Il Perù vive dal 7 dicembre 2022 giorni di mobilitazione popolare per chiedere le dimissioni della presidente golpista Dina Boluarte, nominata dal Congresso che ore prima aveva destituito Pedro Castillo dalla guida dello Stato. Finora, la repressione ufficiale delle manifestazioni ha provocato la morte di oltre 60 persone, oltre a dozzine di feriti e arresti. Oltre alle dimissioni di Boluarte, la protesta popolare chiede la chiusura del Congresso, la convocazione di un’Assemblea Costituente anti-fujimorista e la liberazione di Castillo, che si trova in custodia cautelare con l’accusa del presunto reato di ribellione.

La repressione delle forze di sicurezza contro le manifestazioni ha finora provocato più di 60 morti e centinaia di feriti. Ieri è arrivata la prima mozione di “posto vacante” (in pratica una richiesta di destituzione)  presentata al Congresso contro la golpista Dina Boluarte. Un gruppo di membri del Congresso ha presentato questo mercoledì una mozione di “posto vacante” contro il presidente designato del Perù, Dina Boluarte, per “incapacità morale”. Questa iniziativa, presentata dal legislatore Nieves Limachi (membro del partito di sinistra radicale Perú Democrático) e sostenuta da altri parlamentari, è nata nel contesto delle proteste in varie regioni del Paese per chiedere le dimissioni di Boluarte a causa della forte repressione delle forze di sicurezza contro le mobilitazioni sociali e popolari.

Tra i fondamenti di questa mozione di “posto vacante”, oltre alle rivendicazioni delle manifestazioni popolari contro il governo golpista, vi è il fatto che – come sostiene il documento – “il nostro Paese è dissanguato dalla pessima gestione del governo e delle forze dell’ordine guidate dalla signora Boluarte Zegarra”. Inoltre, i deputati hanno indicato che la golpista di destra Dina Boluarte è uno dei principali responsabili della situazione di quella nazione, “che agli occhi del mondo ha mostrato di non avere un briciolo di sensibilità umana nei confronti dei popoli del nostro Paese”.

La dichiarazione di “incapacità morale permanente del Presidente della Repubblica” è sollevata in conformità con le disposizioni dell’articolo 113.2 della Costituzione Politica del Perù. L’unico problema è che, affinchè passi questa mozione, sono necessari 66 voti e in seguito 87 per la rimozione.

A Lima, i manifestanti hanno protestato davanti all’ambasciata degli Stati Uniti (USA) nel Paese, prendendo posizione per esprimere le loro rivendicazioni e chiedere giustizia per le vittime delle repressioni. Da parte sua, il difensore civico del Perù ha riferito che, secondo il suo ultimo rapporto, in questo giorno c’erano circa 90 punti di blocco in 30 province1.

Nel frattempo un gruppo di 46 avvocati peruviani presenterà una denuncia contro Dina Boluarte presso la Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità. Il governo golpista di destra ha esteso la validità dell’immobilizzazione sociale obbligatoria nel dipartimento di Puno per 10 giorni di calendario a partire da questo mercoledì 25 gennaio, per i quali tutte le persone devono rimanere a casa dalle 20:00 alle 4:00 successive, mentre ha ordinato l’invio di truppe nella regione. La misura è complementare allo stato di emergenza imposto il 15 gennaio a causa dell’escalation del conflitto sociale a Puno, che ha coinvolto anche le regioni di Lima, Callao e Cusco. Questo annuncio avviene quando uno dei giorni più violenti si è svolto questo martedì nel centro storico di Lima, poche ore dopo che Dina Boluarte ha chiesto ai manifestanti una tregua nazionale per avviare un dialogo. Mentre Boluarte ha risposto alla stampa straniera e ha avvertito che Puno non era il Perù (per il quale si è poi scusato), centinaia di soldati si sono mossi in una marcia di campagna verso la città di Puno attraverso le colline del distretto di Laraqueri.

I militari hanno viaggiato in unità militari e autobus privati ​​provenivano da vari battaglioni delle caserme Tacna e Moquegua. D’altra parte, il procuratore del Perù ha aperto un’indagine contro il ministro dell’Interno, Vicente Romero, per la presunta commissione di un reato di atti funzionali da parte dell’Operazione di polizia organizzata nel campus dell’Università di San Marcos (UNMSM), a Lima, sabato scorso. 

“La Procura Nazionale apre un’istruttoria nei confronti di Vicente Romero, Ministro dell’Interno, quale presunto autore del reato di omissione di atti funzionali, a danno dello Stato, per i fatti accaduti nelle strutture dell’UNMSM il 21 gennaio.”

Di fronte a questo clima di repressione in Perù, un gruppo di 46 avvocati presenterà alla Corte internazionale dell’Aia un ricorso contro la presidente Boluarte, per gli oltre 60 morti registrati nelle proteste che ne chiedevano le dimissioni, soprattutto nel sud del Paese.

La portavoce dimissionaria, Clara Salinas Quispe, ha precisato che la denuncia sarà per l’accusa di crimini contro l’umanità commessi attraverso una sistematica politica di repressione nelle proteste iniziate lo scorso dicembre e in una seconda ondata in atto dal 4 gennaio.

La denuncia comprende il primo ministro Alberto Otárola e il capo del comando congiunto delle forze armate, generale Manuel Gómez de la Torre, ma anche gli ex ministri dell’Interno César Cervantes e Víctor Rojas e i deputati di estrema destra Jorge Montoya e Patricia Chirinos, tra gli altri2.

In tutto questa situazione, anche il ministro della Produzione del Perù, Sandra Belaunde, ha presentato le sue dimissioni mercoledì, secondo quanto riportato dai media locali. Belaunde è entrato in carica a capo del portafoglio Produzione poco più di un mese fa, il 10 dicembre. Nella sua lettera di dimissioni, il ministro uscente ha ringraziato il presidente del Consiglio dei ministri, Alberto Otárola, e ha elencato alcuni dei motivi per cui ha preso la decisione di non continuare a ricoprire l’incarico. 

Con queste dimissioni sono sei i ministri che hanno chiesto di lasciare il loro incarico dall’inizio del governo Dina Boluarte nel dicembre 2022: il ministro dell’Istruzione, Patricia Correa, e quello della Cultura, Jair Pérez, sono stati i primi a dimettersi il 16 dicembre, dopo le proteste ad Andahuaylas e Ayacucho che si sono concluse con la morte di almeno 20 manifestanti.