Il dizionario della Real Academia Española dice che discriminare vuol dire “selezionare escludendo”. Perciò parlare di discriminazione equivale a parlare di esclusione.

Un’altra definizione della Real Academia del significato di discriminare è «trattare in modo disuguale una persona o un gruppo per motivi razziali, religiosi, politici, di sesso, eccetera». Perciò parlare di discriminazione è anche parlare di come si tratta o si viene trattati.

Qui entra in gioco la Regola d’oro che dice: tratta gli altri come vorresti essere trattato.

Ecco che mi devo chiedere: voglio che mi trattino con discriminazione? Voglio essere escluso?

E se non voglio essere trattato così, o così male a esser precisi, quando io escludo qualcuno, quando lo discrimino, entro in contraddizione perché ciò che sto facendo non coincide con ciò che penso e sento, ovvero che non vorrei esser trattato in tal modo.

La Regola d’oro è il decimo dei Princìpi di Azione Valida dell’umanesimo siloista. Nel libro Lo Sguardo Interno viene enunciato in questa forma: «Quando tratti gli altri come vuoi essere trattato, ti liberi».

Questo principio è l’unico che Silo riprende nella scrittura del Cammino (l’ultima parte del libro Il Messaggio di Silo), dove dice: «Impara a trattare gli altri nello stesso modo in cui vuoi essere trattato».

Va chiarito che la Regola d’Oro non è un principio esclusivo dell’umanesimo. Si tratta di un «principio morale, assai diffuso tra diversi popoli, che rivela un atteggiamento umanista», secondo quanto registra il Dizionario Umanista.

A mo’ di esempio, vale la pena ricordare altre modalità di enunciazione di questo principio:1

Il Rabbino Hillel, un maestro ed erudito ebreo che visse a Gerusalemme durante il I sec. a.C., affermava: «Quello che non vorresti per te non farlo al tuo prossimo».

Il saggio filosofo greco Platone diceva: «Mi sia concesso fare agli altri ciò che vorrei facessero a me».

Confucio, il pensatore cinese che visse cinque secoli prima di Cristo, formulava così il principio: «Non fare all’altro ciò che non ti piacerebbe fosse fatto a te»

Nel giainismo, una religione dell’India che ebbe origine nel VI sec. a.C., esiste la seguente massima: «L’uomo deve sforzarsi di trattare tutte le creature come a lui piacerebbe essere trattato».

Nel cristianesimo si dice: «Tutte le cose che vorreste gli uomini facessero con voi, voi fatele con loro».

E tra i sikh, membri di una religione che è il sincretismo tra l’induismo e l’islam e che apparve nel XV secolo, si diceva: «Tratta gli altri come vorresti che ti trattassero».

Vediamo quindi che la Regola d’Oro esiste fin dall’antichità.

Ed è un principio che coincide pienamente con la visione che noi umanisti siloisti abbiamo riguardo l’essere umano. Quando ci esprimiamo contro qualunque tipo di discriminazione, quando parliamo del rispetto per la diversità, del diritto a scegliere le condizioni di vita a cui aspiriamo per noi stessi e per gli altri, risuona questa morale, questo principio di comportamento.

Ebbene in questo principio ci sono due aspetti: da una parte c’è il modo in cui si vuol essere trattati dagli altri; dall’altra, il modo in cui si è disposti a trattare gli altri.

Per capirci meglio, facciamo riferimento2 al Manuale dei Temi Formativi e Pratiche per i Messaggeri di Silo.

A. Il trattamento che si richiede agli altri.

L’aspirazione comune punta a ricevere un trattamento privo di violenza e a richiedere aiuto per migliorare la propria esistenza. Questo è valido anche fra i più grandi violenti e sfruttatori quando richiedono collaborazione da parte di altri per sostenere un ordine sociale ingiusto. Il trattamento richiesto è indipendente da quello che si è disposti a offrire agli altri.

B. Il trattamento che si è disposti ad offrire agli altri.

Si suole trattare gli altri in modo utilitaristico, come si fa con diversi oggetti, con le piante e con gli animali. Non parliamo del caso estremo del trattamento crudele, perché, dopo tutto, non si distruggono gli oggetti che si vogliono utilizzare. In tutti i casi, si tende ad aver cura di loro, sempre che la loro conservazione gratifichi o renda una qualche utilità presente o futura. Ciononostante, ci sono alcuni “altri” che perturbano un tantino lo schema: sono i cosiddetti “esseri cari”, la cui sofferenza o allegria ci produce forti commozioni. In essi si riconosce qualcosa di noi e si tende a trattarli nel modo che si vorrebbe essere trattati. Cosicché c’è un salto fra gli esseri cari e quegli altri nei quali non ci si riconosce.

C. Le eccezioni.

Riguardo agli “esseri cari”, si tende a offrire loro un trattamento di aiuto e cooperazione. Questo succede anche con quelle persone estranee nelle quali si riconosce qualcosa di noi, perché la situazione in cui l’altro si trova fa ricordare la propria o perché si calcola che in una situazione futura l’altro potrebbe trasformarsi in un fattore di aiuto nei nostri confronti. In tutti questi casi si tratta di situazioni particolari che non sono uguali per tutti gli “esseri cari” e che non si estendono a tutti gli estranei.

D. Le semplici parole non danno fondamento a nulla.

Uno desidera ricevere aiuto, ma perché dovrebbe darlo ad altri? Parole come “solidarietà” o “giustizia” non sono sufficienti; si pronunciano con un sottofondo di falsità, vengono dette senza convinzione. Sono parole “tattiche” che si suole utilizzare per stimolare la collaborazione degli altri, ma senza darla agli altri. Questo può essere esteso anche ad altre parole tattiche come “amore”, “bontà”, ecc. Perché si dovrebbe amare qualcuno che non è un essere caro? La frase «amo chi non amo» è contraddittoria, e dire «amo chi amo» è ridondante. D’altra parte, i sentimenti che sembrano rappresentare quelle parole si modificano in continuazione e posso comprovare che lo stesso essere caro lo amo di più o di meno. Infine, gli strati di questo amore sono diversi e complessi; cosa che appare chiaramente in frasi come questa: «Amo X, ma non lo sopporto quando non fa quello che voglio».

E. L’applicazione della Regola d’Oro a partire da altre posizioni.

Se si dice: «Ama il prossimo tuo come te stesso per amore di Dio», si presentano per lo meno due difficoltà. 1- Dobbiamo supporre che si possa amare Dio ed ammettere che tale “amore” è umano, allora la parola non è adeguata; oppure amiamo Dio con un amore che non è umano, e neanche in tal caso la parola è adeguata; 2- Non si ama il prossimo se non in modo indiretto, per mezzo dell’amore verso Dio. Doppio problema: una parola che non rappresenta bene la relazione con Dio, la dobbiamo tradurre ai sentimenti umani.

Da altre posizioni si dicono cose come queste: «Si lotta per solidarietà di classe», «si lotta per solidarietà verso l’essere umano», «si lotta contro l’ingiustizia per liberare l’essere umano». Qui si continua con la mancanza di fondamento: perché dovrei lottare per solidarietà o per liberare altri? Se la solidarietà è una necessità, non è una cosa che posso scegliere, nel qual caso poco importa che lo faccia o non lo faccia, giacché non dipende dalla mia scelta; se invece è una scelta, perché dovrei scegliere quella opzione? Altri dicono cose ancora più straordinarie, come ad esempio: «nell’amore verso il prossimo ci realizziamo», oppure: «l’amore verso il prossimo sublima gli istinti di morte». Cosa potremmo dire di ciò quando la parola “realizzarsi” non è chiara se non se ne presenta l’obiettivo, quando la parola “istinto” e la parola “sublimazione” sono metafore di una psicologia meccanicista ormai insufficiente sotto tutti gli aspetti?

E non mancano quelli più brutali che predicano: «Lei non può agire al di fuori della Giustizia stabilita, fatta affinché ci si protegga tutti mutuamente». In questo caso, non si può rivendicare da questa “Giustizia” nessun atteggiamento morale che la superi.

Infine, rimangono alcuni che parlano di una Morale Naturale zoologica e altri che, definendo l’essere umano un “animale razionale”, pretendono che la morale derivi dal funzionamento della ragione di detto animale.

Per tutti i casi anteriori, la Regola d’Oro non quadra bene. Non possiamo essere d’accordo con loro, anche quando ci dicono che, con altre parole, stiamo parlando della stessa cosa. È chiaro che non stiamo parlando della stessa cosa.

Cosa avranno sentito nei differenti popoli e in diversi momenti storici, tutti quelli che fecero della Regola d’Oro il principio morale per eccellenza? Questa formula semplice, da cui può derivare una morale completa, sgorga dalla profondità umana semplice e sincera. Attraverso di essa sveliamo noi stessi negli altri. La Regola d’Oro non impone una condotta, offre un ideale e un modello da seguire mentre ci permette di avanzare nella conoscenza della nostra vita. La Regola d’Oro non può nemmeno convertirsi in un nuovo strumento del moralismo ipocrita, utile per misurare il comportamento altrui. Quando una tavola della “morale” serve a controllare invece di aiutare, a opprimere invece di liberare, deve essere infranta. Più in là di ogni tavola della morale, più in là dei valori del “bene” e del “male”, si erge l’essere umano e il suo destino, sempre inconcluso e sempre in crescita.

Questo è quanto dice il manuale. Ritorniamo quindi al Principio di trattare gli altri come vorremmo essere trattati.

Detto in parole povere, significa che se non vuoi essere derubato delle tue proprietà, logicamente non ruberai quelle degli altri. Se non ti sembra il caso di essere preso a bastonate, non picchierai gli altri. Se non vuoi essere preso in giro, oppure essere oggetto di pettegolezzi, o che ti mentano, nemmeno tu riderai degli altri, né inventerai chiacchiere o dirai bugie.

È come una simmetria di condotta: non voglio che un criminale mi assassini, quindi mi rendo conto che nemmeno io ho diritto di ammazzare qualcuno. Non è così difficile, vero? La comprensione richiede poco sforzo mentale. Perfino un politico lo capisce.

Ecco questo è il punto. Capirlo è facile. Metterlo in pratica ci viene difficile perché si tratta di metterci nei panni degli altri, di non rispondere alla violenza con la violenza.

E nessuno ci ha insegnato a farlo. Né a casa, né a scuola, e non parliamo nemmeno del posto di lavoro, dove la concorrenza e il passare sopra agli altri è la regola di base.

Ecco di cosa parleremo in questo laboratorio. Faremo esperienza di come si fa a trattare gli altri come si vorrebbe essere trattati. E chissà che questa esperienza serva per farci venire voglia di mettere in pratica la Regola d’Oro ogni giorno.

Di Roberto Kohanoff e Isabel Lazzaroni

Traduzione dallo spagnolo di Mariasole Cailotto. Revisione di Thomas Schmid.

Note di traduzione:

1 Le citazioni dei vari esempi sono estratte dalla traduzione in italiano del libro Il messaggio di Silo: http://www.silo.net/system/documents/16/original/Il_Messaggio_di_Silo-2017.pdf

2 I paragrafi citati dal punto A al punto E sono estratti direttamente dalla traduzione in italiano del Manuale dei Temi Formativi e Pratiche per i Messaggeri: https://silosmessage.net/wp-content/uploads/2014/12/ManualTemasPracticasMensaje-it.pdf