La Missione 82 di Open Arms con a bordo il personale di EMERGENCY si è conclusa oggi, giovedì 1 aprile, con lo sbarco delle 209 persone ancora a bordo nel porto di Pozzallo, place of safety assegnato dalle autorità italiane alla nave a 5 giorni dal primo soccorso avvenuto nel pomeriggio dello scorso 27 marzo.

Le operazioni di soccorso effettuate dall’equipaggio della nave sono state in tutto tre, tutte avvenute in zona Sar di competenza maltese. 219 le persone tratte in salvo, tra cui 151 uomini, 56 minori (tutti molto piccoli) e 12 donne.

Due le evacuazioni urgenti effettuate dalla Guardia Costiera italiana, la prima di una donna in stato di gravidanza (evacuata insieme al fratello) la seconda di una bambina di 7 anni con perdita di coscienza dovuta probabilmente a crisi epilettica (evacuata insieme ai genitori e ai cinque fratelli).

Anche durante questa missione, come nelle precedenti di questi ultimi mesi, la Open Arms si è trovata a dover affrontare una situazione complessa e rischiosa: moltissimi gli avvisi di imbarcazioni in difficoltà ricevuti e trasmessi dalla ONG Alarm Phone o dagli aerei civili Colibrì e Moonbird, a cui sono seguite ore di navigazione per raggiungere i naufraghi e prestare loro soccorso.

Raggiunta la posizione indicata però, le imbarcazioni risultavano sparite nel nulla, riportate di fatto indietro dalla cosiddetta Guardia Costiera libica come confermato dai dati dell’OIM, secondo i quali nell’ultimo weekend sono state 1000 le persone intercettate e respinte in Libia, un paese non sicuro, in cui le violazioni dei diritti sono costanti e la violenza è strumento di estorsione e ricatto.

Ancora una volta dunque oltre a svolgere le nostre operazioni di ricerca e soccorso e a proteggere la vita di centinaia di donne, uomini e bambini, ci troviamo a dover denunciare le continue omissioni di soccorso, i respingimenti per procura, il coordinamento europeo di milizie armate, finanziate e addestrate per recuperare chi fugge. Il Mediterraneo centrale è ormai di fatto una terra di nessuno, dove non è presente alcun coordinamento europeo né assetti navali governativi che possano garantire l’incolumità di chi è alla deriva e ha bisogno di aiuto.

E’ la frontiera in cui naufragano il diritto, il rispetto della legge e della dignità di ogni essere umano, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. E’ la tomba dei valori che hanno costruito l’Europa e le sue democrazie, oltre che di migliaia di persone che i governi non hanno voluto salvare.

Le navi umanitarie, in questo contesto, restano gli unici avamposti di tutela, l’unica voce di chi non ha parola, l’unica forma di denuncia, l’unica speranza perché si torni a credere nell’eguaglianza e nella legge.