Bill Gates è stato tra i più grandi sostenitori dell’industrializzazione dell’agricoltura e dell’esportazione coloniale dei metodi agricoli occidentali, ma oggi è visto come un innovatore nel campo dell’ecosostenibilità proponendo al contempo nuovi OGM, estrattivismo e centrali nucleari di quarta generazione e altri modelli ultrainquinanti. Quello che per i movimenti ecologisti è sempre stato il modello opposto a cui ispirarsi, oggi i governi lo propongono come “gotha dell’ambiente”. Che sia il potere dei soldi, la sua mitomania megalomane, ma anche la faccia tosta di mostrarsi per la persona che non è, proponendo il suo greenwashing dopo essere sato il patron di Microsoft, ovvero il fulcro della Silicon Valley, zona del mondo con impronta ecologica 6, ovvero la più alta al mondo (se tutto il mondo avesse impronta 6 non ci basterebbero 6 Pianeti).

Oggi Bill Gates cavalca la sensibilità ambientale per riproporre ancora il suo modello industriale. La cosa interessante è che la comunicazione di Bill Gates non parla di problemi reali, ma ribalta le logiche rendendole conniventi al suo soluzionismo. È lo stesso metodo di comunicazione usato dai rappresentanti pubblicitari di un prodotto, convincendoti a comprarlo. Spesso abbiamo sentito Bill Gates parlare della crisi climatica senza mai puntare il dito all’antropizzazione pervasiva, al modello capitalista o al modello di consumo. Questo perché è uno dei più grandi fautori e, in quanto rappresentante pubblicitario dei suoi prodotti, propone il soluzionismo tecnocratico alla crisi climatica non dando la colpa al modello di sviluppo ma bensì alla Natura. Dai discorsi di Bill Gates emerge spesso una visione antropocentrica e riduzionista per la quale non sarebbe lo sviluppo illimitato della società industriale ad aver creato la crisi ecologica, ma sarebbero al suo posto i comportamenti della Natura che noi umani dobbiamo correggere.

Ne emerge la “patologizzazione della Natura” ed un esempio è la geoingegneria che Bill Gates propone: anziché cambiare il modello di sviluppo che genera l’inquinamento e crea il surriscaldamento globale, il problema è il Sole che, da base della vita, diventa il problema con i suoi raggi ultravioletti. Questo legittima che si possano immettere delle sostanze a base di carbonato di calcio e litio con il fine di creare uno strato nell’atmosfera che impedisca al Sole di splendere. Secondo questo ragionamento non è l’impatto antropico sull’ambiente ad essere un problema, ma l’ambiente stesso, che non è accomodante con il modello capitalista prodotto dall’occidente. Una visione che deriva da una forte idea di dominio e che pone al centro i bisogni dell’essere umano rispetto alla Natura. Si esprime così l’idea baconiana di “Natura morta”, che aspetta solo di essere manipolata, aprendo alla “ingegnerizzazione del vivente”.

Bill Gates infatti, laddove bisogna lottare contro la zootecnia intensiva e l’agricoltura chimica fatta di monocolture intensive, veleni e pesticidi (modelli sempre sostenute e finanziati dalle Fondazioni Gates e Rockfeller), punta il dito contro l’agricoltura in generale proponendo la produzione industriale di cibo sintetico e coltivato in laboratorio attraverso bioreattori e con i metodi dell’agricoltura cellulare.

Con un gioco comunicativo Bill Gates si traveste da filantropo ed afferma che le soluzioni urgenti e da prendere rapidamente contro la crisi climatica sono le sue: Nuovi OGM, cibo sintetico ed agricoltura di precisione, cioè l’agricoltura senza agricoltori. Così facendo Gates ci fa dimenticare che il problema è l’industria agrochimico-alimentare su larga scala, e ci fa dimenticare le sue logiche soluzioni: l’agroecologia, l’agricoltura naturale di Masanobu Fukuoka, la permacultura dell’ambientalista austriaco Sepp Holzer, l’agricoltura biodinamica, le teorie di Emilia Hazelip sugli orti sinergici su piccola scala e una visione eco-centrica fondata sulla simbiosi tra essere umani, piante, animali e Terra. Una forma di eco-apartheid secondo cui anche l’agricoltura, come attività generale, è impattante e che quindi deve essere dimenticata, esattamente come tutto ciò che non porta ad un business monopolizzato. Possiamo dire che il filantrocapitalismo è l’ambasciatore pubblicitario e giustificatore delle soluzioni del nuovo capitalismo avanzato.

Ma Bill Gates si spinge oltre e, nel suo gioco comunicativo volto a patologizzare la Natura, rimane ambiguo anche sul tema degli allevamenti intensivi, bui lager in cui migliaia di animali sono costretti a vivere massificati in condizione igienico-sanitarie pietose e privi di ogni benessere. Gli allevamenti intensivi espropriano foreste, prati ed ecosistemi desertificandoli; emettono metano, ammoniaca e gas serra perché gli animali sono rinchiusi in spazi ristrettissimi ad altra concentrazioni e nutriti con mangimi-spazzatura a base di cereali e soia da monocoltura intensiva. Negli allevamenti intensivi di bovini, le emissioni di gas serra derivano da tutto il sistema industriale, dalla zootecnia al regime alimentare con cui vengono nutriti, ovvero attraverso dei mangimi-spazzatura dei sistemi Cafo1 che non sono adatti all’apparato digestivo delle mucche. Nonostante ciò, Bill Gates a pagina 184 del suo libro Clima. Come evitare un disastro, punta il dito contro la biologia della mucca e non contro gli allevamenti: “Se guardiamo all’interno dello stomaco di una persona, troviamo solo una cavità in cui il cibo comincia a venir digerito prima di dirigersi verso l’apparato intestinale. All’interno dello stomaco di una mucca troviamo però quattro cavità (…) producendo metano come sottoprodotto”. Incolpare i quattro stomaci delle mucche per l’emissione di metano è una colonizzazione dell’immaginario, un’affermazione falsa senza validità scientifica. Se così fosse anche gli altri erbivori, i cervi, le renne, i bisonti, le pecore, le capre e gli elefanti sarebbero un problema ma non lo sono. Pensiamo solo agli elefanti del Kenya: prima che arrivassero le ambientaliste Kuki e Sveva Gallmann, in quella terra gli elefanti erano stati espropriati del loro habitat, devastato nel frattempo proprio dalle mandrie di circa 3.000 vacche d’allevamento che ogni giorno si recavano alle pozze a bere2. Da quando c’è la Riserva Gallmann le vacche non ci sono più, gli elefanti sono tornati a vivere, l’erba ha iniziato a crescere e si sono rinstaurati gli equilibri ecologici. Il problema non era la biologia delle vacche, ma la loro presenza per causa antropica in un habitat destinato agli elefanti. Inoltre secondo studi etologici sappiamo che le “vacche selvatiche” possono avere un ruolo ecologico. Dal 1986, dopo l’esplosione nucleare a Chernobyl, molti animali come cani o mucche, non sono scappati ma sono diventati selvaggi. La Chernobyl Radiation and Ecological Biosphere Reserve3 ha osservato una mandria di mucche nella periferia del villaggio di Lubyanka e dell’ex villaggio di Chistogalivka che da più di 30 anni pascolano da sole, senza padroni e senza la presenza umana. Le mucche selvatiche di Chernobyl4 oggi hanno preso il posto dell’uro5 (Bos primigenius), modellando il paesaggio e contribuendo a conservare la diversità del paesaggio. Ciò che necessità di correzioni non sono gli equilibri ecologici della Natura, ma il nostro modo di concepire il mondo.

di Lorenzo Poli – 16 novembre 2022

3 un ente scientifico che si occupa di conservazione ambientale

5 L’uro è l’antenato selvatico dei buoi diffuso nelle foreste e nelle steppe dell’Eurasia che si è estinto nel 1627 in Polonia a causa probabilmente dell’impatto antropico. L’uro contribuì al modellamento del paesaggio, motivo per cui è stato definito anche “ingegnere degli ecosistemi”.