Dopo quasi tre mesi di processo, la prima sezione penale del tribunale di Tegucigalpa ha emesso una sentenza di condanna a carico di Roberto David Castillo, ex presidente di Desarrollos Energéticos SA (DESA)[1], che è stato ritenuto coautore dell’omicidio della dirigente indigena Berta Cáceres. La pena verrà comunicata durante l’udienza del prossimo 3 agosto.

La notizia ha scatenato l’entusiasmo tra le persone riunite fuori dalla Corte suprema di giustizia, dove dall’inizio del processo si è installato l’accampamento femminista “Berta Vive”.

La sentenza contro Castillo rappresenta un nuovo importante passo sulla via della giustizia integrale per Berta. Giunge dopo la condanna nel 2019 degli autori materiali del crimine a pene comprese tra i 30 e i 50 anni di carcere, tra i quali spiccavano ex dirigenti e membri della sicurezza di DESA, ex militari e militari in servizio .

“Questa sentenza ha un significato molto importante. Questa volta le strutture di potere non sono riuscite a corrompere il sistema giudiziario e la struttura criminale, capeggiata dalla famiglia Atala Zablah e di cui il condannato David Castillo Mejía è strumento, non ha raggiunto i suoi obiettivi”, si legge in un comunicato letto da Bertha Zúniga, figlia della dirigente uccisa e attuale coordinatrice del Copinh[2].

Sia la famiglia dell’attivista assassinata che il pool di avvocati della “Causa Berta Cáceres”[3] hanno spiegato che all’appello con la giustizia mancano ancora gli autori intellettuali del crimine e altre persone e istituzioni coinvolte.

Hanno riconosciuto che la condanna di Castillo rappresenta “una vittoria dei popoli del mondo che hanno accompagnato questo processo, della solidarietà e dei diritti umani”.

Hanno anche chiesto la cancellazione dell’illegale concessione sulle acque del fiume Gualcarque, lo smantellamento delle “reti criminali che hanno agito durante il processo per promuovere l’impunità” e hanno denunciato il “sistematico e costante maltrattamento delle vittime da parte di funzionari pubblici”.

Hanno infine ringraziato il sostegno ricevuto a livello nazionale e internazionale e hanno chiesto alla comunità internazionale di continuare a sostenere “gli sforzi profusi dalle organizzazioni sociali e popolari”.

“Ho rivissuto i momenti più duri di quando mia figlia è stata uccisa. In questo momento mi sento l’animo un po’ più leggero, ma questa storia non finisce qui. Dobbiamo continuare a lottare per portare in tribunale e fare condannare tutti quelli che hanno pianificato e finanziato l’assassinio di Berta. Il crimine non rimarrà impunito. Chiedo a tutti di continuare a sostenerci”, ha detto via telefonica Austra Bertha Flores, madre di Berta Cáceres.

È il turno dei mandanti

“Dalla lotta in difesa del territorio delle comunità Lenca di Río Blanco abbiamo appreso la capacità di resistere e l’abbiamo messa in pratica nei confronti dele istituzioni. Quella di oggi (ieri per chi legge) è una vittoria dei popoli, non certo di chi amministra la giustizia, che per anni ha ingiustamente accusato, perseguitato e criminalizzato Berta.

Esiste una responsabilità oggettiva delle istituzioni e dei funzionari di giustizia. Non dimentichiamocelo mai!”, ha detto Víctor Fernández, alla testa del poll di avvocati che rappresenta la famiglia di Berta Cáceres.

Fernández ha infine ricordato che la condanna di Castillo rappresenta un elemento di continuità all’interno dell’impegno profuso per ottenere giustizia integrale per Berta, che implica verità, riparazione e non ripetizione dei crimini fin qui commessi.

“Rendere giustizia a Berta significa stabilire un precedente e aprire alla possibilià di gettare luce su centinaia di crimini commessi con le stesse modalità, ma che sono rimasti impuniti. Potrebbe inoltre avere un effetto dissuasivo su quelle compagnie abituate a corrompere e anche a uccidere per ottenere ciò che vogliono. Sappiano che siamo più forti, più organizzati e che siamo pronti”, ha concluso Fernández.

Note

[1] Società titolare della concessione per lo sfruttamento delle acque del fiume Gualcarque e promotrice del progetto idroelettrico Agua Zarca, contro il quale si sono battuti Berta Cáceres e il Copinh.

[2] Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene dell’Honduras, di cui Berta Cáceres era coordinatrice nazionale al momento di essere assassinata la notte del 2 marzo 2016

[3] https://berta.copinh.org/

L’articolo originale può essere letto qui