«A un certo livello, le Nazioni Unite sono essenzialmente l’ultima variante del Congresso di Vienna tenutosi quasi due secoli fa, un luogo in cui le potenze si siedono per risolvere i problemi del mondo con reciproca soddisfazione. Sfortunatamente, a differenza di Lord Castlereagh, Metternich e Talleyrand, a nessuno dei quali sarebbe stato chiesto di fare un’audizione per un singolo di beneficenza tipo We Are The World, le Nazioni Unite sono diventate il depositario di tutte le più sdolcinate illusioni di mondo globale dell’Occidente. […] In realtà, però, l’ONU è una organizzazione vergognosamente squallida, la cui corruzione è quasi impossibile da esagerare. Se ritieni, come fanno i media e la sinistra in questo paese, che l’Iraq sia un disastro terribile (cosa che non è), allora prova a trovarti nei Balcani, o in Sudan, o anche a Cipro, o dovunque ci sia un problema lasciato nelle mani delle Nazioni Unite. Se non vuoi aumentare la tua pensione scremando il programma Oil-for-Food, non devi preoccuparti. Qualunque sia la tua borsa, le Nazioni Unite possono trovare un posto adatto: in Africa occidentale, è Sex-for-Food, con operatori umanitari che chiedono prestazioni sessuali …; in Cambogia, è spaccio di droga; in Kenya, è il racket dei rifugiati; nei Balcani, le schiave del sesso. In una missione di pace delle Nazioni Unite, ognuno ha la sua parte».

È solo una, certo, forse tra le più dure, tra le osservazioni critiche che si sono ormai, in oltre 75 anni di storia, letteralmente affastellate sulla vicenda e sulla pratica delle Nazioni Unite, variamente accusate dei più diversi e dei più gravi insuccessi e scandali. Li si potrebbe perfino passare in rassegna: inefficacia e inefficienza; intempestività (ad esempio in relazione all’unanimità, e quindi al sistema di veto, in Consiglio di Sicurezza) e burocratismo (è stato calcolato che «nella sola Ginevra, le Nazioni Unite hanno tenuto 10.000 incontri in un anno, offerto 632 seminari di formazione e tradotto 220.000 pagine di documenti per annuari, report e documenti di lavoro dell’organizzazione»); dipendenza o accondiscendenza ai desiderata delle maggiori potenze (Stanley Meisler ricorda che, nel pieno della Guerra Fredda, un celebre adesivo per paraurti, diffuso negli Stati Uniti, recitava: «Non puoi scrivere comunismo senza O.N.U.»); per non parlare delle – variamente declinate – accuse di scandali e di corruzione che di volta in volta hanno colpito questa o quella iniziativa o questo o quel programma (tra gli ultimi in ordine di tempo, quello legato all’Oil-for-Food in Iraq). Altre volte, come se non bastasse, è stato lo stesso «equilibrio di giudizio», o la stessa «ponderatezza», delle Nazioni Unite ad essere stato pesantemente messo in discussione, e non per debolezza nei confronti delle pressioni delle grandi potenze: ancora nell’ultima sessione del Consiglio di Sicurezza dedicata al Medio Oriente, il rappresentante israeliano alle Nazioni Unite, Gilad Erdan, ha puntato il dito precisamente contro lo stesso Consiglio di Sicurezza, reo di avere creato «una falsa realtà in cui ogni rimostranza palestinese contro Israele diventa la questione più urgente all’ordine del giorno, mentre il terrorismo e la distruzione causati dall’Iran e dai suoi alleati in tutta la regione sono considerati quasi un fatto secondario. […] Purtroppo, anziché promuovere la pace, i dibattiti del Consiglio di Sicurezza sul Medio Oriente sembrano solo perpetuare il conflitto. Anziché aiutare a trasformare la visione della pace in realtà, questi dibattiti creano un realtà alternativa e falsa».

Non è compito di questa riflessione entrare nel merito dei contenuti di verità (o di percezione della realtà) che l’una o l’altra di queste posizioni, l’una o l’altra di queste critiche può contenere. È utile però richiamare, nella ricorrenza che si vorrebbe non solo celebrativa, né tantomeno rituale, della Giornata delle Nazioni Unite (24 Ottobre) il senso complessivo delle cose, ricondurre ad «unità nella complessità» l’insieme delle questioni e delle iniziative, delle articolazioni e dei programmi, che costituiscono quella che pure è stata definita «la più grande burocrazia del mondo», vale a dire l’Organizzazione delle Nazioni Unite. La quale nasce, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, da considerare forse, per l’insieme delle tragedie che vi si sono consumate, la più grande catastrofe della storia umana, al fine di prevenire ulteriori guerre, dopo il fallimento sostanziale della pre-esistente Società delle Nazioni. E così, il 25 aprile 1945, i rappresentati di cinquanta nazioni si riunirono a San Francisco per una conferenza per delineare il futuro assetto delle relazioni internazionali e avviarono la redazione della Carta delle Nazioni Unite, che fu adottata il 26 giugno 1945 ed entrò in vigore, appunto, il successivo 24 ottobre. In base alla Carta, le finalità dell’Organizzazione consistono nel preservare la pace e la sicurezza a livello mondiale, proteggere e tutelare i diritti umani, sviluppare il sostegno umanitario e la cooperazione internazionale, promuovere lo sviluppo e tutelare il diritto internazionale. Se, alla fondazione, l’Organizzazione poteva contare su 51 Stati membri, oggi conta 193 Stati membri: praticamente la totalità degli Stati sovrani del mondo, impegnati oggi nella sfida di un panorama sempre più intensamente attraversato da crisi e tensioni, e, come recita il tema dell’anno, a «ricostruire insieme per la pace e per la prosperità».

È in questa cornice che le critiche vanno contestualizzate e l’effettiva capacità di azione delle Nazioni Unite adeguatamente soppesata: senza celarne contraddizioni e carenze ma, allo stesso tempo, senza strumentalizzarne carattere e funzioni. D’altra parte, secondo una celebre massima, attribuita all’ex segretario generale Dag Hammarskjöld, «l’ONU non è stata creata per portare l’umanità in paradiso, ma per salvarla dall’inferno».