Il Decreto-legge n. 36 del 30 aprile 2022 per l’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza è stato approvato definitivamente lo scorso 28 giugno dalla Camera dei Deputati, dopo aver ricevuto l’ok del Senato. Usare il termine “approvato” è ormai un eufemismo, se solo se ne ricostruisce l’iter parlamentare, un rito vuoto, immiserito proprio dal ricatto della fiducia.

Il Decreto interviene su numerosi ambiti, dal mercato del lavoro, all’ambiente, alla giustizia, ma il Ministro Bianchi si è guardato bene dallo svelare le novità inserite per la scuola: nessun coinvolgimento dei docenti, delle associazioni professionali, dei sindacati e perfino della Commissione Cultura e Istruzione della Camera dei Deputati, che non ha avuto modo di visionarlo prima della presentazione. Proteste e alzata di voce da parte di tutti, ma è meglio scoprire le carte il più tardi possibile, quando mancheranno pochi giorni alla conversione in Legge e sarà difficile discutere e modificare qualcosa dedicandovi il tempo e l’attenzione necessari. 

Viene introdotto un modello unitario di abilitazione e accesso al ruolo per i nuovi docenti, riforma questa che si aspettava da tempo, considerato l’enorme numero di precari che ogni anno tiene in piedi la scuola italiana. D’ora in avanti la carriera di insegnante prevederà un percorso lungo e ad ostacoli, tanto da scoraggiare anche il più preparato dei futuri laureati. Alle lauree triennale e magistrale (3+2), si dovrà aggiungere infatti un percorso abilitante di 60 CFU (crediti formativi), gestito dalle Università pubbliche o private o da enti di formazione, anche (e spesso) a pagamento.  Acquisita l’abilitazione si potrà accedere all’agognato concorso, purché ci siano cattedre disponibili, ma i vincitori dovranno svolgere un anno di prova in servizio, con test finale e valutazione conclusiva da parte della scuola. Sempre che sopravvivano a questo tour de force, proviamo a chiederci se varrà la pena trascorrere 7-8 anni o più nel tentativo di intraprendere una professione che, dati alla mano, mantiene gli stipendi al di sotto della media del settore pubblico e tra i più bassi in Europa.   

La seconda novità prevista dal Decreto riguarda un nuovo sistema di formazione permanente, su base volontaria per i docenti di ruolo ma obbligatorio per i nuovi assunti, di durata triennale, organizzato e diretto da una “Scuola di Alta formazione”, appositamente creata dal Ministero in collaborazione con l’Invalsi e l’Indire. E qui la fantasia di chi (purtroppo non ci è dato sapere) ha ideato questa riforma pare essersi ispirata al vecchio ma sempre attuale Gioco dell’Oca. Immaginiamo dunque di muoverci tra le caselle del gioco che corrispondono agli ambiti formativi, rigorosamente scelti dai funzionari della scuola di alta formazione: i docenti che iniziano il percorso saranno sottoposti a verifiche intermedie annuali per poter proseguire fino al terzo anno, quando dovranno sostenere più esami finali, sulla base di indicatori stabiliti dalla scuola di alta formazione, oltre ad una valutazione del lavoro svolto in servizio. Ma cosa accadrà se non si dovessero superare? Si rimane fermi per un turno o si retrocede alla casella di partenza per ricominciare il percorso? D’altronde, nessun compenso è previsto, in questa prima fase, per le ore dedicate alla formazione; le risorse del PNRR saranno infatti destinate a finanziare la Scuola di Alta Formazione con una spesa di 2 milioni di euro annui fino al 2026, e dall’anno 2027 con il ricavato di un taglio agli organici, giustificato dalla previsione di un calo demografico nel prossimo futuro.  

Solo i sopravvissuti che riusciranno a terminare la formazione con una valutazione interamente positiva, potranno ricevere un’indennità una tantum (finanziata con il taglio di 10.000 cattedre) “nei limiti di spesa previsti dal Ministero”. E chi, pur promosso a pieni voti, non rientrerà nel budget stanziato dal Ministero?  Dovrà ritornare alla casella di partenza e ritentare un nuovo triennio di formazione, sperando di farcela prima di andare in pensione? Solo il tempo potrà dircelo ma certamente questo gioco d’azzardo non sembra una buona premessa per incentivare alla formazione i docenti ed il personale amministrativo, poiché anche per loro il Decreto prevede le stesse modalità. Il Ministro ha recentemente dichiarato di voler “riaddestrare” (il termine la dice lunga sull’opinione che mostra di avere verso la classe docente) gli insegnanti con una formazione sul digitale, dimenticando come, durante la pandemia, i docenti abbiano retto la scuola grazie ad una immediata auto -formazione sui mezzi digitali e alla tanto vituperata didattica a distanza che ha permesso di portare a termine l’anno scolastico. Eppure era a capo della Commissione di esperti che affiancava la ministra Azzolina!

Come se non bastassero le riforme che ad ogni nuova legislatura si abbattono sulla scuola italiana, si pensa a tagliare cattedre e a sottrarre ulteriori risorse, anziché ridurre il numero di alunni stipati in “classi-pollaio”, cosa che la pandemia ha evidenziato in maniera drammatica. In conclusione, niente nuovi fondi, ma una riforma che si autofinanzia peggiorando la vita di docenti e alunni.  E per il nuovo contratto scaduto da vari anni, rimangono risorse esigue, che si aggirano attorno ai 50 euro mensili. 

Questa ennesima riforma condizionerà, ancora una volta e pesantemente, il mondo della scuola che rischierà di perdere per strada giovani laureati sempre meno attratti da un lungo e tortuoso reclutamento, con una formazione centralizzata e calata dall’alto che non terrà conto dei bisogni delle scuole e dei docenti, con un sistema valutativo irrazionale ed iniquo che genererà competizione e ulteriore stress tra i docenti. 

Tutto ciò di cui la nostra scuola non aveva bisogno è racchiuso nel Decreto n.36, convertito nella Legge 79 da un Parlamento ormai silente e addomesticato. 

I tentativi di modificare alcuni aspetti del Decreto con emendamenti spesso insignificanti, si sono infranti contro il diktat imposto dal Governo sul PNRR; ancora più patetiche le dichiarazioni di voto dei vari gruppi parlamentari che, dopo aver profuso critiche tra le più fantasiose al decreto, hanno, tranne qualche eccezione, dichiarato voto favorevole alla fiducia. E così sia!