Da luglio a Bangkok si susseguono imponenti manifestazioni studentesche contro la giunta militare al governo dal golpe del 2014. La risposta del potere e’ stata la dichiarazione dello stato di emergenza, l’uso di cannoni ad acqua mescolata a sostanze irritanti contro gli studenti, intimidazioni, arresti e sparizioni forzate.

Vogliono un futuro. Vogliono sapere se il potere è davvero del popolo o solo di alcuni privilegiati.

Chiedono lo scioglimento delle camere e nuove e libere elezioni. Chiedono una nuova Costituzione.

Chiedono una riforma della istituzione monarchica che revochi l’immunità al re, la liberazione degli oppositori incarcerati per lesa maestà, la riduzione dei costi per il mantenimento della casa reale. Ma soprattutto chiedono che il sostegno ai colpi di stato da parte della monarchia sia dichiarato illegale.

Da settembre manifestano sull’immenso prato di fronte al Palazzo Reale innalzando le tre dita tese che sono diventate il simbolo della resistenza al potere dei militari. Il corteo sciama anche lungo il grande viale che porta al Democracy Monument, riferimento storico di tutte le grandi manifestazioni thailandesi, in particolare quelle del 1976 e del 1992 che nonostante la sanguinosa repressione, ottennero la caduta dei militari.

Perché la Thailandia, quello che noi conosciamo come un paradiso turistico, e’ un paese che dalla fine della seconda guerra mondiale ha subito innumerevoli colpi di stato e ha promulgato 19 carte costituzionali. L’ultimo golpe e’ del 2014 e da allora la Thailandia è retta dal governo guidato dal Generale Prayut e dal “Consiglio Nazionale per l’Ordine e la Pace”.

Dal 2014 la repressione nei confronti di chiunque non sia totalmente prono al regime è stata continua: minacce, arresti, condanne di 35 anni per dei post su Facebook ritenuti diffamanti, sparizioni forzate ed uccisioni extragiudiziali, anche la sede della BBC di Bangkok eè stata chiusa dai militari per un periodo.

I leader della protesta di questi giorni sono giovani studenti poco più che ventenni delle università di Thammasat e Chulalongkorn. I loro nomi “Arcobaleno” e “Pinguino” sono in linea con l’impostazione fortemente pacifica della rivolta, ma non rendono la fermezza mite con cui stanno affrontando la repressione e gli arresti.

Hanno capito che aspettare che le cose migliorino da sole è inutile, hanno capito che non è vero che i militari assicurino la stabilità necessaria allo sviluppo economico, hanno capito che solo loro possono liberarsi dal fardello che pesa sul loro futuro.

La recessione economica prodotta dalla pandemia ha reso evidenti i problemi alla base dell’economia e dello stato. Il crollo del turismo ha avuto effetti disastrosi.

Il 60% del PIL dipende dalla economia globale, il turismo corrisponde al 15% del PIL.

La crisi ha prodotto una disoccupazione diffusa e un aumento della povertà.

La dissoluzione da parte del governo del Partito Avanti nel Futuro, in seguito ad accuse di corruzione, ha esacerbato la situazione.

Ma ciò che ha condotto all’audacia di criticare l’istituto monarchico è stato il comportamento del nuovo re Vajiralongkorn, salito al trono nel 2016, ma per lo più residente in un lussuoso albergo bavarese con la moglie e concubine.

Il suo totale disinteresse nei confronti delle difficoltà in cui si dibatte il Paese ha fatto superare il radicatissimo timore di mancare di rispetto alla Casa Reale e ha portato gli studenti a dire quello che nessuno prima di allora aveva osato dire: la monarchia, così com’è è ingiusta e non ci rappresenta.

Gli arresti dei leader del movimento sono seguiti con implacabile rapidità.

Ma gli studenti continuano a manifestare: gridano che le regole del gioco favoriscono alcuni a scapito di altri, sollevano verso l’alto dei peluches di un criceto, un personaggio di un anime giapponese molto noto che in quanto criceto e’ molto ingordo e cantano un gingle a cui hanno cambiato le parole e dicono “mangia, mangia, le nostre tasse, la nostra povertà”

Sono ragazzi che hanno dovuto chiedere prestiti per potersi immatricolare e pagare le rette, ma sanno che non potranno ripagarli perché il lavoro non c’è.

Vedono che il Paese è sempre più diviso tra pochi privilegiati che studiano nelle costosissime università private in lingua inglese e la maggioranza della classe media che si forma nelle autorevoli facoltà di Bangkok, ma poi non ha futuro.

Gridano “Prachachon” cioé “Popolo” e non si sentono vetero. Organizzano le manifestazioni con i cellulari e i Social, in modo decentralizzato. Nelle province la risposta non si è fatta attendere, da luglio si sono contate 246 manifestazioni in 62 diverse località.

Facciamo loro sentire che non sono soli, facciamo una pressione sul governo, tanto attento alla immagine internazionale di paradiso tropicale perché , come diceva Mons. Romero, cessi la repressione, firma: https://www.change.org/p/thai-people-democracy-for-thailand?source_location=topic_page