ai bisogni delle comunità.

Il dolore di questi giorni non può tuttavia cancellare le responsabilità politiche di quanti con le loro scelte non solo non hanno preparato città e comunità a proteggersi da eventi simili, con un’azione sistematica di prevenzione e tutela, ma anzi hanno favorito – con dissennate politiche di urbanizzazione e industrializzazione non rispettose del territorio – che si creassero le condizioni perché l’impatto di un evento estremo fosse ancora più devastante.

Non ci troviamo di fronte ad un altro terremoto imprevedibile, come afferma la narrazione autoassolutoria del presidente Bonaccini, se non nelle conseguenze sulle comunità. Il sisma che 11 anni fa ha colpito l’Emilia era imprevedibile, l’alluvione no, perché a causarlo non è stata solo la pioggia abbondante ma un territorio degradato e dissestato. Ritenere che tutto si risolva affermando che questo è stato un evento eccezionale – una logica che nega in un sol colpo responsabilità politiche e cambiamento climatico – è inaccettabile. Quelle responsabilità vanno denunciate e riguardano le politiche perseguite negli ultimi anni e decenni e anche lo stesso presidente.

Ci sono due aspetti che vanno sottolineati: il dissesto idro-geologico e la frequenza e intensità delle precipitazioni, dovuta al cambiamento climatico.

Sul dissesto, lo stato disastroso della collina e della montagna, di cui le frane sono la testimonianza evidente, non è stato fatto abbastanza. I territori sono stati abbandonati, i fiumi e i torrenti non sono stati mantenuti, gli argini e gli alvei sono stati deforestati e lasciati a sé, la cementificazione e la rovina di declivi e valli sono aumentati. Le acque piovane, in questo modo, precipitano velocemente a valle, trascinando detriti di ogni tipo, che vanno a intasare ponti e scoli, senza possibilità di sfogo, in alto come a valle. Il territorio a valle, nelle pianure, è stato cementificato, asfaltato, si è costruito nelle zone alluvionabili, negli alvei dei fiumi, sugli argini. La cementificazione ha diminuito enormemente le capacità di assorbimento dei terreni, cui si aggiungono gli effetti di un’agricoltura intensiva che ha proceduto eliminando fossi e cavedagne, rendendo la piana una potenziale palude.

L’intera comunità scientifica ha da tempo lanciato inascoltata l’allarme sulle conseguenze del cambiamento climatico, anche in Emilia-Romagna. Questo ennesimo evento meteo (quasi estremo) si è così abbattuto su un terreno incapace di trattenere l’acqua a causa di un dissennato consumo di suolo che ha reso impermeabile il territorio amplificando le conseguenze delle precipitazioni.

In questa regione il territorio è stato visto non come un bene comune da tutelare ma sempre e solo come fonte di profitto. Certo le categorie e le aziende giustamente chiedono che siano garantite le condizioni per la loro competitività. Ma ciò non può avvenire sempre e solo a danno dell’ambiente, che va tutelato perché a pagare le conseguenze del dissesto saranno poi le stesse categorie e i lavoratori.

La legge urbanistica regionale ha portato l’Emilia-Romagna al terzo posto in Italia per consumo di suolo, mentre il piano regionale dei trasporti – che include il passante di Bologna, l’autostrada cispadana e la bretella Campogalliano-Sassuolo – lascia briciole alla mobilità sostenibile, ovvero più trasporti pubblici e più trasporti su rotaia, per passeggeri e merci. Incentivare piattaforme per la logistica o nuovi insediamenti su suoli agricoli o vergini non fa che aumentare il consumo di suolo. Non si fa nulla per la transizione ecologica, mentre proprio a Ravenna si vuole istallare un rigassificatore che ci inchioda ai combustibili fossili per altri 15 anni aggravando la crisi ambientale.

Non accettiamo una narrazione secondo cui l’alluvione è colpa di un destino cinico, baro e imprevedibile, e i partiti che governano questa Regione – dal PD ai Verdi – non possono nascondersi dietro l’imponderabile per autoassolversi dalle proprie responsabilità. E lo stesso vale per la destra regionale e nazionale che oggi governa il Paese ma che queste scelte le ha sempre sostenute e oggi senza alcuna vergogna attacca gli ambientalisti e continua a negare la crisi ambientale.

Mentre le forze politiche in Parlamento in maniera bipartisan piangono lacrime di coccodrillo, ora più che mai è evidente che per il nostro territorio e per il nostro paese serve un’inversione di priorità su dove investire risorse: gli investimenti per la messa in sicurezza finanziamoli tagliando le spese militari!

Ne parleremo mercoledì 24 maggio in una assemblea pubblica che abbiamo convocato alle ore 20:30 in Piazza San Rocco a Bologna per condividere con comitati, associazioni e cittadini e per costruire una mobilitazione regionale il 2 Giugno, nel giorno della Repubblica che viene trasformato anno dopo anno nel giorno delle forze armate. Una mobilitazione regionale per la nostra terra e per la Terra in generale, contro la guerra e le spese militari, per una maggiore spesa a tutela dell’ambiente. Una manifestazione regionale per dire che la solidarietà non è solo spalare fango, ma anche esigere giustizia e verità per le vittime di questo modello di “sviluppo”.