Avete mai sentito parlare del Nagorno-Karabakh? Probabilmente quasi tutti ne hanno sempre ignorato l’esistenza. È roba da specialisti della geopolitica, di quei pezzi di terra che scopriamo casualmente girovagando su Wikipedia. In questo piccolo lembo di superficie a cavallo tra la Turchia, la Russia e soprattutto l’Armenia e l’Azerbaigian, si sta consumando una grave crisi militare, i cui risvolti sconfinano negli intricati rapporti delle alleanze internazionali. Il Nagorno-Karabakh è una regione formalmente sotto il controllo dell’Azerbaigian, ma che di fatto è governato dai separatisti armeni (gli armeni costituiscono il 98% della popolazione del territorio).

Gli scontri al confine

Il 28 settembre sono iniziati scontri armati tra le truppe azere e quelle armene nella regione. Il casus belli è ancora ignoto, e non si sa neppure chi abbia cominciato. Quello che è certo è che l’escalation che è susseguita è stata immediata e piuttosto violenta. Il bilancio delle vittime è già salito a 200 morti, di cui 18 civili. Dai bombardamenti di trincea, s’è passati ai missili a largo raggio. Dalle cannonate sui villaggi, ora la mira va fino al territorio nemico, ai grandi abitati dentro i confini dell’Azerbaigian e dell’Armenia. Non vengono risparmiati ospedali e scuole, nessuno dei due schieramenti sembra voler cedere.

I razzi armeni di fabbricazione russa piovono su Ganja, la seconda città azera, (330mila abitanti) e la gente si ripara nello Scudo dell’Asia (sotterranei risalenti all’impero ottomano, che nella leggenda è il rifugio dei periodi più drammatici). Sulla collina di Stepanakert, capitale semi-ufficiale del Nagorno-Karabakh , le donne armene preparano le scorte di focacce per la popolazione. La Croce Rossa ha denunciato i bombardamenti da ambo le parti come “indiscriminati sui civili”. I due Stati si accusano a vicenda, addossandosi la colpa di aver iniziato il conflitto. L’Armenia rivendica la regione, ribattezzata Repubblica dell’Artsakh, per via della presenza quasi totale di armeni, in nome del principio di autodeterminazione dei popoli. L’Azerbaigian, al contrario, accusa l’Armenia di aver invaso violentemente il Nagorno-Karabakh, che è a tutti gli effetti parte della Repubblica dell’Azerbaigian.

Alle radici del conflitto

Il conflitto nel Nagorno-Karabakh non è una novità dell’ultima ora. Già nel 2016 vi erano stati scontri piuttosto violenti che portarono alla morte di dozzine di militari da entrambi le parti, oltre alla piccola ma significativa escalation di luglio di quest’anno. La disputa sul Nagorno-Karabakh è solo la punta dell’iceberg di un odio viscerale che i due popoli nutrono da secoli nei confronti dell’altro. Gli armeni considerano da sempre gli azeri come una manica di rozzi incivili, la peggior versione dei turchi. Gli azeri vedono negli armeni una massa di aggressori e oppressori senza radici, che si sono insediati in quelle terre in modo illegittimo. Lo scontro ha dato adito allo sciovinismo più spinto da entrambe le parti, e ha riportato a galla una storia millenaria, ma che ha raggiunto un punto di svolta agli albori della prima guerra mondiale e alla nascita dell’URSS.

Nel 1921 le autorità sovietiche unirono la regione del Nagorno-Karabakh, abitata in prevalenza da armeni, all’Azerbaigian. Dopo il crollo dell’Urss nel 1991, gli armeni della regione votarono per l’indipendenza con un referendum boicottato dall’Azerbaigian. I separatisti sostenuti da Yerevan ne assunsero il controllo, con una guerra che ha causato 30.000 morti (soprattutto sul fronte azero) e migliaia di sfollati. Da allora il Nagorno-Karabakh si definisce uno stato indipendente col nome di Repubblica dell’Artsakh, la cui capitale è Stepanakert, ma che non è riconosciuto a livello internazionale e che neanche l’Armenia riconosce.

Ad un fragile cessate-il-fuoco raggiunto nel 1994 grazie alla mediazione di russi, francesi e americani del Gruppo di Minsk (creato appositamente nei primi anni ’90 per gestire la guerra fra i Paesi), non è seguito nessun progresso nei negoziati di pace portati avanti dall’Osce, in stallo fin dal primo giorno. L’Armenia ha accusato a più riprese l’Azerbaigian per le responsabilità nel genocidio armeno del 1915 (mai riconosciuto dall’Azerbaigian) e per il massacro etnico nel Nakichevan del 1918 (dove in realtà ci fu una pulizia etnica sistematica da entrambe le parti, soprattutto perpetrata dagli armeni nei confronti di oltre 250000 azeri). Anche durante la guerra degli anni ’80 e ’90, moltissimi armeni furono costretti a fuggire da Baku (oltre 1 milione di persone) e i restanti furono vittime di persecuzione da parte delle autorità azere. Le accuse di pulizia etnica sono state formulate anche dall’Azerbaigian nei confronti dell’Armenia, in particolare per il già sopracitato Nakichevan e per la pulizia etnica del biennio 1988-1989, in cui furono cacciati oltre 250000 azeri e 18000 curdi dall’Armenia.

Un nuovo teatro internazionale

Come sempre accade, le guerre regionali non sono mai solo guerre regionali. Non appena il conflitto si è riacceso, sono entrate in gioco le potenze mondiali. La Turchia in primis, che con l’Azeirbaigian ha un rapporto di fratellanza molto stretto, si è schierata al fianco di Baku e si è detta disposta a tutto pur di difenderne l’integrità territoriale. Lo stesso Presidente dell’Azeibaigian Ilham Aliev ha affermato più volte che Turchia e Azerbaigian sono “Un’unica nazione, ma con due Stati”. La mossa di Ankara non può essere considerata solo un’azione fraterna, ma si inserisce nel piano strategico di espansione pan-turkista che va avanti ormai da anni, e che vede nel Nagorno-Karabakh un nuovo centro di influenza geopolitica e religiosa.

Dopo la Siria, Libia, Grecia e Cipro, anche l’Azerbaigian è un nodo della rete di influenza musulmana che la Turchia sta cercando di esercitare in nome dell’egemonia nella regione, il cosiddetto Neo-Ottomanesimo. L’Azeirbaigian è anche uno Stato molto ricco di risorse naturali, e la regione del Nagorno-Karabakh è un crocevia degli oleodotti che riforniscono di petrolio e gas i principali mercati mondiali. Non sorprende quindi che la Turchia, con una situazione economica in bilico, con un deficit commerciale di oltre 2 miliardi di euro con il resto del mondo e con l’accordo energetico con la Russia che scade il prossimo anno (che prevede che Ankara si rifornisca esclusivamente dal Cremlino) abbia subito approfittato del conflitto.

Dall’altra parte l’Armenia è sostenuta dall’Occidente cristiano, ma anche dall’Iran in funziona anti-israeliana. Israele infatti ha un rapporto commerciale molto stretto con l’Azerbaigian, e si serve di Baku come avamposto contro Teheran. La Russia è formalmente alleata dell’Armenia, non solo per la fratellanza slava-ortodossa, ma per la comune appartenenza al CSTO (Collective Security Treaty Organization), una sorta di NATO post-sovietica che obbliga gli Stati aderenti ad intervenire a difesa degli altri nel caso di conflitti armati, per il principio di difesa collettiva. Tuttavia Mosca sta cercando di agire da mediatore, per via del fatto che ha ottimi rapporti economici con l’Azeibaigian. Quest’ultimo ha accusato l’Armenia di aver reclutato mercenari tra i separatisti curdi del PKK/YPG. L’Armenia ha attaccato a sua volta Baku asserendo che abbia reclutato combattenti tra le fila dei jihadisti e delle organizzazioni fondamentaliste: una tattica già sperimentata in Siria ed in Libia. Gli Stati Uniti, nel frattempo, dopo aver abbandonato l’area da diversi anni, sembrano non voler intervenire nel conflitto.

Prospettive future

In tanti hanno provato in questi decenni a stabilire una pace stabile e duratura tra Azerbaigian ed Armenia, ma nessuno ci è mai riuscito. L’odio viscerale che nutrono entrambi i popoli l’uno contro l’altro sembra essere un alimentatore infinito di tensioni. Come sempre accade, nelle regioni strategicamente importanti i conflitti vengono esasperati dalle potenze che vi hanno interessi. La rilevanza strategica delle risorse dell’area, unita al progetto pan-ottomano di Ankara, non permetteranno al conflitto di essere appianato in tempi brevi. A perdere sono i civili, costretti a trasferirsi da una parte all’altra, molto spesso sfollati e vittime di violenza. Non si può dire molto sullo scontro del Nagorno-Karabakh, perché anche noi osservatori esterni non ne conosciamo le dinamiche storiche e politiche, pregne di miti e pregiudizi. Non sappiamo se sarà una nuova Siria, o una nuova Libia: quel che è certo è che se ne parlerà ancora per molto.

Massimiliano Garavalli