Ieri al Polo del ‘900 si è tenuto un seminario organizzato da Nessuno Tocchi Caino dal titolo: “Non un diritto penale migliore, ma qualcosa di meglio del diritto penale”

Sono intervenuti:

Elisabetta Zamparutti, componente per conto dell’Italia del CPT, il Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, e Tesoriera di Nessuno tocchi Caino;
padre Guido Bertagna, referente del Gruppo “Giustizia Riparativa” di Torino;
Gianna Pentenero, Assessora del Comune di Torino per il lavoro, attività produttive, istituti penitenziari, nuovi cittadini, sicurezza;
Laura Scomparin, docente di Diritto Penitenziario e Vice Rettrice dell’Università di Torino;
Marco Pelissero docente di Diritto Penale dell’Università di Torino e presidente dell’Associazione Italiana Professori di Diritto Penale; Davide Petrini, Docente di Diritto Penale dell’Università di Torino;
Rita Bernardini, Presidentessa di Nessuno tocchi Caino;
Davide Mosso, avvocato;
Fabio Ghiberti, avvocato membro dell’Osservatorio Corte Costituzionale dell’Unione Camere Penali; Mirco Consorte, avvocato membro del Consiglio Direttivo della Camera Penale di Torino;
Monica Cristina Gallo, garante comunale delle persone private della libertà di Torino;
Mario Barbaro, Segretario Associazione “Marco Pannella” e componente della Segreteria del Partito Radicale.
Conclusioni di Sergio D’Elia, Segretario di “Nessuno tocchi Caino – Spes contra Spem”.
Ha moderato: Bruno Mellano, Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà della Regione Piemonte.

Una sollecitazione forte quella nel titolo di questa tappa torinese degli incontri che l’associazione realizza da anni in giro per l’Italia.

Un incontro a tratti molto tecnico, come peraltro si addice ad un convegno di questo tipo, ma le sollecitazioni sono state numerose, di indubbio interesse e spessore.

La prima tra tutte è l’oggettiva considerazione che riguarda come la giustizia e la pena detentiva siano di fatto utilizzate dallo Stato, dalla politica,  come una “discarica sociale” per situazioni che non vuole o riesce a gestire sul piano politico-sociale, prime tra tutte il piccolo spaccio, spesso associato al consumo di stupefacenti, e l’immigrazione.

Situazioni emblematiche nelle quali il diritto penale non è certamente “il meglio che abbiamo”, ecco perché occorre, anzi è fondamentale raccogliere la suggestione nel titolo dell’incontro.

“Il carcere è criminogeno” ha affermato Rita Bernardini, che da oggi riprende lo sciopero della fame, dicendo di fatto un’ovvietà, il problema però è grave proprio laddove occorra continuare a denunciare l’ovvio. La funzione rieducativa del carcere e del sistema giudiziario è largamente disattesa, ciò favorisce le “recidive”, la reiterazione dei reati in coloro che escono dal carcere.

Il sostanziale fallimento della funzione rieducativa del sistema giudiziario si traduce in elevati costi dal punto di vista economico, ma soprattutto sociale. L’illegalità rappresenta un sostanziale pericolo sociale, questo pericolo pare essere dissimulato dall’uso del sistema giudiziario come una discarica appunto, aspetto che pare tranquillizzare l’opinione pubblica, ma che, aggiungiamo, non risolvendo ma al contrario amplificando i problemi, inficia la sicurezza e quindi amplifica il conflitto sociale.

A proposito di illegalità, Citando Pannella, la Bernardini ha affermato che lo Stato: “si comporta come un delinquente professionale” ovvero un delinquente che trae grande profitto dai propri reati. E’ una cosa che tutte le associazioni che si occupano di determinati aspetti denunciano da tempo. Queste violazioni di legge, aggiungiamo, avvengono per lo più a scapito degli ultimi – privi di risorse economiche e culturali per difendersi con efficacia – e di chi non vota.

Molti gli accenni all’importanza della giustizia riparativa e di come per la prima volta sia elemento importante in una riforma della Giustizia, la riforma Cartabia. Riforma sulla quale  però in molti esprimono dei dubbi, il primo tra tutti è che possa effettivamente essere opportunamente “sorretta” da adeguati finanziamenti. E’ stato evidenziato come nella riforma la giustizia riparativa sia collocata nell’ambito della giustizia penale pur essendo, tuttavia, un paradigma non ascrivibile a percorsi come le misure alternative alla detenzione. E che quindi sia fondamentale pensarla come qualcosa al di fuori del sistema penale.

Altri dubbi che circolano sulla riforma riguardano la dichiarazione di Draghi di non porre la fiducia nei passaggi parlamentari, nonostante i partiti abbiano votato all’unanimità in Consiglio dei Ministri per poi di fatto disconoscere quel voto in successive dichiarazioni.

Molti i richiami, a proposito di Stato “delinquente professionale”, sull’osservanza delle garanzie di legge, lo fa costantemente anche Pressenza. Inutile e demagogico, aggiungiamo, dissertare sulla  – ci sia consentita l’iperboole – “grande grandezza” del Diritto Penale italiano e dell’importanza di non derogare da quell’impianto giuridico per non rinunciare alle garanzie previste, senza contemporaneamente denunciare quanto quel Diritto Penale sia disconosciuto dallo Stato stesso soprattutto negli ambiti più eticamente sensibili, le garanzie appunto.

Ormai pluridecennale il gravissimo problema nel quale versa l’amministrazione pubblica, dalla quale la Giustizia dipende. Aggiungiamo che è tipico del burocrate, inevitabilmente “intossicato”, parlare una lingua (volutamente?) per iniziati, sconosciuta e incomprensibile ai più. Burocrate che tuttavia, l’ho sentito numerose volte con le mie orecchie, ripete, questo sì, come un mantra in italiano perfettamente comprensibile: “non si può avere tutto subito”, quando abbiamo numerosissimi esempi che dimostrano che ove ci sia volontà politica le cose si risolvono letteralmente in poche ore.

Quest’anno sono avvenuti già 12 suicidi nelle carceri italiane, cosa scriveranno i famigliari sulle tombe di queste persone? “Non si può avere tutto subito”? Demagogia? No: in questi casi “semplicemente”, letteralmente, questione di vita o di morte.

Significativa la presenza attiva della Pentenero, che testimonia l’approccio politico-culturale di questa consiliatura torinese, che fin’ora ha agito non solo con atti formali, ma anche sostanziali nella questione del carcere Lorusso e Cutugno (Vallette).

Non si può non sottoscrivere che (e quanto) il problema della giustizia penale attiene ad aspetti culturali che riguardano il modello di convivenza sociale e civile che vogliamo attuare, senza questa premessa non si può prescindere dal modello “inquinante” della “discarica sociale” e prendere atto dell’inadeguatezza della detenzione in carcere usata come misura estensiva e dell’inadeguatezza dell’attuale sistema penale nella funzione rieducativa e quindi preventiva del crimine.