Il 20 agosto è uscito un interessante studio (SARS-CoV-2 variants of concern and variants under investigation in England) pubblicato sul sito governativo inglese riguardo alle varianti del Sars CoV 2 e l’evoluzione della malattia, dal rilevamento della positività. Lo studio è stato condotto su un campione di 386.735 casi di persone risultate positive al tampone. Fra loro c’erano persone non vaccinate, persone che hanno ricevuto 1 dose di vaccino nei precedenti 21 giorni e persone completamente vaccinate da almeno due settimane. I dati raccolti paragonano solo due fasce di età: i minori di 50 anni (87% dei casi) e i maggiori di 50 anni (13%), con tutti i limiti che questo comporta, soprattutto quando si parla di decessi (che potrebbero essere ultraottantenni ma che risultano nella fascia sopra i 50 anni). Inoltre nello studio non vengono riportati i totali di riferimento di ogni categoria nella popolazione globale, che vanno cercati in altri studi sullo stesso sito.

Purtroppo oggi per informarsi adeguatamente bisogna capire l’inglese e saper fare i conti. E non basta mai

Lo so, le tabelle spaventano e annoiano, ma spesso contengono informazioni che fanno riflettere, senza doversi per forza affidare all’interpretazione dell’opinionista di turno, me compresa che, anche se la matematica e la logica non mi spaventano, non ho certo fatto studi di statistica.

In un interessante articolo (in inglese) pubblicato a proposito dell’interpretazione dei dati di Israele, considerati fra i più completi, ci viene spiegato come non perderci dietro ai numeri e cercare sempre informazioni più complete quando si cerca di fare una interpretazione o tirare delle conclusioni.

Bisogna ricordare anche che molti degli studi che circolano, anche quelli verificati e pubblicati nei siti governativi, presentano ancora alte percentuali di incertezza. Quindi ogni osservazione rientra in una cornice di instabilità nella quale stiamo vivendo già da un po’.

Sono certa che i calcoli degli studi statistici non diminuiscano affatto il dolore delle famiglie dei morti deceduti a causa di qualunque variante. La morte di un figlio, di una madre, di un fratello o sorella sono grandi come l’universo anche se costituiscono lo 0,000001% di qualcosa. Per uscire dalla nostra particolare prospettiva è necessario però domandarsi, in questa società dove la morte è negata e stigmatizzata: sappiamo quanta gente muore normalmente? Ne abbiamo la percezione o ce ne rendiamo conto solo quando si avvicina a noi? Questi studi e le statistiche servono a tutti noi per vedere la proporzione dei fenomeni e comprenderli meglio, e dovrebbero servire ai governi per non fare errori grossolani nella gestione delle loro conseguenze, per modulare la comunicazione sociale, per rafforzare le risorse del sistema sanitario.

Per non sbagliarmi troppo, mi sono munita di traduttore automatico, di una semplice calcolatrice ed ho cercato di fare qualche relazione per non fermarmi davanti all’ingannevole apparenza dei valori assoluti. Vi consiglio di fare lo stesso, perché le mie considerazioni sono minime. Innanzitutto lo studio ci mette di fronte a un mondo pieno di sigle. Se i giornali hanno ormai reso famose la variante Delta, perché maggiormente presente, almeno nel Regno Unito, non c’è forse abbastanza informazione sul numero di varianti già in circolazione (11 delle quali studiate nel testo), sulla loro dinamica, dalla loro apparizione alla loro presunta estinzione. C’è un lavoro enorme di monitoraggio e di osservazione con diverse metodiche per riconoscerle e differenziarle. Il linguaggio dello studio è molto cauto, ci sono incidenti, campioni che risultano danneggiati, dati che non possono essere interpretati o che comunque non danno alcuna certezza. Questo modo di procedere dovrebbe dunque essere trasmesso anche dal giornalismo, e così è stato fatto probabilmente in vari altri paesi.

Nel campione studiato (i cui dati provengono dal sistema sanitario e non sono messi in relazione con l’universo dei vaccinati e non vaccinati presenti nella popolazione), non c’è una significativa differenza di contagio fra vaccinati, parzialmente e totalmente (163.329 – 42% dei casi), e non vaccinati (183.133 – 47% dei casi).

Sempre facendo riferimento al campione studiato, su 19.774 persone che hanno dovuto ricorrere al pronto soccorso, 11.527 non erano vaccinate mentre su 1.189 morti entro i 28 giorni dal rilevamento della positività, 390 non avevano ricevuto la vaccinazione. Non si tratta qui di verificare l’efficacia del vaccino che, come si legge dai rapporti di sorveglianza, non è così facile da rilevare né stimare. Per esempio, se nella popolazione inglese, le persone vaccinate sono l’80% e quelle non vaccinate il 20%, questi numeri andrebbero parametrati con quelle percentuali. Questo però avrebbe senso partendo dal presupposto che una persona vaccinata non si è infettata per merito del vaccino e non perché ad esempio ha un sistema immunitario particolarmente attrezzato. Di fatto, fino a che non è arrivato il vaccino, larga parte della popolazione non si è infettata grazie alla propria particolare risposta immunitaria. I calcoli delle proiezioni devono dunque tenere conto di molti fattori e perciò si devono leggere per quello che sono.

“Anche se gli individui possono non sviluppare sintomi di COVID-19 dopo la vaccinazione, è possibile che siano ancora infettati dal virus e che possano trasmetterlo ad altri” dice il Rapporto di sorveglianza della campagna di vaccinazione in Regno Unito. Le parole sono pesate con cautela e vanno prese con cautela. Le stime riportate nello stesso rapporto ovviamente prevedono una scarsa infezione e una scarsa trasmissibilità nelle persone vaccinate (senza riportare la complessità dei calcoli per raggiungere quei risultati). Sono stime, e perciò chi scrive i report preferisce il verbo “potere” e i condizionali.

Noi divulgatori invece spesso lanciamo certezze là dove non ci sono… ma i dati fanno riflettere e il modo di presentarli anche.

Allora adesso in Italia si vuole iniziare a vaccinare i bambini. Quelli che, da quanto è stato ampiamente dimostrato fin dall’inizio della pandemia, non sviluppano forme gravi della malattia o in casi molto rari.

Forse chi non si vaccina, ricorre all’ospedale e guarisce, ci fa spendere troppi soldi in cure? Chi fa davvero prevenzione con altri metodi che non siano il vaccino, ha avuto una qualche voce nel dibattito o è stato trattato come uno stregone superstizioso e luddista?

Perché non si assiste da nessuna parte a un franco confronto fra medici (anche presi all’interno della stessa medicina occidentale allopatica) che giustificano la promozione, quasi imposizione, del vaccino per tutti e altri che avvertono sulle varie conseguenze che i vaccini possono generare, fra le quali la mutazione del virus in nuove varianti (cosa che dà enorme lavoro ai laboratori di analisi)?

Polemiche a parte, l’evidente dialettica fra i diversi metodi di prevenzione e di cura, avrebbe potuto essere risolta in una più evoluta integrazione fra i saperi e non doveva essere trasformata in una guerra fratricida fra persone vaccinate e non vaccinate. Chi ha gestito l’informazione e chi ha gestito politicamente la situazione ha una responsabilità storica di gran peso.

Come si potrà giustificare la caccia alle streghe contro chi ha deciso di non vaccinarsi per la più ampia e svariata gamma di ragioni, quando i vaccini non bloccano la circolazione del virus e sono in continua osservazione?

Come è possibile accettare e giustificare uno strumento politico discriminatorio come il Green Pass che, di fatto, è applicato in modo arbitrario e discutibile in diversi paesi europei?

Ah, certo, gli inglesi sono diversi da noi…

 

Nota:

La prima versione di questo articolo, realizzato dopo una lettura più superficiale dello studio, è stata sostituita da questa, grazie alla critica e ai suggerimenti di amici dalle opinioni diverse dalle mie che, pur non essendo statisti, hanno approfondito la loro informazione per poter confutare le mie riflessioni. Mi auguro che ognuno di noi sia disposto ad approfondire l’informazione e la comunicazione anche quando le affermazioni vanno in accordo con il proprio sentire.