Nessuno tra i paesi occidentali che ha criticato la Russia o la Siria per presunti crimini di guerra o violazioni dei diritti umani si è mai schierato contro la guerra in Yemen, contro l’invio di armi in un paese nel quale bambini muoiono per mancanza di cibo e nel quale sauditi e houthi bombardano i civili in modo diffuso e sistematico. Parlarne in Gran Bretagna significherebbe limitare e contrastare il genocidio in atto: metà dell’aviazione militare saudita è di fabbricazione inglese, quegli aerei non potrebbero volare senza l’assistenza tecnica e i pezzi di ricambio forniti da Londra. E non potrebbero bombardare senza gli ordigni venduti dal Regno Unito.

Parlarne in Italia significherebbe creare un opinione pubblica in grado di influenzare le decisioni che potrebbero condurre ad abitare in un paese che si rifiuta di mandare in quei luoghi qualsiasi tipo di arma italiana e che vuole anche dire dare l’esempio ad altri paesi. E questo esempio ce lo danno oggi centinaia di inglesi che a Londra sono scesi in piazza per dire di no alla guerra in Yemen e all’invio di armi a sauditi e houti e ce lo danno da molto tempo i lavoratori del porto di Genova che, contravvenendo agli ordini, si rifiutano ogni volta di far attraccare al porto navi saudite che hanno il compito di imbarcare armi. In Italia a dire no alla guerra in Yemen sono pochi uomini, sempre gli stessi.

La vita di queste persone e di tanti bambini, a quanto pare, per noi occidentali non vale niente. Sono ritenuti sacrificabili perché per l’élite che non invoglia a protestare vuol dire sfruttare le loro risorse per vivere nel benessere. Dal 2010 il Regno Unito ha incassato 11 miliardi di sterline quasi 12 miliardi e 200 milioni di euro con la vendita di armi all’Arabia Saudita. L’importante è la crescita economica che nel 2018 ha registrato un deficit commerciale di 31 miliardi di euro. E le petromonarchie del Golfo Persico che sono il mercato a Sud più redditizio per le esportazioni inglesi. Tutto ciò al prezzo di bambini e popoli costretti a vivere in uno stato di emergenza permanente e di ogni tipo, bambini che crescono non conoscendo nient’altro che la guerra.

“L’esportazione di armi italiane cresce in maniera decisa: negli ultimi 5 anni 44 miliardi di euro di autorizzazioni, pari a quelle dei 15 anni precedenti” come da rapporto di Rete Italiana per il Disarmo che ha fornito oggi i dati durante la conferenza stampa per i 30 anni dalla legge sulla regolamentazione dell’export militare.

Non occuparsi di questi genocidi e continuare a vivere tranquilli significa aver annullato il proprio sguardo materno sul mondo e un giorno a quei popoli che oggi ci sembrano lontani, dovremmo darne conto.