Numerose città in tutta Italia hanno aderito all’invito dell’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI) e dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra (ANVCG) a osservare la Giornata Nazionale dedicata alle vittime civili delle guerre e dei conflitti, una delle ricorrenze più significative del calendario civile, istituita con la legge 25 gennaio 2017, n. 9. Il testo della norma richiama l’impegno della società civile e delle istituzioni pubbliche al fine di non fare passare sotto silenzio la giornata e sollecitare una presa di coscienza da parte dell’opinione pubblica e della comunità internazionale complessivamente intesa per gettare luce su una delle grandi tragedie del nostro tempo, la particolare esposizione e il gran numero di civili vittime di violenza armata ai quattro angoli del pianeta. Come recita, infatti, il testo di legge, è istituita (art. 1), la Giornata nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti, al fine di «conservare la memoria delle vittime civili di tutte le guerre e di tutti i conflitti, nonché di promuovere … la cultura della pace e del ripudio della guerra».

Non si tratta, dunque, semplicemente, di un atto commemorativo, per quanto importante, per conservare la memoria, nello spazio pubblico, dei civili vittime della guerra; ma, in particolare, di un’occasione per confermare il ripudio della guerra, alimentare l’iniziativa e la riflessione intorno alla lotta contro la guerra e per la pace, sostenere la costruzione di una sempre più solida ed efficace «cultura della pace». Si tratta di un contenuto di rilievo: se da un lato, una cultura della pace non può essere costruita senza uno specifico impegno in ambito educativo e senza una corrispondente attività di carattere sociale, è altrettanto vero, d’altro canto, che solo attori sociali e istituzioni pubbliche capaci di alimentare e sostenere politiche e programmi di pace positiva («pace con diritti umani e giustizia sociale») possono costruire presupposti per prevenire, con la politica e la diplomazia, l’insorgere della guerra e attivare le condizioni per una effettiva cultura della pace.

Come hanno ricordato le Nazioni Unite, con l’adozione della Dichiarazione sulla cultura di pace (1999), «una cultura di pace è un insieme di valori, atteggiamenti, tradizioni, modi di comportamento e stili di vita fondati su: a) rispetto per la vita, rifiuto della violenza e promozione e pratica della nonviolenza tramite l’educazione, il dialogo e la cooperazione; b) pieno rispetto dei principi di sovranità, integrità territoriale e indipendenza politica degli Stati e non intervento in questioni che rientrano essenzialmente nell’ambito della giurisdizione nazionale di uno Stato […]; c) pieno rispetto e promozione di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali; d) impegno in favore di una composizione pacifica dei conflitti; […] i) aderenza ai principi di libertà, giustizia, democrazia, tolleranza, solidarietà, cooperazione, pluralismo, diversità culturale, dialogo e comprensione a tutti i livelli della società e fra le nazioni» (art. 1). Ad essa corrisponde il rispetto di una serie di condizioni non derogabili, tra le quali, secondo la Dichiarazione, «a) promozione della composizione pacifica dei conflitti, rispetto e comprensione reciproca e cooperazione internazionale; b) adesione agli obblighi internazionali, secondo la Carta delle Nazioni Unite e il diritto internazionale; c) promozione della democrazia, dello sviluppo e del rispetto e osservanza su scala mondiale di tutti i diritti umani e le libertà fondamentali; […] f) sradicamento della povertà e dell’analfabetismo e riduzione delle disuguaglianze all’interno e fra le nazioni; […] l) eliminazione di tutte le forme di razzismo, di discriminazione razziale, di xenofobia e dell’intolleranza ad esse collegata; […] n) piena realizzazione dei diritti di tutti i popoli … all’autodeterminazione».

Com’è noto, nel contesto della guerra del nostro tempo, la stragrande maggioranza delle vittime dei conflitti armati nel mondo sono civili. Un’importante ricapitolazione e un puntuale aggiornamento in questo senso sono stati recentemente sviluppati da una riunione ad hoc del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 25 maggio 2022, laddove Ramesh Rajasingham, Direttore dell’Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), ha ricordato che «il conflitto armato ha continuato a causare, lo scorso anno, una diffusa morte di civili, in particolare nelle aree densamente popolate, dove i civili hanno rappresentato il 90% delle vittime laddove sono state utilizzate armi esplosive, rispetto al 10% in altre aree». Inoltre, «alla fine del 2021, il conflitto ha provocato insicurezza alimentare acuta per 140 milioni di persone in 24 Paesi, comprese migliaia di persone in Etiopia, Nigeria, Sud Sudan e Yemen, che hanno subito una catastrofica insicurezza alimentare». Altrettanto grave la situazione in altri scenari, «in Siria, Afghanistan e altrove, ordigni esplosivi improvvisati, mine antiuomo e residuati bellici hanno causato la morte di civili, ostacolato l’accesso ai terreni agricoli, ai servizi essenziali e ai mezzi di sussistenza, e interrotto i servizi idrici, igienici e sanitari. Nello Yemen, le parti in conflitto hanno distrutto scuole, ospedali, strade, fabbriche, case e fattorie, mentre a Gaza, sono stati danneggiati pozzi, impianti di acque reflue e reti di distribuzione dell’acqua. […] Entro la metà del 2021, i combattimenti avevano costretto allo sfollamento forzato 84 milioni di persone, di cui quasi 51 milioni sfollati interni. La guerra in Ucraina e altri conflitti hanno spinto per la prima volta il numero di persone in fuga a oltre 100 milioni».

La Giornata Nazionale del primo febbraio contiene dunque un messaggio più attuale che mai, l’impegno della politica, il dialogo e la cooperazione internazionale per la prevenzione dei conflitti e la costruzione della pace.