Dopo giorni di attacchi furibondi contro i soccorsi operati in acque internazionali dalle navi delle Organizzazioni umanitarie, il governo Meloni incassa una evidente sconfitta a livello europeo, anche se si cerca di fare credere che le proposte italiane di regolamentazione al fine di contrastare le attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale siano state accolte. Basta leggere la bozza del Piano di azione già disponibile on line per verificare come non sia stata accolta la proposta italiana di indicare lo stato di bandiera della nave soccorritrice come paese responsabile per la assegnazione di un porto di sbarco sicuro. Il comandante della nave soccorritrice, senza differenze tra navi del soccorso civili e navi commerciali, deve procedere alla massima velocità al soccorso informando i paesi costieri competenti o limitrofi, chiedendo il coordinamento dei relativi MRCC (centrali di coordinamento), ma solo nei limiti in cui questi possano garantire interventi solleciti che salvaguardino la vita umana in mare e lo sbarco in un luogo sicuro. L’operazione di soccorso si conclude solo con lo sbarco a terra, come precisa anche l’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, e come è ribadito dalle Convenzioni internazionali.

Nessun mezzo di informazione può continuare a diffondere informazioni false che darebbero per accolta la proposta italiana di un nuovo codice di regolamentazione dei soccorsi operati dalle ONG in acque internazionali. Continua intanto a venire alla luce la gravità delle mistificazioni diffuse dal Viminale sul comportamento delle ONG, che finalmente passano all’attacco e ristabiliscono il principio di realtà.

Il documento elaborato dalla Commissione europea, e proposto come Piano di azione alla riunione del Consiglio dei ministri dell’interno in programma per venerdì 25 novembre, non accoglie nessuna delle richieste che il ministro dell’interno Piantedosi aveva rivolto ai partner europei, con argomenti che si rivelano in stretta adesione alle linee difensive del ministro Salvini, che nel processo di Palermo, sul caso Open Arms, cerca da tempo di criminalizzare le attività di soccorso e di chiamare in causa le responsabilità degli Stati di bandiera delle navi soccorritrici. Per liberarsi dalle responsabilità che gli vengono addebitate per avere impartito alla Open Arms nel 2019 un divieto di ingresso nel porto sicuro più vicino, divieto che venne poi contraddetto da una decisione del Tribunale amministrativo del Lazio, e quindi dal provvedimento di sequestro della nave da parte della Procura di Agrigento, che ordinava lo sbarco immediato dei naufraghi. Come era, ed è tuttora previsto, dalle Convenzioni internazionali di diritto del mare e dal Regolamento Frontex n.656 del 2014, atti normativi vincolanti per le autorità italiane in base al richiamo al diritto sovranazionale operato dagli articoli 10 e 117 della Costituzione.

Numerosi comunicati della Commissione europea avevano respinto la tesi italiana che giustificava, soltanto nei confronti delle ONG, la mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro, da raggiungere nel tempo più breve ragionevolmente possibile, come dettato dalle Convenzioni internazionali, dagli emendamenti e dalle Linee guida approvate dall’IMO, in favore della competenza prevalente dello Stato di bandiera (Flag State). E già nel 2020 la Raccomandazione della Commissione europea sui soccorsi in mare operati dalle ONG escludeva qualsiasi competenza primaria dello Stato di bandiera della nave soccorritrice, richiamando al contrario senza alcuna differenziazione per le navi umanitarie, le regole generalmente riconosciute sui soccorsi delle imbarcazioni in situazione di di distress (pericolo) in alto mare, L’assistenza richiesta dalle Convenzioni internazionali agli Stati di bandiera non può estendersi dunque fino alla indicazione del porto di sbarco. In passato la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, e la Germania avevano respinto le richieste italiane di assumere la responsabilità di coordinamento dei soccorsi per garantire lo sbarco a terra dei naufraghi in un porto indicato. dallo Stato di bandiera.

Dopo il respingimento collettivo adottato nei confronti dei naufraghi soccorsi dalla Ocean Viking, ai quali per giorni è stato negata l’indicazione di un POS ( place of safety) e dopo il loro sbarco a Tolone, la Norvegia, stato di bandiera, della nave ribadisce oggi che l’accoglienza che garantirà a qualche decina di persone sbarcate in Francia dalla nave di SOS Mediterranée non significa in alcun modo che possa invocarsi la tesi della responsabilità primaria dello Stato di bandiera della nave soccorritrice, per la indicazione di un porto di sbarco sicuro. Con queste premesse sarà ben difficile che a livello europeo si possa trovare un intesa che vada oltre un generico rafforzamento di Frontex e dei rapporti di collaborazione con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, come la Libia e l’Egitto.

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