Depositato alla Commissione Bilancio del Senato l’emendamento del Governo sulle delocalizzazioni.

La norma riguarda le aziende con più di 250 dipendenti: appena 4mila in tutto il paese, solo lo 0,1% delle aziende del paese e a cui si può facilmente sfuggire preparando la crisi aziendale.

Una delle differenze base con la proposta di legge preparata dal Collettivo di fabbrica e presentata da vari parlamentari tra cui il Senatore Mantero sta nelle finalità del piano: mentre per nel testo del Collettivo l’azienda che chiude deve presentare un piano di continuità produttiva e occupazionale, in quello del Governo si prevede praticamente la sola mitigazione sociale dei licenziamenti. La continuità occupazione e produttiva diventa infatti una prospettiva da indicare, al massimo una eventualità.

L’altra differenza sta nelle sanzioni. In caso l’azienda non rispetti o non presenti il piano – che è soltanto di semplice mitigazione dell’impatto sociale dei licenziamenti – le sanzioni sono irrisorie. Ben al di sotto delle peggiori aspettative.
L’azienda può incappare semplicemente nel raddoppio del cosiddetto ticket di licenziamento in caso di mancata presentazione o rispetto del piano o del 50% in caso il piano non sia sottoscritto dalle organizzazioni sindacali. Si sta parlando di un massimo circa di 3000 euro a lavoratore. Con 600.000 euro circa in più sui ticket licenziamento chiudevi Gkn Firenze. Inoltre non c’è nessun riferimento ai contributi pubblici presi da un’azienda, continuando con la tradizione dei bonus a pioggia e senza vincoli.

“Il collettivo di fabbrica è venuto a conoscenza dell’emendamento del Governo da canali giornalistici, non per via ufficiale” sottolinea Dario Salvetti, delegato RSU Gkn e non si tratta di una norma antidelocalizzazioni, come propagandato dal Governo, ma per proceduralizzare le delocalizzazioni. Vorremmo essere chiari: questa norma avrebbe chiuso Gkn, imposto la soluzione di Melrose e non avrebbe reso possibile nemmeno l’articolo 28. Il Governo sta al di sotto di quanto fatto da un semplice collettivo di fabbrica, i soliti “quattro operai a cui non tenete testa”. Il 9 luglio siamo stati lasciati a casa con modalità atroci, ma ancora prima dei metodi, via sms, email o whatsapp, c’è il problema del licenziamento in sé. E in tutto questo ci chiediamo dove sia lo Stato: dove le politiche industriali, dove le misure che andrebbero messe in campo dalle istituzioni per garantire la continuità produttiva di uno stabilimento e il benessere collettivo che ne deriva. Il punto non è solo cosa fa la multinazionale che scappa, ma che cosa fa lo Stato che resta. Molti del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle sono venuti in Gkn a dichiarare solidarietà, il momento della verità è venuto, ora sta a loro dimostrare coerenza e onestà intellettuale. Cinque mesi di assemblea permanente hanno posto in maniera irreversibile il dibattito di quale intervento statale e per fare cosa”.