Facciamo il punto della situazione. Come sempre, in Italia, quando c’è un problema complesso, il dissenso fatica ad esprimersi seriamente e quel poco spesso sfiora il problema e non lo affronta. Con la guerra in Ucraina e il problema del rifornimento del gas russo, una narrazione alternativa si è concentrata giustamente sull’opposizione alla guerra, contro la guerra commerciale tra USA e Russia per il primato della fornitura di gas (naturale russo VS liquefatto statunitense), contro l’innalzamento dei prezzi e contro la strumentalizzazione della guerra da parte della speculazione finanziaria sostenuta dai governi neoliberisti.

Tra le opposizioni, spesso destrorse o che si autodefiniscono “apolitiche” o di “buonsenso”, in linea con un certo perbenismo reazionario e benpensante, si è dato adito ad una narrazione tossica che si pensava superata: “Se non possiamo prendere il gas dalla Russia, perché non lo estraiamo in Italia che ne abbiamo tanto anche per una questione di indipendenza energetica?”.

Una domanda a cui alcuni programmi della tv commerciale, come Fuori Dal Coro di Mario Giordano a marzo 2022, avevano risposto con servizi giornalistici imbarazzanti, volti a rigenerare opinioni superate rilegittimandole come “anti-sistema” o “alternative”. Un’operazione di propaganda televisiva che aveva delle lacune profondissime e che cavalcava una cera onda di dissenso con il fine di canalizzarlo su certe posizioni politiche. Si diceva: “In Italia ci sono 752 pozzi di estrazione del gas completamente inattivi. Di 1.298 punti di estrazione, 752 sono fermi.” – mostrando le trivelle ferme in Romagna, nella Laguna di Venezia, nelle Marche e in Abruzzo. Hanno parlato della Piattaforma Fabrizia 1, di fronte a San Benedetto del Tronto, scandalizzandosi per il fatto che fosse un “pozzo produttivo non erogante”, ovvero il gas è pronto per essere preso ma nessuno lo estrae.

A parlare avevano chiesto all’Ingegner Michelangelo Tortorella, CEO Dg di Impianti-Assomineraria, anch’egli scandalizzato per la situazione.

Nel 2000 si estraevano 17 miliardi di metri cubi, oggi solo 800 milioni. Tradotto: il 95% in meno” – proseguiva il servizio – “Di gas ce n’è ancora parecchio. Le stime sono di 140 miliardi di metri cubi ancora in Italia”, per poi aggiungere che nel 2021 abbiamo estratto 3,34 miliardi di metri cubi (6% di gas di nostra produzione, mentre 94% dall’estero) e che se avessimo tutti i pozzi riabilitati potremmo sfruttare il “potenziale minerario importante” dell’Italia fino a 10 volto di più, arrivando ad estrarre 30 miliardi di metri cubi all’anno. Se la matematica non è un’opinione vuol dire che potremmo usufruire solo per 5 anni della “grossissima mole” di gas.

Però il servizio faceva leva sul fatto che il nostro gas avrebbe un costo di 5 centesimo al metro cubo (a marzo 2022), mentre quello dall’estero spendiamo 70 centesimi (a marzo 2022) per prenderlo dalla Libia, dall’Algeria, dalla Russia, dai Paesi del Nord. Ma ciò non ha alcun senso se pensiamo ai costi economici, ambientali, alle Valutazioni di Impatto Ambientale e alla durata del gas italiano che non riesce a ricoprire il fabbisogno energetico.

Il servizio, circolato molto sui social media, ha de facto riabilitato vecchie retoriche scaricando la colpa di questo all’ambientalismo ed elogiando l’estrattivismo minerario. In realtà sappiamo benissimo ciò che il servizio ometteva, ovvero che il gas estratto all’interno delle 12 miglia è poco meno del 3% del gas necessario al fabbisogno nazionale e che il petrolio è solo lo 0,95%. Insomma usando quello potremmo andare avanti si e no 6 mesi. Quindi di quale indipendenza energetica stiamo parlando? Non c’è bisogno di andarlo a cercare altrove basterebbe una politica di risparmio energetico funzionante. Inoltre, in Italia, l’energia prodotta dalle rinnovabili è già al 38% e il contributo di energia elettrica alla produzione nazionale, derivante da fonti rinnovabili, supera quella di origine fossile.

Forse questa narrazione tossica, in tutti i sensi, vuole arrivare a chi non sa che il gas o il petrolio estratti anche se in acque italiane non è più dell’Italia ma è delle Compagnie che lo estraggono. Forse non sanno che, fin dal 2016, la Croazia e la Francia hanno chiesto lo stop delle perforazioni in Adriatico e nel Mediterraneo, mentre l’Italia non ha mai espresso alcuna intenzione.

Forse non sanno che attualmente siamo in contrasto con le leggi Europee e precisamente con la Direttiva 94/22/CE, recepita dall’Italia con d.lgs n.625 del 25/11/1996 e che mantenendo tale norma si va incontro ad una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia (vecchi report di GreenPeace e del WWF lo affermano).

Inoltre, questa narrazione sembra mettere in secondo piano il fatto che l’estrattivismo e la devastazione ambientale sono tra le con cause del collasso climatico e degli squilibri ecologici marini creando un impatto fortissimo. Gli Stati, da anni, stanno discutendo come affrontare l’innalzamento della temperatura avvenuta negli ultimi 150 anni, a partire dall’industrializzazione di cui l’estrattivismo ne è un paradigma nell’Antropocene. Ci sono centinaia di scienziati che ormai hanno stabilito che negli ultimi 150 la temperatura si è alzata almeno di 0,7°C e che ormai siamo al limite di quella soglia che è stata individuata di 2 °C oltre la quale la sopravvivenza della nostra specie e delle altre è a rischio.

Eppure, questa narrazione vuole riabilitare le vecchie teorie del negazionismo climatico, finanziato fin dagli anni Ottanta da multinazionali come Exxon, portando a credere che sia giusto usare il gas…se c’è e finchè c’è… tanto la crisi climatica è “puro allarmismo fuoriluogo” in quanto la Terra ha sempre avuto cicli e cambiamenti climatici ciclici, come i periodi glaciali, e interglaciali, i Wurm, i Riss, i Mindel e molto altro. Pure panzane, perché è la società industriale di massa e la globalizzazione coincidono perfettamente con il picco di surriscaldamento globale.

Si tratta di una retorica che, da un certo punto di vista, vuole oscurare l’operato anti-ecologico del “governo dei migliori” guidato da Draghi, con la “Finzione ecologica” del Ministro Cingolani volta invece ad un puro greenwashing e all’accrescimento del green capitalism, che nulla ha di ecologico in quanto rigenerazione dell’attuale modello di sviluppo, consumo e produzione, senza mettere in discussione la società industriale globalizzata e il suo impatto complessivo. Non si parla infatti di come le discussioni in Europa sulla fantomatica “tassonomia verde” non abbiano in realtà un corrispettivo ecologico, ma piuttosto finanziario (per dichiarazione degli stessi neoliberisti e burocrati di Bruxelles), a tal punto da includere anche il super impattante nucleare di nuova generazione.

Una retorica che si dimentica come il Ministro Cingolani ha definito gli ambientalisti e come non abbia esitato a firmare nuove concessioni di trivelle (che poteva assolutamente fermare) come i progetti di perforazione di tre pozzi di petrolio e gas già esistenti (il pozzo ‘Calipso 5 Dir’ nelle Marche, che Eni vorrebbe scavare al largo di Ancona; il pozzo ‘Donata 4 Dir’, fra Marche e Abruzzo; e il pozzo esplorativo Lince, in Sicilia). Esattamente come i 7 decreti che riguardavano le Via relative al rinnovo delle concessioni minerarie ‘Barigazzo’ e ‘Vetta’, in Emilia Romagna, per la coltivazione di idrocarburi gassosi; i progetti di messa in produzione del pozzo a gas naturale ‘Podere Maiar 1dir’, nell’ambito della concessione di coltivazione ‘Selva Malvezzi’, in Emilia Romagna; il giacimento per la coltivazione di idrocarburi ‘Teodorico’, tra Emilia Romagna e Veneto.

Tutto questo per ribadire come la squallida idea di riprendere l’estrazione massiccia di gas in Italia, collaborando allo svuotamento del sottosuolo, sia una narrazione tossica, falsata e banale.