Il piano della Commissione Europea sulla migrazionepresentato lo scorso 23 settembre, sembra suscitare pochi entusiasmi – non solo tra gli stati membri dell’Europa centrale. Stando infatti a una prima analisi delle proposte legislative, una vasto campione di ricercatori ed esperti delle politiche di mobilità e asilo hanno puntato il dito contro diversi elementi che rischiano di minare ulteriormente la cooperazione europea sui temi dell’accoglienza e della gestione dei flussi migratori.

In particolare, oggetto di serrate critiche è il cosiddetto meccanismo di “solidarietà flessibile“: se almeno nelle intenzioni questo nuovo schema di cooperazione dovrebbe aiutare a superare le disfunzionalità del regolamento di Dublino, in realtà finirebbe per riconfermare i disequilibri tra nord e sud del vecchio continente – con i paesi costieri responsabili in ultimo dell’accoglienza dei rifugiati.

Inoltre, con l’introduzione delle procedure di pre-selezione ai confini esterni dell’Unione, le aree periferiche come le isole greche finirebbero per diventare in via permanente delle zone di transito, legittimando ulteriormente logiche di esclusione, violazione dei diritti e privazione delle libertà fondamentali.

Infine, in assenza di proposte concrete sulla migrazione legale, gli accordi internazionali con i paesi d’origine appaiono come un piatto poco appetibile per i partner extra-europei e rischiano di creare aspettative troppo alte sulla loro capacità di limitare i flussi di cosiddetti “migranti economici”.

Abbiamo raccolto una rassegna delle analisi più significative pubblicate da esperti di migrazione e asilo.

I parteneriati internazionali e l’accento sui rimpatri

Il grande assente di questo piano sono gli schemi di accesso legali per i migranti provenienti da paesi in via di sviluppo, su cui la Commissione ha lanciato una consultazione pubblica e presenterà un piano l’anno prossimo. Camille Le Coz (Migration Policy Institute, MPI) ha sottolineato come, nella sua dimensione esterna di cooperazione allo sviluppo, il patto rappresenti un’occasione persa per abbandonare il concetto di lotta alle “cause della migrazione irregolare”, che sin dalla sua introduzione nel Consiglio europeo di Tampere del 1999 ha rappresentato un caposaldo ideologico, ma alla prova dei fatti debole, della politica migratoria comunitaria.

In questo senso, Anna Knoll (European Centre for Development Policy Management, ECDPM) denuncia la sostanziale continuità dell’approccio europeo e spiega che introdurre condizionalità sulle politiche dei visti non fornirebbe ai paesi africani i giusti incentivi per combattere il business dei trafficanti. Dello stesso avviso, Kate Hooper (MPI) ha insistito sul fatto che solo dei partenariati che supportino schemi di migrazione circolare possono ridurre la migrazione irregolare ed essere supportati dai paesi di origine, che potrebbero percepirli come veri accordi “tra pari”.

Le procedure di pre-selezione

L’introduzione di procedure di pre-selezione viene incontro all’esigenza di accelerare le procedure di asilo e decongestionare i paesi di primo accesso, come la Grecia e l’Italia, dove i due terzi degli ingressi irregolari sono attualmente di individui non idonei all’asilo. Come non mancano però di far notare Olivia Sundberg Diez (European Policy Centre, EPC) e Sergio Carrera (Centre for European Policy Studies, CEPS), procedure più rapide sono associate a minori e più deboli salvaguardie legali dei richiedenti asilo.

Oltretutto, per stessa ammissione del Commissario Johansson, le procedure di pre-selezione sono state pensate come deterrente per i migranti irregolari, non come meccanismo per garantire procedure più eque e certe per i rifugiati. Queste premesse, fanno pensare che l’annuncio trionfalistico “mai più Moria” sia poco più che uno slogan: gli hotspot si riconfermano invece come un elemento cardine come evidenziato da Nikolaj Nielsen sulla base delle stime budgetarie annesse alla proposta.

La “solidarietà flessibile”

Un rischio evidenziato da Alberto Neidhardt (EPC) è che il nuovo meccanismo di solidarietà, dando la possibilità agli stati membri di assistere i paesi di frontiera effettuando rimpatri invece che ricollocamenti, generi una “corsa al ribasso“.

Altri, come Meghan Benton, fanno notare che il piano della Commissione non fornisce soluzioni per uno dei punti ciechi della politica dei rimpatri: lo status legale dei migranti irregolari che gli stati membri non possono o non riescono a rimpatriare, che si ritrovano spesso intrappolati in un “protratto limbo legale”.

Gestione delle crisi e monitoraggio indipendente

Tra i meccanismi di gestione delle crisi, quello che desta maggiore preoccupazione per i ricercatori Lena Karamanidou e Apostolis Fotiadis è la proposta di introdurre deroghe al diritto europeo e internazionale in materia: uno stato membro può invocare il principio di forza maggiore e sospendere le procedure di asilo su tutto il territorio nazionale per la durata massima di tre mesi. Una scelta che la scorsa primavera il governo greco ha adottato suscitando le critiche unanimi delle organizzazioni internazionali.

Un altro aspetto sollevato da Apostolis Fotiadis è la legittimità del meccanismo di monitoraggio indipendente sulla conformità  della gestione delle frontiere ai diritti umani, che ciascuno stato membro dovrebbe farsi carico di mettere in piedi. C’è chi, come Amandine Bach, ritiene che le autorità governative, le stesse che in numerosi rapporti sono state denunciate di respingimenti illegali sistematici, siano le meno indicate a monitorare sul proprio operato. Altri sottolineano come questa proposta della Commissione rappresenti un’implicita ammissione delle violazioni di diritti che avvengono alle frontiere e un invito perentorio agli stati membri a farsi carico delle proprie responsabilità.