Si provi ad immaginare una grande città, deturpata da decenni di corruzione a tutti i livelli, il cui patrimonio storico, culturale e architettonico quando non è saccheggiato, viene completamente deturpato dalla speculazione edilizia. Una città che ha rinunciato a se stessa immolandosi sull’altare di un progresso capace di distruggere la sua essenza, fatta di secoli di convivenza tra le varie etnie che l’hanno popolata. E quando invece questa città decide di mantenere le testimonianze del suo passato, la sua memoria, trasforma le costruzioni storiche in volgari attrazioni turistiche con l’unica finalità di valorizzare il loro intorno che, una volta reso appetibile alle grandi imprese edili, viene sottoposto a un inesorabile processo di “gentrificazione”, ossia, come dice wikipedia pari pari, il progressivo cambiamento socioculturale di un’area urbana da proletaria a borghese a seguito dell’acquisto di immobili, e la loro conseguente rivalutazione sul mercato, da parte di soggetti abbienti . È famoso il caso di Salvador, la capitale dello stato di Bahia. Le sue case coloniali, una volta abitazioni brulicanti di vita, oggi ridotte a sedi di pseudo centri culturali, ristoranti e negozietti di souvenir. La gente “gentrificata” per benino, espulsa per sempre, allontanata dal centro e dal suo ambiente, ridotta a mendicare alloggi di fortuna, o inclusa suo malgrado nei programmi pubblici di assegnazione di case popolari, che spesso e volentieri nascono già fatiscenti, costruite in quartieri dormitorio senza alcun servizio, privi di ogni riferimento cultural-affettivo necessario per stabilire sia contatti umani, che la propria vita fisica. Salvador è solo un esempio. Possiamo pensare alle borgate romane, sorte con le demolizioni mussoliniane dell’antica Spina di Borgo, oggi via della Conciliazione.

Ebbene, in questa ipotetica città, che invito ad immaginare, esistono organi di controllo della società civile che, sulla carta, hanno il potere di fermare lo scempio urbanistico, hanno la capacità tecnica e legale di intervenire, di permettere o negare i cambiamenti proposti da chiunque. È un Consiglio di notabili, formato da persone elette democraticamente e nominate ad occupare quel ruolo per la loro riconosciuta competenza. Teoricamente il potere effettivo di questo Consiglio è enorme: interventi urbanistici, restauri, costruzione o demolizione di edifici, riformulazione della politica ambientale, riqualificazione e conservazione del patrimonio storico e culturale, possono venire approvati, modificati o addirittura interdetti. È un potere reale e attuante che i consiglieri esercitano attraverso la loro competenza tecnica, riunioni costanti, studio, discussioni aperte al pubblico, in modo che chiunque possa sapere quale percorso ogni decisione abbia intrapreso, dalla proposta teorica alla sua realizzazione. È facile intuire il peso della pressione che soffrono i consiglieri sia da parte delle grandi imprese edili, che da quelle correnti politiche da sempre invischiate con le lottizzazioni e la speculazione. Quest’anno è stata eletta la nuova direzione del Consiglio e i suoi posti chiave, finalmente, sono stati occupati da persone altamente competenti che hanno speso la loro vita nello studio della conservazione del patrimonio storico e urbano, persone impegnate nelle lotte sociali con i movimenti popolari della periferia, i movimenti nati dalla “gentrificazione” avvenuta in questi ultimi decenni. L’elezione della nuova direzione ha preso di sorpresa l’establishment, il magna magna abituato a mettere le mani sulla città, come nel film di Francesco Rosi. La nuova direzione ha esordito dicendo no alla costruzione di un grattacielo proprio nel cuore di un quartiere tradizionale, una collina sormontata da una basilica, meta di pellegrinaggio e devozione da secoli. L’albero di trenta piani lo avrebbero voluto costruire proprio davanti alla basilica, ostruendone la visione, deturpando per sempre quel tranquillo e storico quartiere. Secondo i costruttori, i trenta piani di cristallo avrebbero portato lo sviluppo e il progresso, strade, servizi, negozi… Il Consiglio ha detto no, il grattacielo non si farà. La decisione è andata contro l’usanza stabilita, contro la connivenza tra le imprese, i politici e gli organi di controllo, proprio quella connivenza che ha deturpato la città provocando il caos urbanistico in cui agonizza. Per la prima volta alcuni membri della direzione del Consiglio, indipendenti, legati al mondo accademico e alle lotte popolari, hanno dato un passo importantissimo verso l’autonomia di decisione. Ma c’è chi muore per molto meno. Gli uomini del potere municipale hanno dichiarato illegale ogni iniziativa intrapresa, hanno rinviato a giudizio con tanto di denuncia alla magistratura chi ha osato rompere l’ordine stabilito. E non solo, la elezione dei membri e della presidenza del Consiglio, che ha tolto dai magnaccia la gallina dalle uova d’oro, è stata annullata da un decreto delle massime autorità. E al loro posto sono stati collocati i fedelissimi dei gruppi politici al comando, del sindaco e del governatore. Attraverso i sotterfugi di sempre, la deturpazione della legge, l’uso del lawfare , la guerra giuridico-legale basata sulla manipolazione delle norme e delle regole procedurali, i detentori del potere politico e economico hanno cominciato il loro attacco. Gli specialisti del settore sono insorti contro l’autoritarsimo e l’arbitrio. Convocano la stampa, le università, i movimenti popolari per una lunga giornata di lotta e resistenza. Nel 2016, per opporsi al progetto neoliberista, attraverso un golpe giuridico-mediatico-parlamentare che si concluse con un impeachment fraudolento, la presidente Dilma Rousseff disse: se fanno questo a un presidente della repubblica, immaginatevi cosa potranno fare ai singoli cittadini. Cominciava il bolsonarismo.

Adesso, in quella ipotetica città che ho invitato ad immaginare, l’obiettivo dei potenti di sempre è quello di mantenere il controllo su una fetta di mercato edilizio, per loro fonte di immenso lucro, ma che per la popolazione significa la preservazione o la perdita definitiva del suo modo di vita, delle sue tradizioni; e per la città tutta, la conservazione della propria identità. Dice il proverbio che l’unica vera battaglia persa è quella che non si è combattuta…