L’Accademia della Crusca ci suggerisce di non usare più il termine “badante” (parola che, seppur acclimatata, non solo nella lingua comune, ma in letteratura e nel cinema, mantiene una connotazione non pienamente positiva per diverse ragioni, ma innanzitutto perché continua a indicare in modo generico chi, senza una specifica preparazione, presta assistenza anche in casi in cui magari ci vorrebbe), sostituendolo con “assistente familiare” o “addetta/o alla cura della persona”. Nel commentare alcune anticipazioni della ricerca di Domina, che sarà pubblicata il prossimo 20 gennaio, non sempre è stato agevole -purtroppo- superare il termine “badante” né quello di “colf”, ampiamente utilizzati dai ricercatori.

Dal 2015 a oggi l’incremento della presenza maschile nell’assistenza familiare è stato di quasi il 30%. Questo nuovo volto maschile del lavoro domestico di cura è uno dei dati più rilevanti emersi dalle anticipazioni del IV Rapporto Annuale Domina sul Lavoro Domestico in Italia. Nel 2021, il numero di lavoratori domestici è aumentato rispetto all’anno precedente, arrivando a 961.358 unità, ma quelli regolari sono meno della metà dei lavoratori effettivi, stimati in 2 milioni, regalando al lavoro domestico il poco invidiabile record del tasso di irregolarità al 52,3%, oltre il doppio dell’agricoltura (24,4%) e più del quadruplo della media italiana (12%). Rispetto al 2015, l’aumento complessivo è di poco più di 50 mila unità (+6,3%), ma se le donne hanno registrato un aumento di solo il 3,2%, l’incremento della presenza maschile è stato di addirittura il 27,9%. Di conseguenza, aumenta anche l’incidenza degli uomini sui lavoratori domestici totali. Se fino al 2019 gli uomini rappresentavano meno del 12% del totale, la percentuale ha superato il 13% nel 2020 e addirittura il 15% nel 2021. Come si sa, spesso si distingue tra badante e colf, nel senso che badante è la persona incaricata di assistere una persona del nucleo familiare, mentre colf è invece quella figura professionale che si occupa delle classiche incombenze quotidiane che riguardano l’abitazione della famiglia. Tra le donne, nel 2015 il divario tra colf e badanti era netto, con un rapporto di 12 colf ogni 10 badanti. Il gap è stato colmato nel 2019, arrivando ad una sostanziale parità, per poi seguire una tendenza simile nei due anni successivi, con l’aumento del 2020 e la stabilizzazione del 2021. Tra gli uomini, invece, gli operatori dedicati alla cura delle persone (badanti) sono passati progressivamente da 28 mila a 41 mila, registrando un +47,7%. Gli addetti alla cura della casa (colf), hanno registrato invece un trend di calo progressivo fino al 2019, per poi crescere nel 2020 e 2021.

Differente anche la provenienza: il 40,2% delle donne viene dall’Est Europa e il 32,3% dall’Italia, mentre tra gli uomini il gruppo più numeroso è quello dell’Asia orientale (escluse Filippine), pari al 30,4% del totale. Considerando anche le Filippine, l’Asia rappresenta oltre il 40% dei lavoratori domestici uomini. Consistente anche la componente africana, pari al 20,5% tra gli uomini (e solo il 4,9% tra le donne). Essendo soprattutto asiatici e africani, è possibile che per i giovani giunti in Italia via mare il lavoro domestico rappresenti la prima forma di inserimento lavorativo, osserva Domina. Da considerare, inoltre, che i dati proposti includono buona parte dei lavoratori regolarizzati con la “sanatoria 2020”. Infine, è interessante osservare come, sul territorio nazionale, la presenza femminile non sia uniforme. Mediamente, le donne rappresentano l’84,9% dei lavoratori domestici. In sette regioni la percentuale femminile supera il 90%, con il picco massimo in Valle d’Aosta (93,4%). Sotto la media nazionale, invece, troviamo – ad esempioLazio e Lombardia. In Campania e in Sicilia, inoltre, la componente maschile supera il 20%. Insomma, come sottolineano da Domina: “anche il lavoro domestico è cambiato, come molti segmenti della società, e non è più un comparto esclusivamente femminile. Oggi gli uomini impiegati nel comparto sono quasi 150 mila, pari al 15% del totale. Si tratta di una componente molto dinamica, cresciuta di quasi il 30% negli ultimi sei anni. Poco nota, in particolare, la figura del ‘badante’: 40 mila lavoratori uomini addetti alla cura della persona. Si tratta di dinamiche importanti, che danno prova dell’Italia che cambia. E a cui anche le politiche per la famiglia, e per la non autosufficienza, dovrebbero adeguarsi”.

In un Paese in cui la disoccupazione giovanile è tra le più alte a livello europeo, raggiungendo in alcune aree livelli preoccupanti (se a livello nazionale il tasso di disoccupazione è pari a 29,7%, in Sicilia il valore arriva al 48,8% ed in Calabria arriva al 47%), anche il lavoro domestico diventa poi un’importante opportunità di lavoro per i giovani. Si dovrà completare prossimamente la riforma sulla non autosufficienza, cercando di creare un nuovo modello di assistenza e di vita attiva per oltre 14 milioni di over 65. Forse non sarà possibile superare del tutto RSA e Case di riposo (come auspicato da tanti), strutture che vanno comunque fortemente ripensate, ma certamente andrà sempre più rafforzandosi l’assistenza domiciliare e con essa le attività di cura. Il IV Rapporto annuale dell’Osservatorio DOMINA evidenzia già da ora la crescita dei giovani (under 30) nel settore del lavoro domestico. Si tratta, secondo i dati aggiornati al 2021, di oltre 68 mila lavoratori domestici (regolari), pari al 7,1% del totale. E le serie storiche esprimono chiaramente le tendenze in corso negli ultimi dieci anni: nel 2012 i lavoratori domestici italiani “giovani” erano 14 mila, negli ultimi dieci anni il numero è cresciuto progressivamente in maniera quasi lineare, arrivando ad oltre 20 mila nel 2021 (+41%). La crescita dei giovani italiani nel mercato del lavoro domestico è inequivocabile e probabilmente rappresenta un nuovo modo per entrare nel mercato del lavoro. La maggior parte di questi lavoratori si trova nel Sud 46%, dove la disoccupazione giovanile è un fenomeno più radicato. Se poi andiamo a vedere come cambia l’incidenza di questi lavoratori sul totale lavoratori domestici italiani, vediamo che nelle aree del Sud arriva all’8,5% contro il 6% delle regioni del Nord ed il 6,8% del Centro (media nazionale 7,1%). Le regioni che registrano un primato sono la Calabria (10,8%), la Sardegna (8,9%) e la Sicilia (8,7). Di contro, il fenomeno è molto basso in Veneto (5,1%), Friuli Venezia Giulia (5,5%) ed Emilia- Romagna (5,6%).

Per quanto riguarda la composizione per tipologia di rapporto, il 55,6% dei domestici italiani è inquadrato come Colf, mentre il 44,4% come Badante. Mediamente guadagnano 3.600 euro, importo medio che deriva sia dall’orario ridotto (il 56% lavora meno di 19 ore a settimana) sia dalla durata dei contratti per un lavoratore su due non supera i 6 mesi. Solo il 6% supera i 10 mila euro di retribuzione annua, del resto solo il 9% lavora almeno 35 ore a settimana. Rispetto agli italiani, gli stranieri guadagnano di più (5.500 €), infatti il 46% lavora dalle 25 alle 29 settimane ed il 64% ha dichiarato nel 2021 almeno 6 mesi di lavoro. Diversamente dagli italiani si trovano al Nord (61%), dato in linea con la maggiore presenza straniera nelle regioni del Nord d’Italia.

E proprio sull’aggiornamento del contratto nazionale del lavoro domestico è in atto in questi giorni un duro braccio di ferro tra le associazioni dei datori di lavoro e i sindacati. Dopo due incontri della Commissione nazionale al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che si sono conclusi con una “fumata nera”, l’appuntamento decisivo è per il prossimo 16 gennaio 2023 (si cerca una mediazione su un aumento spalmato nel corso del 2023). Stiamo parlando dell’adeguamento automatico legato all’inflazione che per queste lavoratrici e questi lavoratori serve appena a coprire le conseguenze di un caro-vita che nel 2022 è andato a colpire soprattutto i lavoratori “poveri” e ad assicurare loro pari dignità rispetto agli altri lavoratori dipendenti, mentre- al contrario– per le famiglie gli effetti sarebbero minimi. La vera priorità dovrebbe essere quella di superare il lavoro nero, che oltre a danneggiare i lavoratori penalizza pesantemente le casse dello Stato: Domina ha infatti calcolato che la regolarizzazione del milione e 54mila addetti attualmente in nero comporterebbe un maggior gettito tra Irpef e contributi di 1,6 miliardi di euro.

Qui alcune infografiche del Rapporto 2022:

https://www.osservatoriolavorodomestico.it/rapporto-annuale-lavoro-domestico-2022.