A seguito della sentenza che ha portato, dopo 14 anni di battaglia legale, alla sconfitta della multinazionale petrolifera Shell per i disastri ecologici causati nel Delta del Niger, qualcosa sta cambiando. Nonostante dei tempi processuali ancora biblici, le vittime di disastri ambientali in varie parti del globo hanno ad esempio realizzato che i tribunali europei sono sempre più aperti a prendere in considerazione i loro casi e a dar loro ragione. Troppo a lungo, infatti, diverse grandi aziende europee operanti all’estero sono rimaste impunite per i danni ecologici che hanno causato, i quali hanno spesso irrimediabilmente alterato interi ecosistemi e compromesso severamente l’economia di sussistenza di comunità locali. In questo senso, un ulteriore esempio è quello relativo alla recente decisione di un tribunale olandese, i cui giudici hanno stabilito di avere l’autorità per esaminare una richiesta di risarcimento presentata contro il produttore di alluminio Norsk Hydro, con sede a Oslo, per l’inquinamento causato nel nord del Brasile. La decisione è stata accolta con favore dalle migliaia di indigeni che hanno citato in giudizio l’azienda per aver danneggiato l’ambiente e minacciato la salute pubblica.

Ma questo non è un caso isolato, anzi. Basti pensare che, solo lo scorso anno, le comunità danneggiate dalle miniere di sale nel nord del Brasile hanno ottenuto il diritto di citare in giudizio l’azienda petrolchimica Braskem nei Paesi Bassi, così come le vittime del disastro della diga di Mariana hanno iniziato a ricorrere legalmente contro il gigante minerario BHP dopo che la Corte d’appello del Regno Unito ha concesso loro l’autorizzazione a intraprendere un’azione collettiva.

Gettando uno sguardo al passato, emerge poi come vittorie simili non siano affatto una rarità e che queste siano aumentate progressivamente nel tempo. Oggi, mentre le cause ambientali contro l’una o l’altra multinazionale aumentano a vista d’occhio, è già possibile affermare che i tribunali europei stanno diventando sempre più efficaci nel proteggere i diritti di piccole e povere realtà sociali. Non a caso, quella ambientale, è una delle aree del diritto che si sta sviluppando più rapidamente negli ultimi tempi. Nel complesso, il settore – come ha spiegato Tom Goodhead, socio dirigente dello studio legale UK Pogust Goodhead – «sta considerevolmente evolvendo allo scopo di giudicare sempre più efficacemente, nei tribunali del paese di residenza, le società responsabili di danni ambientali».

Al riguardo, il nuovo atto legislativo più promettente è la legge francese sull’obbligo di vigilanza, che impone a tutte le grandi imprese con sede in Francia e alle società internazionali con una grande presenza nel Paese di stabilire delle misure chiare per prevenire violazioni dei diritti umani e danni ambientali. Il primo caso che ha a tutti gli effetti testato questa legge avanguardistica è stato intentato, nel 2019, contro la compagnia energetica francese TotalEnergies per il suo enorme progetto petrolifero in Uganda e Tanzania. Le ONG francesi e ugandesi hanno affermato che il piano di supervisione ambientale dell’azienda per il controverso oleodotto dell’Africa orientale non era conforme alla legge. Dopo un’udienza in tribunale a dicembre, sebbene si prevedano difficoltà nell’ottenere l’attuazione della norma in territorio straniero, sono ora in attesa di una sentenza.

Una legge simile a quella francese entrerà a breve in vigore in Germania e, inoltre, l’Unione Europea sembra stia sulla buona strada per far approvare una direttiva sulla sostenibilità aziendale. In definitiva, in un mondo sempre più globalizzato – come ha concluso l’avvocato Goodhead – «le grandi aziende stanno prendendo atto di non poter sempre nascondere le attività delle loro filiali e, sebbene cercheranno ancora di farla franca, è sempre più difficile che i loro illeciti ambientali restino impuniti».

 

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