In Italia, in particolare nelle città d’arte, componente essenziale dello straordinario patrimonio storico-culturale del Paese, la questione del turismo si connette, inestricabilmente, ad altre due questioni: la tutela del patrimonio storico-artistico e la salvaguardia degli ecosistemi urbani e naturali. Nelle riflessioni che hanno animato la conferenza su “La sostenibilità turistica, sociale ed urbanistica delle Città d’Arte, tra presente e futuro”, tenuta, nell’ambito dell’edizione 2022 del WTE, il World Tourism Event, nella Sala Can Francesco della Scala detto Cangrande I, al Palazzo della Gran Guardia, a Verona, il 15 settembre 2022, tali peculiarità e preoccupazioni sono state richiamate e approfondite. Il tema della conferenza, a sua volta, offre un’opportunità preziosa per una serie di ulteriori riflessioni.

Complessità e delicatezza degli ecosistemi

Il patrimonio culturale si esprime in Italia, tra l’altro, in termini di territorio, quindi di ecosistema urbano e naturale, con beni, saperi e pratiche dall’ampio significato storico-culturale, al punto da superare i confini del luogo stesso in cui si trovano; e in termini di paesaggio, inteso, in base alla Convenzione europea del 2000, come quella «determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e umani, e dalle loro interrelazioni». La tutela del patrimonio, quale istanza di fruizione per le comunità e di trasmissione alle future generazioni, e la promozione del patrimonio, come fattore identitario e risorsa sociale, esigono dunque una politica capace di perseguire obiettivi quali la conservazione (tutela), il capacity building, la comunicazione, la ricerca e la formazione di «comunità di patrimonio», vale a dire, in base alla Convenzione di Faro del 2005, quell’«insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un’azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future».

Su 1154 siti del patrimonio al mondo, l’Italia ha 58 siti Unesco e 17 città d’arte, e costituisce, pertanto, il principale Paese per siti Unesco. Un sito Unesco, a propria volta, rappresenta non solo un «luogo della cultura» di eccezionale valore storico, artistico e culturale e, di conseguenza, un attrattore turistico, ma anche un potenziale generatore economico: secondo alcuni studi, una designazione Unesco può generare un incremento economico pari a circa il 5%. Un sito Unesco costituisce anche un generatore di flussi e di impatti turistici e un potenziale moltiplicatore di effetti negativi in termini di “overtourism” (sovraturismo) e “turistificazione” dei territori. Un approccio Unesco, vale a dire un approccio di gestione e fruizione dei siti coerente con le policy Unesco, suggerisce di porre tali siti in relazione alle grandi tematiche della accessibilità, della fruizione e della tutela, nonché di mettere a sistema i contenuti e gli approcci della Raccomandazione del 2011 sul Paesaggio storico urbano.

Le politiche di gestione e di fruizione non possono, dunque, non essere inquadrate nel contesto della dimensione di complessità e di fragilità ecosistemica tipiche del tessuto territoriale e morfologico del Paese (si pensi, ad esempio, a Venezia per l’ecosistema lagunare, e a Napoli per il rischio sismico e vulcanico). Tra gli elementi di una politica di gestione e di fruizione si possono indicare, almeno, un progetto di governance del turismo; una rigorosa regolamentazione delle attività commerciali e delle locazioni turistiche; il potenziamento e la diversificazione delle vie di accesso alla città e del trasporto pubblico (con interscambio e intermodalità); la riduzione del numero di turisti, il miglioramento della qualità della vita delle persone, la riqualificazione di tutte le aree urbane, preservando le destinazioni urbane storiche e garantendo l’integrità delle risorse del patrimonio (l’equilibrio tra tutela e sviluppo) e la mitigazione degli impatti con misure ad hoc (l’equilibrio tra turismo e salvaguardia della città).

In questo insieme, il sottoinsieme rappresentato dalla cosiddetta “dimensione economica” del turismo, in particolare del turismo culturale, racchiude una sua specificità, specie in Italia. L’Italia è non solo Paese di destinazione del turismo, sia per i siti Unesco sia per il patrimonio culturale e naturale complessivo, ma è anche Paese centrale tra le destinazioni internazionali, soprattutto per la presenza diffusa delle città d’arte. Peraltro, tra gli effetti della pandemia, vi sono stati l’incremento del turismo di prossimità, l’aumento degli ingressi dai Paesi più vicini e l’incremento della diversificazione, naturalistica, enogastronomica e di «turismo negli spazi aperti». Tali fenomeni si accompagnano, tuttavia, alla moltiplicazione dei canali, fisici e, soprattutto, digitali di organizzazione della presenza turistica.

Per quello che riguarda tali applicazioni, sono passate da una fase iniziale, segnata dall’ingresso nel mercato e dal relativo contenimento dei prezzi, a una fase ormai matura, che sembra indicare una tendenziale saturazione della quota di mercato e un minor contenimento dei prezzi. Nel caso di queste piattaforme, gli utenti cercano spesso la possibilità di effettuare esperienze turistiche locali, prezzi contenuti, disponibilità di specifiche località o periodi dell’anno, percorsi turistici fruibili e, tendenzialmente, “personalizzati”; per questi stessi motivi, si avverte sempre più la necessità di una attenta regolamentazione per contrastare i fenomeni dell’overtourism e della spoliazione dei territori. Secondo un recente reportage di Insider, su «venti posti in giro per il mondo rovinati dal turismo» (sovraturismo), ben tre si trovano in Italia: Trinità dei Monti, l’intero centro di Roma, e Venezia.

Impatti negativi e «turistificazione»

Le piattaforme stesse hanno subito una propria evoluzione nel tempo: dalla pervasività (2009-2019) con progressivo effetto di svuotamento dei centri storici; all’impatto del Covid (2020-2021); sino alla attuale ripresa post-Covid (2022) con una sempre più marcata esigenza di regolamentazione nel senso della sostenibilità. Se una piattaforma, in generale, è alimentata da dati e organizzata attraverso algoritmi e interfacce, una piattaforma turistica digitale, in particolare, è selettiva nello spazio dei luoghi perché tende a concentrare l’offerta negli spazi di interesse turistico (soprattutto centri storici e luoghi d’arte), con effetti, potenzialmente gravi, di polarizzazione e concentrazione turistica, e quindi di massificazione e impatto negativo; nel caso di Firenze, ad esempio, è stato mostrato che nel 2019 il 30% del patrimonio immobiliare è veicolato dalle piattaforme, cioè un interno su tre nel centro storico è adibito a locazione breve, il che determina impatto e vera e propria espulsione turistica.

Come ricorda ad esempio, in relazione al caso della città di Napoli, la Rete SET (Sud Europa di fronte alla Turistificazione), «ben l’80% degli annunci di affitti brevi più attivi a Napoli offrono interi appartamenti come alloggi ai turisti. Solo il 20% degli annunci offre singole camere. Ciò significa che, nella stragrande maggioranza dei casi, la casa-vacanza è un business, e non un modo per arrotondare le entrate per pagare le bollette o le altre spese di casa, come vorrebbe la retorica di airbnb. Gli appartamenti interi offerti su airbnb sono case sottratte ad abitanti e studenti, che così si trovano davanti prezzi proibitivi per le poche abitazioni rimaste sul mercato degli affitti ordinari».

Il funzionamento delle piattaforme digitali tende ad amplificare ed aggravare tali fenomeni. Le recensioni sulle piattaforme veicolano infatti «meccanismi circolari cumulativi», vale a dire sovra-alimentano l’impatto su un numero limitato di luoghi all’interno della stessa destinazione; in altre parole, tendono a veicolare l’offerta sempre negli stessi luoghi, che sono i luoghi maggiormente visitati dai turisti, su cui si concentra la maggior parte dell’informazione (dati, commenti, link, post, foto) e in cui si addensa il maggior numero di recensioni, amplificando l’impatto in termini di non-sostenibilità. Aumenta il numero degli appartamenti interi veicolati, crescono gli host che gestiscono più appartamenti (non più singoli, ma catene e grandi attori economici), quindi non si tratta ormai più di sharing economy, di “economia della condivisione” e di ospitalità diffusa, bensì di capitalismo aggressivo, quindi di ulteriore concentrazione e desertificazione. Tale polarizzazione dipende non solo dalla densità culturale dei centri ma anche dal meccanismo di funzionamento della piattaforma (rating, review, trust) e impone quindi di agire sul tema della c.d. sostenibilità della “città turistica”.

Le piattaforme, di fatto, ridisegnano e alterano la geografia («geografie mutevoli») delle città. Non è ormai più il cittadino che mette a disposizione la sua seconda casa o una stanza all’interno della casa, ma è un operatore economico forte che gestisce una quantità di alloggi, se non addirittura grandi catene che si stanno letteralmente appropriando di interi pezzi del patrimonio residenziale delle città d’arte. L’alienazione dello spazio e la sottrazione di appartamenti ai residenti determina fenomeni di spoliazione e turistificazione; la regolamentazione del fenomeno è dunque sempre più necessaria, ad es. immaginando un sistema di autorizzazioni per le locazioni brevi e di autorizzazioni basate sul principio “un proprietario – un’autorizzazione”, contrastando il fenomeno dei top host che gestiscono decine di alloggi, sottraendoli alla residenzialità, limitando opportunamente i giorni di alloggio turistico. Non è il turismo in sé, evidentemente, il problema; l’esasperazione turistica e la vera e propria turistificazione, alimentate dalle logiche dell’accumulazione e del profitto, costituiscono una minaccia seria per la tutela e per la sopravvivenza dei fragili ecosistemi urbani e sociali delle città storiche.

Ripensare il turismo”

Come ha ricordato Nancy Fraser, si deve puntare «non tanto alla protezione della società (per come essa era), ma piuttosto all’emancipazione, quindi a una trasformazione sostanziale dei rapporti sociali… In questo movimento sembrano iscriversi diversi movimenti, che si sono opposti alla “airbnbficazione” della città, … il cui obiettivo non sembra essere solo quello di arginare il fenomeno delle locazioni brevi, ma di riportare il diritto fondamentale all’abitare al centro delle agende politiche urbane globali». Nella Giornata mondiale del turismo (27 settembre), istituita dalla UNWTO (United Nations World Tourism Organization), si tratta dunque di fare crescere consapevolezza e attenzione, nella prospettiva delle «comunità di patrimonio», sulla tutela del patrimonio storico-culturale e delle città d’arte. In particolare pensando al tema della giornata del 2022: “ripensare il turismo”, con l’obiettivo di «mettere al centro le persone e il pianeta e costruire visione condivisa per un turismo più inclusivo e sostenibile».