Ad Aktau il memoriale della Seconda guerra mondiale sono steli di marmo bianco: sembra che nascano direttamente dalla terra, come se fossero un fiore.
Ce n’è uno per ogni anno di guerra, si incurvano contro il cielo, come fossero le dita di una grande mano che si chiudono a stringere nel palmo la fiamma eterna che vi brucia dentro.
È in questo il luogo che la gente si raduna oggi, qui ad Aktau come nel resto del paese, per celebrare la vittoria sulla Germania hitleriana, il trionfo sull’invasore nazista.
Il 9 maggio in Kazakhstan, come in tutti gli stati dell’ex blocco sovietico, è una data costituente, fondamentale nella storia del paese.
Il Kazakhstan arriva a questa ricorrenza all’indomani delle rivolte che l’hanno profondamente scosso nel gennaio scorso e che, apparentemente, hanno avuto l’effetto di mettere in moto quel processo di rinnovamento politico e sociale, impensabile solo pochi anni fa.
Sono almeno due le evidenze che avvalorano questa impressione, una di natura squisitamente interna, l’altra che riguarda il posizionamento verso lo storico alleato russo e verso la guerra di Vladimir Putin.

La costituzione che cambia
È di pochissimi giorni fa l’annuncio che il gruppo di lavoro nominato dall’attuale presidente della repubblica, Kassym-Jomart Tokayev, per elaborare una riforma della Costituzione del paese, ha confezionato una proposta che rivede profondamente lo status e i privilegi costituzionalmente garantiti all’ex presidente, Nursultan Nazarbayev, e inseriti proprio da quest’ultimo nel 2010.
La riforma costituzionale prevede la rimozione di qualsivoglia riferimento a Nazarbayev quale fondatore della patria e, molto più prosaicamente, la rimozione di tutti i vantaggi che ciò comportava: una pensione privilegiata a vita e, soprattutto l’immunità a qualsiasi accusa, a lui e ai suoi familiari (accusare l’ex presidente era persino punibile con la reclusione).
La votazione della riforma è prevista per il 5 giugno prossimo ma l’intento di Tokayev è fin d’ora del tutto evidente: approfondire il solco tra passato e futuro e, contestualmente emanciparsi definitivamente da quel predecessore che in molti hanno visto come il vero orchestratore occulto delle rivolte di inizio anno, a maggior ragione ora che il suo credito ha subito – dentro e fuori al paese – colpi irreversibili, tra accuse di corruzione e malversazioni, sue e del suo numeroso entourage, familiare e non.
Un predecessore, tra l’altro, che malgrado il formale passo indietro manteneva di fatto un potere concreto e pervasivo sulla vita politica della nazione.
I kazaki saranno chiamati a votare la riforma costituzionale, sarà questo un banco di prova fondamentale per capire quanto concreto sia il consenso popolare di Tokayev dopo mesi difficilissimi in cui ha dovuto tener botta a critiche e sospetti di ogni genere.
In questo contesto si inserisce anche la promessa di Tokayev di mettere mano, finalmente, a una revisione profonda del sistema politico nazionale finalizzato a favorire quel pluralismo politico al momento solo teorico. Riforme per le quali si dovrà, tuttavia, aspettare la fine dell’anno e che i detrattori già preannunciato come mera operazione di facciata e propagandistica.
Nel frattempo, un embrione di questo cambiamento è già visibile nei numerosi emendamenti che compongono la riforma costituzionale presto al voto: impossibilità per il presidente della repubblica (e i suoi parenti) di appartenere a un partito politico, elezione diretta di una quota parte dei rappresentati parlamentari, parziale revisione delle prerogative della Corte costituzionale. Resta fuori, invece, la possibilità di eleggere gli akim regionali, la cui nomina resterà ad appannaggio del primo cittadino.

I rapporti con la Russia
In campo internazionale il progressivo allontanamento dalla Russia è un processo avviato e forsanche irreversibile.
Se l’abbandono del cirillico previsto entro il 2025, già lanciato da Nazarbayev e giustificato da ragioni di opportunità economica, era considerato alla stregua di un fatto simbolico – per quanto importanti sono a questo livello i fatti simbolici – molto più concreti sono stati i passi promossi da Tokayev negli ultimi mesi e nelle ultime settimane.
Primo tra tutti l’aperta presa di distanza da Putin e dalla “sua” guerra in Ucraina.
Il Kazakhstan è stato, infatti, l’unico paese dell’area centro asiatica ad assecondare le sanzioni, riconoscendo esplicitamente il diritto dell’Ucraina alla propria integrità territoriale, secondo quanto previsto dal diritto internazionale.
Resta tuttavia strettissimo, e non potrebbe essere altrimenti, il legame economico tra i due paesi al punto che sono in molti a ventilare il sospetto che il Kazakhstan possa, nei fatti, rappresentare lo strumento in mano a Mosca per aggirare la morsa delle sanzioni economiche, nonostante le sdegnate smentite del vicecapo dello staff presidenziale, Timur Suleimenov.
Così come non è chiaro quale sia l’effettivo posizionamento delle persone comuni, tra le quali Putin sembrerebbe godere ancora di una certa popolarità. Ciononostante, nel solco anzi detto, si colloca la decisione di Nursultan di annullare tutte le celebrazioni ufficiali del 9 maggio: ufficialmente per ragione di costi. Forse, invece, un altro passo verso la seconda repubblica.
(Piero Aleotti)