Chi era Francesca Morvillo? Una domanda alla quale anche chi non era ancora nato negli anni ’90, risponderebbe con sicurezza: la moglie di Giovanni Falcone, uccisa insieme al marito e agli uomini della scorta del giudice, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, nella strage di Capaci del ’92. E nella memoria pubblica che in questi trent’anni dalla strage si è costruita attorno ad un avvenimento che ha segnato profondamente la nostra storia, di lei rimane il ricordo di una donna che sceglie di vivere, e dunque di morire, al fianco di un uomo al quale aveva legato la sua vita.

“A dirla con franchezza, l’immagine di Francesca Morvillo ha faticato ad uscire dal cono d’ombra dove l’hanno posta l’indubbia grandezza della figura di Giovanni Falcone, la tragica abnegazione degli uomini della scorta e, infine, il peso politico della strage in questione. Se nella narrazione dell’evento la prevalenza veniva assegnata al suo ruolo di moglie, diventava difficile farne una figura pubblica, come per gli altri suoi compagni di sventura, e le veniva attribuito un ruolo ancillare, umbratile appunto.” Così scrive la storica Giovanna Fiume, curatrice, insieme alla scrittrice Cetta Brancato e alla docente di diritto processuale penale Paola Maggio, del volume “Non solo per amore” – In memoria di Francesca Morvillo- pubblicato dalla Treccani.

Il libro ha l’indubbio pregio di entrare nella vita di Francesca Morvillo in punta di piedi, con estrema discrezione così come le numerose testimonianze di amiche/amici e colleghi la descrivono, schiva e discreta. I ricordi che affiorano dalle testimonianze sono piccoli spiragli della sua storia, mai eccessivi anche quando incrociano la sua vita privata, oltre che pubblica.

Ma ha l’altrettanto importante pregio di ricomporre la carriera della magistrata Francesca Morvillo, “l’unica magistrata vittima della violenza mafiosa”, e di far uscire la sua figura dal quel “cono d’ombra” dove con estrema facilità era stata posta, seguendo uno stereotipo che assegna canoni diversi alle ricostruzioni biografiche di uomini e di donne, mettendo in luce prevalentemente i ruoli pubblici per i primi, e l’attaccamento alla famiglia e ai doveri verso i suoi membri, per le seconde. (G. Fiume)

Dopo gli anni universitari, conclusi brillantemente a 21 anni con una pregevole tesi (pubblicata e commentata all’interno del volume) che riceve il Premio Maggiore, la Morvillo è tra le prime donne ad entrare in Magistratura, scegliendo di svolgere la gran parte della carriera presso il Tribunale per i minori e non a caso, poiché negli anni precedenti si era spesso dedicata ad attività di volontariato come insegnante in doposcuola per minori provenienti da famiglie disagiate, in case del fanciullo, asili, case dello studente dell’Opera diocesana di assistenza in vari comuni della provincia, ma anche ad attività di assistenza agli ex carcerati e alle famiglie dei detenuti presso la Procura della Repubblica. Ed è questo il terreno nel quale dimostra di possedere quelle capacità professionali e quel mix di preparazione giuridica e attitudine all’ascolto, all’equilibrio che metterà in campo negli anni, circa 16, in cui ricoprì le funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Palermo. Anche il passaggio successivo in Corte di Appello e la nomina a Magistrata di Cassazione, negli anni ’90, vengono ricostruiti dalle curatrici, oltre che dalle memorie dei colleghi e delle colleghe, grazie ad una minuziosa ricerca tra i documenti, solo per citare alcune fonti, della Procura della Repubblica per i minorenni,  dai materiali sul sito del CSM, della Corte di Appello di Palermo e da ogni incartamento, da ogni verbale, da ogni parere valutativo emerge non solo il grande valore della Magistrata, ma anche una personalità autorevole e decisa e la capacità di portare a termine una quantità di lavoro “impressionante” rispetto ai normali standard statistici,   spesso non paragonabile a quella dei colleghi magistrati, senza, per questo ricercare riconoscimenti o “attestati di benemerenza” (il che costituisce motivo di apprezzamento in un ambiente di lavoro maschile e competitivo).

Ma Francesca è al contrario, una donna dalla personalità forte e determinata che non nasconde dietro i modi gentili e composti che la contraddistinguono; è una donna che sceglie da che parte stare, dalla parte della giustizia, della legalità, non sottovalutando mai l’attenzione verso l’altro, verso le ragioni dei più deboli. Se sceglie di unire la sua vita a quella di Giovanni Falcone, che sposerà nel 1986, lo fa “non solo per amore”, ma per quelle affinità intellettuali che li porteranno a percorrere la stessa strada pericolosa, in maniera consapevole, fino alla morte. Per Falcone, come emerge dalle bellissime e toccanti testimonianze di alcuni suoi amici fraterni e compagni di viaggio, come il Magistrato Giuseppe Ayala, Francesca, rappresentava una consigliera, “un’interlocutrice autorevole”, tanto che ancora oggi il suo lavoro e il grande valore professionale rappresentano, come più volte attestato dai colleghi, una guida per le giovani generazioni che intraprendono la carriera in magistratura.

Sarebbe bello un giorno leggere, magari in un manuale di Storia:

“Sull’autostrada che collega Punta Raisi a Palermo, il 23 maggio 1992, in prossimità di Capaci, per effetto di una potentissima carica di esplosivo, sono morti il Magistrato Giovanni Falcone, la Magistrata Francesca Morvillo, i tre agenti della scorta dei coniugi, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.” 

 

Sed etiam…- Nel 2015 la salma di Giovanni Falcone è stata spostata dalla tomba di famiglia alla basilica di S. Domenico, il Pantheon dei siciliani illustri, separandola così dai resti della moglie; a Francesca Morvillo è stata dunque negata non solo la dignità di siciliana illustre, ma anche il ricordo congiunto, anche nella morte oltre che nella vita, di due magistrati che “affrontarono insieme rischi e pericoli per salvare la parte sana di quest’isola” (Rosangela Maira, avvocata e amica di Francesca Morvillo).