La cerimonia per l’annessione dei territori occupati dall’esercito russo in Ucraina, a seguito di referendum illegali e condotti sotto la minaccia delle armi, è stata un’esibizione di patriottica unità da parte di Vladimir Putin e del suo entourage.
Tuttavia, almeno una crepa si intravede nella solida facciata del potere, ed è quella che oppone gli elementi più radicali (che ruotano attorno ai servizi segreti e alla figura di Yevgeny Prigožin, potente oligarca vicino al presidente Putin e capo del Gruppo Wagner) a esponenti più inclini a cercare una soluzione diplomatica (perlopiù concentrati tra le fila dei militari).
Le ripetute critiche per come è stata fin qui condotta la guerra provenienti tanto dal leader ceceno Kadyrov, quanto dal già citato Prigožin, mettono pressione sul Cremlino e anticipano una possibile resa dei conti dentro al palazzo.
L’Institute for the Study of War ha pubblicato il 5 ottobre scorso un rapporto in cui afferma che il presidente Putin, messo all’angolo dai “falchi” e oggetto di numerose critiche, finirà per incolpare il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, per i fallimenti russi, rafforzando i legami con elementi “radicali” .
Non a caso il Cremlino ha annunciato alcuni avvicendamenti alla guida dell’esercito.
Il ministro della Difesa Sergey Shoigu ha nominato il generale Sergey Surovikin al comando dell’operazione militare in Ucraina, mentre Alexander Chaiko, comandante del suo distretto militare orientale, è stato rimpiazzato dal tenente Rustam Murado, secondo un rapporto di Reuters.
Vale la pena ricordare che l’esercito è l’unica forza capace di rovesciare il regime e un’eventuale epurazione andrebbe anche letta in tal senso.
Ma se la resa dei conti tra militari e servizi segreti non è ancora giunta, qualcosa aleggia nell’aria.
Propagandisti televisivi come Margarita Simonyan e Vladimir Soloviev hanno criticato apertamente le modalità con cui l’esercito sta procedendo alla mobilitazione ordinata da Putin, accusando i militari di fomentare l’instabilità nel paese reclutando russi inabili al servizio.
Insomma, dopo i fallimenti militari e la fuga di tanti giovani dal paese dopo l’ordine di mobilitazione militare, qualche testa dovrà cadere ma certo non sarà quella di Putin che, anzi, sembra volersi appoggiare ai “falchi” per mantenere il proprio potere.
Una scelta obbligata dopo le sconfitte subite sul campo.
Infatti Putin sa bene che perdere questa guerra significherebbe per lui rinunciare al potere dovendo forse temere anche per la propria incolumità fisica.
Un prezzo che certo non è disposto a pagare.