Nel nostro Paese un bambino ogni 1200 nasce con la sindrome di Down, una condizione genetica alla base della più comune forma di disabilità intellettiva nel mondo.
Una condizione che tuttora è accompagnata però da troppi stereotipi, efficacemente elencati in questa pagina web dell’Associazione Italiana Persone Down-AIPD: https://www.aipd.it/site/stereotipi/.
Un’associazione che dal lontano gennaio 1979 è attivamente impegnata al fianco di persone straordinarie, con un grande potenziale capace di contribuire allo sviluppo e all’arricchimento della nostra società.
Persone però rispetto alla quali vi è tuttora- purtroppo una diffusa disinformazione.
Chi sono, come vivono, quali supporti hanno e soprattutto quali non hanno le persone con sindrome di Down e le loro famiglie? A queste e ad altre domande ha provato a rispondere l’indagine «Non uno di meno. La presa in carico delle persone con sindrome di Down per il perseguimento del miglior stato di salute e la loro piena integrazione sociale» realizzata dal Censis in collaborazione con
l’Aipd su un campione di 1.200 caregiver intervistati in tutta Italia.
Quando viene meno la scuola, c’è spesso il nulla e non resta che stare a casa: è la realtà che vive quasi il 50% delle persone adulte con sindrome di Down, specialmente al Sud e nelle isole.
Poco più del 13% ha un lavoro da dipendente o collaboratore, ma solo il 35,0% percepisce uno stipendio normale (e non minimo): questi gli aspetti salienti della ricerca. Ma vediamo l’analisi più nel dettaglio.
Con l’aumentare dell’età della persona con sindrome di Down, aumenta anche il livello di gravità percepito.
Oltre i 45 anni, la disabilità viene percepita come grave dal 20,9% degli intervistati e come molto grave dal 18,6%, con una netta impennata rispetto alla fascia d’età 25-44 anni, quando la disabilità è percepita grave dall’8,2% e molto grave appena dall’1,0%.
L’impatto della sindrome di Down sul lavoro dei caregiver è significativo: risulta infatti che il 25,9% delle caregiver donne ha ridotto il lavoro (passando per esempio al part-time), mentre il 20,4% ha lasciato il lavoro o lo ha perso.
Sempre più spesso la diagnosi viene comunicata ai genitori fin dalla gravidanza: ben il 46,4% dei genitori dei bambini tra 0 e 6 anni ha ricevuto la diagnosi prima della nascita del figlio, a fronte dell’appena 1,5% dei genitori che hanno figli tra i 25 e i 45 anni.
Ad aver aiutato i genitori ad affrontare positivamente la situazione nei primi tempi sono stati per lo più (circa il 40%) genitori,parenti e amici.
La grande maggioranza delle persone con sindrome di Down abita nella propria casa (solo l’1,2% vive in una struttura residenziale).
Col passare degli anni, aumenta il tempo trascorso in casa o nel centro diurno: fino a 14 anni, oltre il 90% frequenta la scuola, mentre tra 25 e 44 anni il 39,3% lavora, il 24,3% frequenta un centro diurno e il 27,6% sta a casa.
La situazione si aggrava dopo i 44 anni, quando appena il 9,0% lavora, il 41,3% frequenta un centro diurno, ma ben il 44,8% non fa nulla e sta a casa. La tendenza a stare a casa è prevalente al Sud, dove riguarda ben il 33,0% del campione, a fronte dell’8,8% nelle regioni del NordEst.
Per quanto riguarda la scuola, le difficoltà dell’inclusione vengono indicate soprattutto nella scarsa preparazione degli insegnanti curricolari (è questa la risposta prevalente, soprattutto quando si parla della fascia 15-24 anni), ma anche degli insegnanti di sostegno.
È nelle scuole superiori, evidentemente, che la scuola inizia a mostrare maggiori carenze nell’offerta formativa e inclusiva per gli studenti con disabilità.
Poco meno della metà dei caregiver segnala la presenza nella propria Asl di appartenenza di un servizio pubblico o convenzionato dedicato alle persone con disabilità intellettiva e, tra questi, tutti lo utilizzano. È alta la percentuale di chi non è informato (28,8%) e il 23,7% dichiara che questa tipologia di servizio non è presente.
La mancanza d’informazione condiziona evidentemente lo stesso utilizzo dei servizi.
Solo il 26,0% del campione afferma che sul proprio territorio è stato realizzato un piano di presa in carico, il 24,0% dice che è stato predisposto ma è solo formale o ha una applicazione parziale, mentre per la metà dei casi il piano non è stato predisposto.
Ancora una volta emergono differenze significative a livello territoriale: al Sud, il 73,2% dei caregiver afferma che il piano per la presa in carico della persona con sindrome di Down di cui si occupa non è mai stato realizzato.
Per quanto riguarda la vita sociale e sentimentale, essa si esprime per lo più in attività strutturate, mentre risulta molto difficoltosa nelle attività informali.
Oltre il 50% non riceve mai amici e non va a casa di amici, oltre il 60% non esce mai con amici. Ma quasi il 90% partecipa ad attività sportive o simili. Il 24,0% ha una vita relazionale affettiva e il 2,5% ha una relazione sessuale, percentuale che sale a 4,3% tra i 25 e i 44 anni: segno che i tempi stanno cambiando e che ci stiamo lasciando alle spalle quella “ visione angelicata” e asessuata delle persone con sindrome di Down che ha caratterizzato il passato.
Riguardo al lavoro, il 13,3% ha un contratto da dipendente o collaboratore. Di questi, il 35% percepisce un compenso minimo, il 35% un compenso normale.
Le difficoltà principali incontrate dalla famiglia riguardano l’integrazione nella scuola e nella società (51%) e la fatica di orientarsi tra i servizi sociali e sanitari (48%). Molto significativi i dati sulle proposte d’intervento: la scelta ricade per lo più su progetti di educazione all’autonomia e alla vita
indipendente (47,9%), sull’offerta di servizi per il tempo libero (42,3%) e su politiche d’inclusione lavorativa (35,5%) e presa in carico complessiva della persona (33,8%).
Riguardo a ciò che dovrebbe fare la società per le persone con sindrome di Down, il 53,3% chiede di promuoverne l’autonomia e l’inserimento sociale e lavorativo, il 4,6% domanda di potenziare i servizi medici e riabilitativi.
Per quanto riguarda il costo sociale della sindrome di Down, il costo medio annuo per paziente (Cmap) stimato risulta pari a 27.677 €. Nello specifico, i costi diretti (legati alle spese direttamente monetizzabili sostenute per l’acquisto di beni e servizi) rappresentano il 15% dei costi complessivi, mentre i costi indiretti, a carico della collettività, rappresentano l’85% del totale:si tratta di costi legati agli oneri di assistenza che pesano sul caregiver, che sono stati monetizzati e risultano pari a 23.513 € all’anno.

Qui il Report completo: https://www.aipd.it/site/wp-content/uploads/2022/11/Indagine-Censis-AIPDreport-finale_4_11_22_compressed.pdf.