Con la recente adozione di un controverso disegno di legge sui media da parte del presidente somalo Mohamed Abdullahi Farmajo, i professionisti dei media somali sono preoccupati di ciò che accadrà ai giornalisti che già lottano in un ambiente mediatico ostile.

Il disegno di legge, firmato il 26 agosto, contiene 41 articoli sui media e il modo in cui devono svolgere il proprio lavoro. La legge limiterà gli inviati stampa e darà allo Stato un potere illimitato sui media.

Perché le società civili e i media protestano contro il progetto di legge?

Secondo Abdalla Mumin, segretario generale del Sindacato dei giornalisti somali (gruppo di difesa della libertà di stampa), con la nuova legge sui media la stampa verrà posta sotto il diretto controllo del governo, come se fosse completamente gestita dallo Stato. Ciò viola la Costituzione, aprendo la strada a un ambiente più restrittivo in cui il giornalismo è un crimine.

Dopo l’adozione del disegno di legge in agosto, Abdalla Mumin ha pubblicato un tweet appassionato sulla questione:

Twitter: «Strappare la lingua a un uomo non significa affatto provare che sia un bugiardo. È come dire al mondo intero che si ha paura di ciò che quell’uomo può dire.» George R. R. Martin, Lo scontro dei re

Il disegno di legge sui media prevede l’assegnazione delle licenze ai giornalisti da parte del governo, che può revocarle in ogni momento e per qualsiasi motivazione, qualora il giornalista venga ritenuto troppo critico. È il Ministero dell’informazione ad accreditare i giornalisti, non un’associazione di stampa o delle organizzazioni del settore indipendenti e non governative.

La legge permette chiaramente allo Stato di controllare e dirigere gli operatori dei mezzi di comunicazione pubblici e non. In questo modo i professionisti del settore sono ostaggi dello Stato, e la loro imparzialità compromessa. Solo nei Paesi autoritari gli operatori dei media fanno richiesta al governo di licenze e accrediti.

In agosto il direttore della stampa, Abdinur Mohamed Ahmed, ha dichiarato in un’intervista alla BBC somala che 16 articoli sono stati esclusi dal disegno di legge e che altri sono stati modificati. Ma le associazioni di media continuano a criticare il disegno di legge considerandolo oppressivo.

L’ex presidente Hassan Sheikh ha inizialmente firmato il controverso disegno di legge nel 2016, e da allora le associazioni di media e i gruppi di società civile hanno condotto delle campagne per l’abrogazione della legge tenendo conto della sua natura draconiana. Ci sono stati progressi quando l’attuale presidente, salito al potere, ha ordinato una revisione della legge, che però da sola non basta per rispondere alle richieste dei professionisti dei media e dei difensori dei diritti civili.

Il 31 agosto, durante un talk-show di Universal TV (emittente satellitare somala), l’ex ministro dell’Informazione Mohamed Abdi Hayir ha sottolineato che la Somalia non era l’unico Paese in cui il governo rilasciava le licenze ai media. In risposta, il segretario del Sindacato dei giornalisti somali Mumin ha attaccato il ministro accusandolo di copiare i Paesi dittatoriali dove non esiste libertà di stampa.

La comunità dei media somali protesta anche contro l’appello del disegno di legge alla formazione di un consiglio dei media, nel quale il governo avrà un’egemonia senza precedenti su ogni associazione del settore.

Questo consiglio di nove membri, di cui tre di media indipendenti, tre della società civile e tre del governo, avrà l’ultima parola sulla responsabilità degli operatori del settore. Esamineranno inoltre le denunce contro i media e delibereranno riguardo alla revoca delle licenze alle imprese. Ma le organizzazioni reputano questo consiglio come un consiglio di “censura”, temendo ripercussioni per le voci fuori dal coro prima delle prossime elezioni in Somalia.

Malgrado le persistenti difficoltà, i media somali sono in continua crescita.

Secondo l’indice di impunità del Comitato per la protezione dei giornalisti, la Somalia è uno dei luoghi più pericolosi per un giornalista. Il Comitato ha segnalato 26 omicidi di giornalisti in Somalia tuttora irrisolti. Sebbene il numero dei casi di omicidio sia diminuito, continuano le intimidazioni delle autorità sotto forma di arresti illegali, detenzioni arbitrarie e rifiuti di accesso all’informazione.

Alcuni operatori dei media somali hanno pagato con la vita la professione da loro scelta. Tra il 2017 e il 2020, 11 giornalisti sono stati uccisi e i colpevoli non hanno ancora confessato. Questa cultura dell’impunità crea un ambiente nel quale i giornalisti temono per la propria sicurezza e dunque esitano a realizzare reportage.

Twitter: «Undici giornalisti sono stati uccisi nel Paese negli ultimi quattro anni: 3 nel 2017, 4 nel 2018, due nel 2019 e due nel 2020, rendendo il Paese uno dei luoghi più pericolosi al mondo per i giornalisti».

I giornalisti rischiano anche di essere detenuti arbitrariamente a causa di post critici su Facebook o per aver condotto interviste non approvate dalle autorità.

L’ultima vittima della repressione governativa contro i media è Abdullahi Kulmiye Addow, giornalista televisivo e radiofonico reo di aver intervistato un uomo d’affari con inclinazioni islamiste critico a proposito del governo somalo e delle forze di pace dell’Unione africana. Dopo la diffusione di un’anteprima dell’intervista alla radio di Addow, alcuni agenti dell’Agenzia di sicurezza nazionale somala hanno fatto irruzione a casa sua la notte del 18 ottobre per poi trattenerlo presso la loro sede per cinque giorni. È stato liberato quando la stazione radio, in cambio del rilascio di Addow, ha acconsentito a non diffondere integralmente l’intervista.

Abdul Aziz Gurbiye, redattore capo dell’agenzia di stampa privata Goobjoog media, è stato arrestato il 14 aprile per aver accusato, su Facebook, il presidente somalo Mohamed Abdullahi Farmajo di essersi appropriato di un ventilatore polmonare per il COVID-19 destinato a uso pubblico. Cinque giorni più tardi è stato rilasciato su cauzione. Dopo due mesi di andirivieni c’è stata una battaglia legale terminata con un verdetto di colpevolezza: Gurbiye è stato accusato di diffusione di false informazioni e offesa all’onore del Presidente. È stato condannato a sei mesi di reclusione ma autorizzato a pagare una multa di 200 dollari invece della prigione.

Associazioni di stampa e proprietari dei media si sono riuniti per lanciare un monito contro l’applicazione della legge sui media. Sostengono che il nuovo ministro dell’Informazione Osman Dubbe cerchi di ottenere il sostegno della comunità internazionale e che il 7 novembre avrebbe inviato una lettera di richiesta ai potenziali donatori per appoggiare l’applicazione della legge.

Il 18 novembre le associazioni dei media somali hanno chiesto a Dubbe di negoziare una revisione approfondita della legge.

Twitter: «Durante la conferenza consultiva dei giornalisti tenutasi oggi a Mogadiscio abbiamo condiviso le nostre preoccupazioni sui tentativi del nuovo ministro dell’Informazione di rendere esecutiva in tempi brevi la legge draconiana sui media in Somalia, la sicurezza dei giornalisti e le crescenti minacce contro la stampa».

Con la caduta del regime militare nel 1991, il paesaggio mediatico è passato da un unico media appartenente allo Stato a multipli mezzi di comunicazione. Ma con i resti dell’antica legge draconiana ancora in vigore e applicata, ogni conquista può essere vana.

Le associazioni di media e i gruppi di società civile in Somalia hanno protestato vivamente contro l’imposizione di questa legge, che limiterà la libertà di stampa e ridurrà uno spazio politico già ristretto. Senza una stampa libera, la giustizia sparirebbe e l’autoritarismo prenderebbe il sopravvento.

Di Mohamed Adan Ishak

 

 

Traduzione dal francese di Enrica Marchi. Revisione: Silvia Nocera