Non Una di meno Torino ha pubblicato un comunicato sulle azioni intraprese il 25 novembre nei confronti delle testate giornalistiche e dell’Ordine dei Giornalisti di Torino.

Il 25 novembre in occasione della giornata per l’eliminazione della violenza sulle donne Non una di meno Torino ha messo in atto tutta una serie di azioni annunciate in un comunicato.

Ha inoltre compiuto 2 azioni dimostrative: una all’ingresso della sede Rai di via Verdi e una davanti alla sede di C.so Stati Uniti dell’Ordine dei Giornalisti.

Sulle nostre azioni del 25 novembre contro la narrazione violenta dei media

In Italia ogni 72 ore una donna viene uccisa per mano di un uomo.

Dalla maggior parte dei giornali mainstream, femminicidi e altre forme di violenza di genere sono raccontati in termini che colpevolizzano le vittime ed empatizzano con i carnefici.

Da anni denunciamo questo fenomeno, che definiamo “narrazione tossica”, che riproduce e giustifica la violenza di genere.

Così lo scorso 25 novembre, in occasione della giornata mondiale contro la violenza di genere, abbiamo deciso di organizzare un mailbombing contro i giornali, ai quali abbiamo inviato un testo di denuncia e protesta.

Nelle stesse ore in cui migliaia di persone intasavano le caselle di posta degli organi di stampa, abbiamo gettato sul marciapiede, di fronte alle sedi di alcune testate nazionali e associazioni di categoria locali, della vernice fucsia, colore simbolo delle nostre lotte, lasciando a terra le stampe dei loro titoli inaccettabili e disgustosi.

Il mailbombing è stato partecipatissimo, a dimostrazione di quante siano le persone che sentono la necessità di posizionarsi su questo tema. L’azione con la vernice è stata chiaramente rivendicata e documentata attraverso i nostri canali.

Poco dopo lo svolgimento di queste iniziative, il presidente dell’OdG del Piemonte ha parlato di“blitz”, di “ignoranza supponente e becera purtroppo diffusa e pericolosa”.

INTANTO la cronaca di Stampa e Repubblica – testate contro le quali, tra le altre, abbiamo puntato il dito nelle nostre azioni – attribuivano ad altri gruppi politici azioni che abbiamo dichiarato a nostro nome e parlavano di inesistenti manifestazioni nella giornata del 25.

Sarebbe questa l’informazione “libera e corretta” di cui parla Sinigaglia?

A seguire si è inserito anche il gruppo di giornaliste GIULIA (GIornaliste Unite LIbere Autonome), che ha rincarato la dose parlando di una nostra “mancanza di rispetto” per l’informazione, definendoci una “frangia movimentista” da cui era opportuno dissociarsi.

Nel 2017 Giulia ha contribuito alla stesura del Manifesto di Venezia, volto a produrre un uso corretto del linguaggio nell’informazione sui temi di genere, che noi avevamo diffuso nel nostro mail bombing e in occasione delle nostre azioni in strada.

GIULIA come gruppo promotore del Manifesto, ha voluto chiarire di non avere nulla a che fare con noi (senza però nemmeno nominarci!). Le loro dichiarazioni sono state poi riportate dalle maggiori testate nazionali.

Ci preme rispondere a queste accuse perché il tema dell’informazione e delle narrazioni violente e tossiche ci chiama in causa in prima persona.

Chiama in causa la nostra azione politica, il nostro modo di concepire e praticare il femminismo, il nostro modo di significare politicamente una giornata importante come quella del 25 novembre e chiama in causa soprattutto il nostro quotidiano, le nostre vite.

Chi scrive sui giornali, chi racconta e costruisce le narrazioni che poi divengono senso comune, chi detiene il potere dell’informazione, un potere enorme e pervasivo, non può non essere cosciente di essere in una posizione di privilegio.

E non può non sapere di avere una responsabilità sociale, politica e culturale enorme.

Nel momento in cui questa responsabilità è sistematicamente tradita, ogni strumento di presa di posizione dal basso, come il mailbombing, e tutti gli altri che abbiamo usato e useremo continueranno a essere giusti e necessari.

Lo dobbiamo a noi stess*, alle nostre vite e a quelle di chi non c’è più o rischia ogni giorno di essere ammazzata, di subire qualche forma di violenza.

Quindi non possiamo accettare che le nostre azioni vengano squalificate, nella cornice di atti “violenti e condannabili”, definizioni vaghe e polarizzate che cercano di eliminare ogni dibattito.

Rivendichiamo quelli del 25 novembre, e non solo, come gesti di responsabilità personale, politica e collettiva.

Qual è lo scopo quindi di delegittimare questa azione (prendendola in considerazione in modo isolato, senza considerare le istanze che l’hanno mossa), se non quello di difendere “la categoria”, una categoria che, in larga parte ormai, ha perso il contatto con le persone e disconosciuto la propria funzione? Per chi scrivono costoro?

Chi ha cercato di oscurarci, silenziarci, falsificare i nostri contenuti, non solo in questi giorni ma anche negli anni passati, conosce bene il significato delle parole e ne comprende la portata.

Il termine “blitz”, usato per descrivere la nostra azione con la vernice fucsia, la fa ricadere in un campo semantico che non ci appartiene e che respingiamo: un campo militare e poliziesco, del tutto estraneo alle pratiche femministe anche le più radicali.

Inoltre, definire “frangia movimentista”, un movimento transnazionale come Non una di meno significa darne una connotazione riduttiva, dispregiativa, delegittimante e residuale.

Chi decide quale femminismo è centrale e quale è periferico e “frangista”?

Chi decide che le rivendicazioni delle donne possono essere tollerate solo se mosse in punta di piedi o chiedendo il permesso a chi già detiene voce, potere e privilegio economico, culturale e politico?

La nostra pratica politica non si limita alla denuncia, all’indicazione testimoniale della violenza di questa società, noi cerchiamo un modo comune per liberarcene.

Il rilancio del manifesto di Venezia da parte nostra era un modo di dare una dimensione operativa alla nostra rivendicazione politica: gli strumenti ci sono e si tratta solo di usarli.

Le dichiarazioni in questi termini, mistificatori e tendenziosi, da parte del presidente dell’Ordine dei giornalisti e del gruppo Giulia, nella giornata in cui abbiamo denunciato al mondo quanto e come subiamo violenza ogni giorno, sono davvero violenza nella violenza.

Hanno il sapore del “non creduto” e del “non legittimato”, tipico proprio di quegli abusi e di quelle violenze quotidianamente subiti.

Spostano lo sguardo dal punto e delegittimano la matrice politica e culturale di queste azioni.

Noi comunque andremo avanti, continuando a lavorare in favore di un’informazione che sappia nominare apertamente la violenza nelle svariate forme in cui si manifesta, e non contribuisca a perpetrare narrazioni violente nei confronti delle donne e soggettività dissidenti.

Chi vuole concentrarsi sul dito anziché sulla gravità della situazione che indichiamo faccia pure, ma per favore (sì, lo chiediamo con grazia!) non ci faccia perder tempo, e ci risparmi la morale.

Fonte: Non Una di Meno Torino