Mai più la guerra nel cuore dell’Europa; e, senza dubbio, si dovrebbe ribadire, mai più la guerra ovunque nel mondo.
Nelle ore in cui più intensi si moltiplicano gli scambi diplomatici per ridurre l’escalation e prevenire la minaccia della guerra in Ucraina, nel momento in cui si diffondono iniziative piccole e grandi delle diverse organizzazioni e dei vari comitati contro la guerra e per la pace, andrebbe posto con forza, in cima all’agenda, un presupposto essenziale: sgomberare il campo dall’opzione militare e liberare l’Europa e il mondo dai venti di guerra; lasciare spazio agli sforzi costruttivi per comporre positivamente le divergenze e per la diplomazia.
Dunque, la politica in primo luogo, e la prospettiva della «pace positiva» (la pace come insieme di diritto e giustizia internazionale, cooperazione e giustizia sociale, «tutti i diritti umani per tutti e per tutte»), come orizzonte verso il quale muoversi e come cornice all’interno della quale posizionare i diversi aspetti della controversia e i vari approcci che si vanno articolando.
A chi potrebbe giovare, del resto, una nuova, potenzialmente catastrofica, guerra nel cuore dell’Europa?
È dello scorso 24 gennaio la notizia che conferma l’intenzione degli Stati Uniti di allertare 8.500 soldati allo scopo di rafforzare i presidi militari della NATO e come iniziativa di deterrenza di eventuali misure o iniziative sul campo da parte della Federazione Russa.
D’altro canto, è ancora più recente la notizia dell’invio di ben 3.000 soldati statunitensi in Europa e di una ridislocazione di ulteriori unità militari in Germania e in Polonia.
Lo stesso Dipartimento di Stato USA ha previsto che la Federazione Russa possa arrivare ad ammassare fino ad un massimo di 30.000 militari a nord dell’Ucraina, mentre altre notizie confermano che la Russia ha posto in stato di allerta i 10.000 soldati schierati a Rostov sul Don (meno di 200 km da Donetsk e meno di 500 km dalla Crimea), disposto attività all’interno dei confini della Federazione e messo in movimento le linee di approvvigionamento logistico.
Al di là dunque delle dichiarazioni bellicose e delle forzature del giornalismo embedded, sono gli Stati Uniti, al momento, a tenere alto il livello della tensione, muovendo truppe in altri Paesi e ventilando l’opzione militare, come alcune dichiarazioni di provenienza USA e britannica sembrano purtroppo confermare.
Al di là delle dichiarazioni e delle ricostruzioni giornalistiche, tuttavia, si affacciano anche analisi e indicazioni che segnalano come la soluzione possa essere trovata per via politica e diplomatica.
Dalla diplomazia russa, è stata avanzata la proposta della Federazione per una de-escalation della tensione con la richiesta che siano ritirati i contingenti della NATO da Bulgaria, Romania e altri Paesi in Europa centro-orientale, un tempo parte del Patto di Varsavia, ed entrati, dopo la fine dell’esperienza storica del socialismo reale, nella NATO dopo il 1997; e che la NATO stessa rinunci ad un’ulteriore allargamento ad Est, in prossimità dei confini russi, e quindi rinunci ad incorporare, essenzialmente, Ucraina, Moldavia e Georgia.
Ciò sarebbe peraltro in parziale continuità con l’intesa non scritta con cui, nel 1990, alla vigilia dell’unificazione tedesca, la segreteria di Stato si impegnava a «non spostare la giurisdizione della NATO verso Est».
Un impegno, per quanto non scritto, ampiamente disatteso degli USA e dalla NATO, come mostra chiaramente, in chiave anti-russa e anti-cinese, qualunque mappa che indichi la presenza e la dislocazione delle basi militari USA e NATO tutto intorno ai confini della Russia e della stessa Cina.
È abbastanza chiaro, d’altra parte, che la sfida che si sta svolgendo, in queste ore, ha per terreno strategico l’Europa: dal punto di vista russo, per i propri interessi economici e per un riequilibrio dei rapporti di forza meno sfavorevole per Mosca; dal punto di vista statunitense, per rilanciare la propria egemonia militare e strategica e per contrastare l’ascesa di qualsivoglia possibile avversario.
Rilanciare la politica significa dunque, anzitutto, sgomberare il campo dall’opzione militare; e, di conseguenza, impegnarsi per una soluzione sostenibile di mutuo beneficio che tenga in considerazione gli interessi legittimi, contrastando ambizioni egemoniche e prospettando soluzioni in linea con la Carta delle Nazioni Unite, in primo luogo «mantenere la pace e la sicurezza internazionale … e conseguire con mezzi pacifici, in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie».
Per quello che riguarda l’Ucraina, rilanciare e implementare gli Accordi di Minsk dell’estate 2014 che, tra l’altro, prevedono il cessate-il-fuoco, il monitoraggio OSCE e un’ampia autonomia per le regioni di Donetsk e Lugansk.
In questo senso, la presenza di basi militari straniere utilizzabili in proiezione offensiva, oltre a rappresentare una limitazione all’autodeterminazione, costituisce una potenziale minaccia alla sicurezza e alla pace, e questo interroga necessariamente la questione del ritiro delle basi USA e NATO (in Italia circa quaranta basi e oltre cento tra strutture e installazioni); mentre l’articolazione di un nuovo sistema di sicurezza, basato sul mantenimento della pace, un insieme concordato di garanzie di sicurezza ed un meccanismo di prevenzione delle crisi e di soluzione delle controversie, potrebbe risultare promettente, per sottrarre l’Europa al ruolo di terreno di confronto tra potenze e per immaginare una nuova cornice di rapporti multilaterali, contro ogni minaccia e ogni pretesa di dominio o di egemonia unipolare.
Lasciare spazio alla politica e dare nuove possibilità alla pace significa anche dotarsi della capacità e degli strumenti per potere, concretamente, «agire per la pace»: prevenzione delle guerre – contrasto alla proliferazione delle armi e riduzione delle spese per armamenti, efficace messa al bando di tutti gli ordigni di distruzione di massa – costruzione della pace.