Lo scontro diplomatico sulla Guyana Esequiba è una questione postcoloniale che si protrae da circa un secolo. La Guayana Esequiba è il territorio compreso tra i fiumi Cuyuni e Esequibo, con una estensione territoriale di 159.500 km quadrati, che la Repubblica Cooperativa della Guyana ha incorporato all’interno dei propri confini. La sovranità sull’area però è sempre appartenuta al Venezuela ed è sempre stata reclamata da quest’ultimo a livello internazionale per mezzo dell’Accordo di Ginevra del 17 febbraio 1966.

L’inclusione del  Territorio Esequibo  all’interno dei confini della Guyana fu stabilita nella Costituzione del 1980, riformata nel 1996, che dichiara che “ il territorio di tutte quelle aree comprese nella regione della Guyana prima della creazione della costituzione devono essere dichiarate, tramite atto del parlamento, come parte del territorio statale ”. Questo fu favorevole politicamente all’Inghilterra, la quale nel 1938 riconobbe il fiume Esequibo come limite occidentale.

Però è dal 1899 che Il Venezuela dichiara nell’articolo 10 della sua costituzione che “ Il territorio e gli altri spazi geografici della Repubblica sono quelli che corrispondevano al Capitanato Generale del Venezuela prima della trasformazione politica iniziata il 19 di aprile del 1810, con le modifiche risultanti dai trattati e dalle sentenze giudiziali prive di vizi di nullità ”. Il Capitanato comprendeva i territori dell’antica provincia di Guayana, che occupava la stessa regione Esequiba.

Nel 1899, per risolvere la querelle, si formò un tribunale che portò agli Accordi di Parigi che si conclusero con la cessione del territorio a ovest del fiume Esequibo all’Inghilterra. Tra il novembre 1900 e il giugno 1904, una commissione mista incaricata della delimitazione del confine anglo-venezuelano aveva “determinato, delimitato e fissato in modo permanente il confine stabilito dal premio del 1899”, portando i commissari a firmare la Convenzione del 10 gennaio 1905. Il Venezuela, all’epoca sotto influenza USA, non venne però rappresentato direttamente negli Accordi poiché i rappresentanti vennero nominati dagli Stati Uniti. Fu così che il Venezuela dichiarò la nullità dell’accordo e il 17 febbraio 1966 firma, con la Guyana, gli Accordi di Ginevra, in cui il Venezuela continua a negoziare con la Gran Bretagna, mentre la Guyana divenne indipendente solo 3 mesi dopo la sua firma pur accettando le sue condizioni provvisorie.

Dopo quattro anni senza risultati, si decise di firmare il Protocollo di Puerto Espana a Trinidad e Tobago con il fine di continuare la discussione per dodici anni. Nel 1982 il Venezuela ne uscì sconfitto ulteriormente e da quel momento decise di non rinnovare il trattato e di continuare con l’Accordo di Ginevra tramite il Segretario delle Nazioni Unite.

Con l’avvento della Rivoluzione Bolivariana nel 1999, la spartizione del ricco territorio della Guayana Esequiba fu percepita come una vera e propria questione postcoloniale che Stati Uniti e Impero britannico (che includeva la Guyana) avevano organizzato per portare avanti un disegno imperiale volto ai propri interessi economici.

Attualmente, il conflitto è alimentato dagli Stati Uniti per generare conflitto al confine orientale del Venezuela, nel tentativo di accerchiare il governo della Rivoluzione Bolivariana e rompere i legami di integrazione regionale. Un altro elemento importante da considerare è la ricchezza mineraria di questo territorio, che ovviamente è auspicabile per entrambi gli stati, ma anche per le multinazionali desiderose di nuovi sfruttamenti.

Per adesso la vittoria del Partito Progressista del Popolo in Guyana non sembra aver cambiato gli equilibri tra i due Paesi sulla questione.

Ieri, il Ministro degli Affari Esteri del Venezuela Jorge Arreaza, attraverso un comunicato ufficiale 1 , ha ripudiato la sentenza emessa dalla Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), in merito alla richiesta unilaterale presentata dalla Repubblica Cooperativa della Guyana sulla validità del lodo arbitrale dal 1899. Il ministro ha definito la decisione dell’ICJ “infame” e contraria all’Accordo di Ginevra del 1966. A sua volta, ha dichiarato che la Corte aveva commesso un errore incomprensibile e insolito nel decidere che la Guyana aveva giurisdizione in base alla validità del lodo arbitrale del 1899.

Arreaza ha sottolineato che la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia è ingiusta “non solo in termini di consenso non dato dal Venezuela a detta giurisdizione, ma nell’ammettere un oggetto di contenzioso diverso dall’oggetto sostanziale della controversia, come definito dall’Accordo di Ginevra del 1966”.

In questo senso, il ministro ha rivendicato la validità di tale trattato, che considera “l’unica norma restrittiva bilaterale applicabile in vigore per risolvere la controversia territoriale attraverso negoziati amichevoli”. Arreaza ha aggiunto che, in precedenza, il Venezuela ha fornito argomenti per assistere la Corte nel suo dovere di emettere una sentenza laddove la legge, i principi di diritto e il diritto consuetudinario richiedessero di dichiarare la sua evidente incompetenza.

L’alto funzionario ha ratificato che il suo paese “continuerà a esercitare la sua giusta pretesa data la grottesca frode che il lodo arbitrale del 1899 implicava a scapito della sua integrità territoriale” – e ha aggiunto – “Il Venezuela è stato ed è disposto ad avviare negoziati amichevoli per raggiungere un accordo reciprocamente soddisfacente su questo tema”.

A sua volta, il ministro venezuelano ha ribadito l’appello affinché questa controversia sia convogliata amichevolmente e ha proposto l’avvio di negoziati diretti con la Repubblica Cooperativa della Guyana, “in conformità con il diritto internazionale e sulla base dell’accordo di Ginevra del 1966, che incarica entrambe le parti di risolvere questa controversia in modo pacifico”.

Infine, il ministro degli Esteri ha invitato tutto il popolo venezuelano “a unirsi attorno a questa causa storica nazionale nella difesa del proprio diritto sovrano su Guayana Esequiba e a respingere una decisione che è dannosa per la legge, la storia e la giustizia”.