Dall’illuminismo in poi diamo per indiscutibile la separazione tra l’io e ciò che è fuori dall’io, e ciò che è fuori va conosciuto e modificato per il nostro utile. “Verità della Decrescita vuole mostrare che le crisi che oggi ci attanagliano, dalla dittatura dell’economia alla globalizzazione, sono solo l’effetto delle idee ottocentesche e screditate di materia, tempo progressivo, crescita”. E ancora: “La scienza occidentale ha presupposti epistemici non neutrali che vanno a braccetto con tecnologia e multinazionali – spiega l’autrice – essenzialmente fondate sull’antropocentrismo e sull’astrazione razionale dello schema cartesiano–newtoniano, riposano sulla falsa separazione tra mente e materia, tra ego e mondo. Così afferma nel suo libro “La verità della decrescita. Via dalla scienza totalitaria per salvare il mondo”.

Gloria Germani, fiorentina di nascita, ecofilosofa impegnata da sempre nel dialogo tra la filosofia occidentale e orientale. Ha studiato all’Università di Firenze, di Pisa e alla New York University, ha viaggiato molto in Asia e lavora da 30 anni nell’ambito dei media. È la maggior esperta del pensiero di Tiziano Terzani, che ha anche firmato la prefazione del suo libro “Madre Teresa e Gandhi” (2016). Le sue opere sono dedicate alla critica della visione moderna per chiarire un argomento tabù: la colonizzazione dell’immaginario che sta alla base del cosiddetto “sviluppo”. Ha curato, per la collana diretta da Latouche, “I Precursori della decrescita”, il volume “Terzani. Verso la rivoluzione della coscienza” (2014). Dagli anni 2000 si interessa vivamente al campo dell’educazione, frequentando come genitore e attivista per 7 anni le scuole steineriane. Dal 2017 è funzionario coordinatore del Progetto Alice Universal Education School.

Dove nasce l’esigenza di scrivere questo libro?

Scrivere per me è un’esigenza profonda. Sento il bisogno di condividere quello che credo di aver capito per donare anche solo una piccola goccia al mare di un mondo migliore per tutti. D’altro lato io credo profondamente che il pensiero collettivo ci influenzi molto più di quanto siamo consapevoli e che il benessere del singolo sia incluso nel benessere di tutti.

Cosa c’è di sbagliato nell’idea di “progresso” nelle società occidentali?

L’idea che stiamo procedendo verso il Progresso è forse l’idea più potente della Modernità. La diamo assolutamente come assodata, garantita, ma questa certezza nasconde la potenza del mito, cioè di qualcosa che non è affatto dimostrata. Attraverso l’idea di Progresso abbiamo giustificato e giustifichiamo qualsiasi novità tecnologica che viene immessa sul mercato senza rispettare il principio di precauzione. Pensiamo in passato all’amianto, al DDT, alle sigarette o al latte artificiale che si sono rivelati assolutamente nocivi, ma pubblicizzati con estremo successo. Oggi penso molto criticamente alla robotica, all’AI, microchips da inserire nel corpo e il machine learning, oppure al solo “soluzionismo tecnologico” per fronteggiare il collasso climatico.

Mi sembra importantissimo sottolineare che la scienza per eccellenza, la Fisica, ci insegna oggi che il tempo che scorre in maniera lineare verso un Futuro-Progresso, semplicemente non esiste. Non dovremmo, dunque, smettere di recitare: “Dobbiamo andare Avanti, Avanti”? Oppure “Non possiamo tornare indietro”? Avanti e indietro sono solo illusioni della nostra mente. Le antiche saggezze riconoscevano l’impermanenza di tutte le cose, ma vedevano il divenire come un processo a spirali, non come una linea univoca che porta verso il Progresso.

E’ stata soprattutto la teoria dell’evoluzione di Darwin a convincerci che la civiltà moderna di stampo occidentale sia quella superiore, la più progredita. Eppure anche qui la biologia più recente e l’epigenetica ci hanno insegnato che il lunghissimo processo di evoluzione è avvenuto attraverso la formazione di comunità armoniche e non, come credeva Darwin, per via della sopravvivenza del più forte. Ma la teoria di Darwin ebbe molta fortuna perché funzionale all’economicismo moderno e all’epopea coloniale (darwinismo sociale), benché oggi il collasso climatico ponga serissimi dubbi sulla superiorità della civiltà industriale e commerciale.

Avidità, economia capitalista, Società della Tecnica e PIL sono tutti aspetti che hanno un’origine epistemologica comune: la “scienza cartesiana-newtoniana” che tu hai definito “scienza totalitaria”. Qual è l’errore conoscitivo su cui ci siamo seduti e perché l’hai definita tale?

Il pensiero scientifico nasce in Occidente intorno al Settecento e proprio per dichiararsi “scienza”, cioè sapere oggettivo e certo, è basato sull’assunto che la mente sia separata dalla materia. Esso nasce dunque dal dualismo mente-materia e dall’assoluto antropocentrismo, per cui è soltanto l’uomo che possiede una mente e tutto il resto è più o meno materia. Pensiamo oggi agli allevamenti di carne; come sarebbero possibili se non pensassimo che i bovini sono semplice materia, da utilizzare come alimento?

L’ecologia profonda ci insegna che apparteniamo tutti allo stesso ecosistema. L’uomo è parte integrante di un sistema complesso fatto da 30 milioni di specie. A livello di DNA, la differenza fra l’uomo e lo scimpanzé bonobo è inferiore alla differenza fra una rana e una raganella. Fritjof Capra e Vandana Shiva, soprattutto nell’ultimo libro, hanno sottolineato che la certezza della scienza si fonda proprio sul dualismo tra ego e mondo, cioè sul fatto che l’ego possa conoscere oggettivamente, senza influenzare il mondo fuori di lui e quindi possa procedere per via sperimentale. L’errore su cui si fonda la scienza moderna è di nuovo dimostrato dalla fisica quantistica. Da Heisemberg in poi sappiamo che non è possibile un’osservazione oggettiva, che per il solo fatto di guardare le cose, il mentale modifica le cose. Tutto è interconnesso, come sapevano le filosofie orientali. La materia non è inerte e morta, come invece presuppongono l’industria e la tecnologia, che la modificano continuamente.

Vandana Shiva ha definito questo paradigma scientifico come “scienza maschilista e patriarcale” non tanto per la sua organizzazione, ma in quanto origine di una violenza epistemica fondata sul genere. Condividi questa definizione?

Senz’altro a partire dal Settecento si è imposto un tipo di pensiero che separa, che vuole conoscere la Natura, intesa come “materia morta”, per dominarla e utilizzarla per rendere più comodo la vita dell’uomo. Sono pienamente concorde con Vandana Shiva sul fatto che questo atteggiamento è intrinsecamente violento. Può essere definito patriarcale o maschilista, perché diverso dall’atteggiamento di cura e di sostegno delle relazioni più tipico del femminile. Tuttavia non credo che in tutte le civiltà gli uomini siano caratterizzate da questi tratti. Il femminile e il maschile sono qualità presenti in vario grado in tutti gli individui e nel libro parlo anche delle condizioni che hanno storicamente accentuato il prevalere dell’atteggiamento separativo e violento, che mi pare sia tipico dell’Occidente a partire dal Settecento.

Dualismo e antropocentrismo continuano a caratterizzare il nostro presente? Dove hanno origine e quali correnti di pensiero li considerano “evoluti”?

Dualismo e antropocentrismo sono oggi esaltati da quella che chiamo la Scienza Totalitaria; ne costituiscono il cuore. Crediamo che l’Occidente moderno europeo e americano sia in possesso dell’unica e vera Scienza. Le varie declinazioni come La Scienza Economica, la Scienza Medica, le Scienze Biotecnologiche sono esportate ovunque come le uniche conoscenze vere ed avrebbero dunque valore universale. Ma non è affatto così. La cosiddetta “globalizzazione” è proprio la manifestazione di tale credenza. Sappiamo che la “Scienza Economica”, come la “biotecnologia”, hanno molte conseguenze negative. La crescita infinita, che è il fine di tutti i governi attuali, è semplicemente impossibile in un pianeta finito. Eppure ignoriamo queste evidenze e cerchiamo soluzioni sempre più tecnologiche e scientifiche, come quelle purtroppo proposte dal programma del transumanesimo in atto.

“Il Covid ci renderà migliori” era il mantra mediatico a cui abbiamo assistito per un anno. Oggi siamo migliori o in balia della rigenerazione di nuove forme di colonizzazione?

Come ho detto sopra, la tendenza manifesta oggi non è quella di curare veramente l’ecosistema avendo davvero cura dell’ambiente e del nostro sistema immunitario, che è intrinsecamente legato all’ambiente. Viceversa vogliamo imporre soluzioni tecnologiche che sono figlie dell’errato paradigma occidentale cartesiano–newtoniano. Ma questa soluzione non funziona: lo dimostra il collasso climatico sempre più avanzato.

Qual è la grande differenza tra la scienza riduzionista di stampo occidentale e la scienza olistica di stampo orientale? L’Oriente può farci uscire da questa nostra crisi culturale, ancor prima che ecologica e di sistema?

Se avessimo l’umiltà di studiare le civiltà orientali, certamente troveremmo molti spunti per curare la nostra crisi che è prima di tutto culturale, come dici tu. Potremo così ricercare il vero senso della vita che è insito nelle relazioni affettive e nella ardua (ma possibile) unione tra la nostra mente individuale e l’Uno-Tutto che ci comprende e ci trascende. La filosofia del Non-dualismo, Advaita Vedanta [1], ha sostenuto civiltà come quella indiana o quella cinese per 4 o 5 millenni. Ad essa corrispondevano medicine, strutture sociali, letterature e valori che si sono perpetrate, dimostrando così la loro “sostenibilità” con l’Ecosistema vivente. Pensiamo alla medicina ayurvedica o all’agopuntura cinese, oppure alla concezione etica diffusa in tutto il subcontinente indiano conosciuta come Karma Yoga, per cui ciascuna persona deve agire avendo di mira il bene comune e mai il successo personale. Solamente attraverso questo tipo di azione è possibile allargare l’ego raggiungendo stati più alti come l’empatia e la compassione e conoscere la vera pace e la felicità. Al contrario, la ricerca della felicità attraverso il possesso materiale, il materialismo capitalista, ha mostrato ormai tutti i suoi limiti e l’enorme uso di psicofarmaci in atto, specialmente negli Stati Uniti (oltre il 60% dei cittadini ne fa uso), ne è un palese sintomo.

Nel libro indico un altro punto per cui il confronto con l’Oriente potrebbe essere oltremodo fecondo. L’Occidente moderno crede indiscutibilmente nella capacità della mente logico-razionale di cogliere la realtà esterna. Questa fede risale ad Aristotele, che fondò il principio di non-contraddizione proprio per confutare ciò che dicevano Eraclito e gli altri naturalisti: “Non ti bagnerai mai nello stesso fiume”. Se prendiamo invece la Seconda Nobile Verità o il principio dell’“Origine condizionata di tutte le cose” del buddhismo, oppure la teoria della Maya induista, ci troviamo nelle stesse posizioni della fisica quantistica, per cui i nomi che usiamo convenzionalmente non riescono affatto a cogliere l’essenza della realtà, ma sono solo approssimazioni da usare con cautela. Studiare tali diverse visioni elaborate da altre civiltà ci aiuterebbe molto a tracciare nuovi percorsi, magari più pacifici ed in armonia con la Natura.

Cosa è la verità della decrescita? Perché viene vista come un’utopia?

Gandhi chiamava la sua lotta contro la modernità portata dagli inglesi “Forza della verità”. Infatti, credo che la nonviolenza si basi semplicemente sulla verità del non-dualismo. La rivoluzione della fisica quantistica, oggi confermata da tutti i più recenti settori della ricerca, ci conferma infatti, come Gandhi, che la realtà è completa interconnessione, per cui in ultima analisi tutto è uno, siamo tutti parte di un unico sistema complesso. Viceversa, è stato proprio il dualismo che ha condotto alla supremazia della scienza economica e al predominio della crescita economica in quanto valore sommo condiviso da ciascuno. Se adottiamo la verità della decrescita, abbandoniamo il dualismo e possiamo incamminarci su strade nuove, diverse da quelle che abbiamo percorso negli ultimi 300 anni. È un’utopia? Non credo. Tuttavia non sarà facile, perché questa impostazione ci imporrà di dismettere molte industrie, molte produzioni di oggetti inutili alimentate da desideri artificiali. Dovremmo trovare ed impegnarci in lavori più semplici e più consoni all’interconnessione e alla rete della vita. Lavori che abbiano un senso nel tutto di cui facciamo parte.

NOTA

[1] L’Advaita Vedanta rappresenta il culmine del pensiero induista. Questa filosofia nasce direttamente dalle esperienze dei grandi mistici indo-ariani che 4.000 anni fa scrissero i Veda e successivamente le Upanishad. Vedanta significa appunto “aderente al genuino insegnamento dei Veda”, mentre Advaita significa “non dualista”: Advaita Vedanta è la “filosofia della non-dualità”. Il primo codificatore di questa dottrina fu Shankara nell’800 d.c. circa.