Una recente sentenza della Corte di Appello di Palermo ha “ribaltato” la precedente decisione del Tribunale di Trapani che lo scorso anno ha assolto due migranti accusati nel 2018 di avere “dirottato” nel Canale di Sicilia un rimorchiatore battente bandiera italiana, il Vos Thalassa, al fine di evitare, dopo essere stati soccorsi in acque internazionali, di essere ricondotti in Libia.

La quarta sezione della Corte di Appello di Palermo ha così stabilito una condanna a 3 anni e 6 mesi per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e favoreggiamento dell’ immigrazione clandestina, a carico di due dei 67 migranti raccolti a bordo della Vos Thalassa, in realtà naufraghi, e non “clandestini”, come li definisce la sentenza, che erano stati soccorsi l’8 luglio 2018 in zona Sar libica da questo rimorchiatore, e poi trasbordati sulla nave Diciotti della Guardia costiera italiana, con la quale erano giunti a Trapani.

Dopo, il diktat dell’allora ministro dell’interno Salvini, che richiedeva espressamente prima il respingimento collettivo di tutti i naufraghi e poi l’arresto di coloro i quali, con la loro ribellione, si erano opposti alla prospettiva di essere riportati in Libia. Mentre la nave Diciotti della Guardia costiera italiana veniva bloccata all’ingresso del porto di Trapani, alcuni Ministri del governo da poco in carica avevano definito come “facinorosi” i naufraghi, arrivando a chiedere che fossero sbarcati “in manette” dalla nave militare italiana (Diciotti) sulla quale erano stati trasbordati. Lo sbarco in porto a Trapani avveniva soltanto dopo un intervento del Presidente della Repubblica.

La sentenza emessa dal Giudice delle indagini preliminari di Trapani il 23 maggio 2019, rilevava che «il potere della autorità libiche di impartire a quelle italiane direttive in vista del rimpatrio in Libia di migranti provenienti da tale Paese…deriva dall’accordo stipulato tra Italia e Libia nel 2017», che però, in assenza di una approvazione parlamentare ai sensi dell’art.80 della Costituzione, sarebbe «giuridicamente non vincolante e non avente natura legislativa». La decisione del giudice trapanese, che, sulla base dei rapporti delle Nazioni Unite, rileva l’esposizione ad abusi dei migranti internati nei centri di detenzione libici, equipara le eventuali riconsegne di migranti alla Guardia costiera libica ad un «respingimento collettivo», vietato dalle Convenzioni internazionali. E infatti si osserva come, «se si riflette un momento sul fatto che i67 migranti imbarcati dalla Vos Thalassa avevano subìto, prima della partenza dal territorio libico, le disumane condizioni rappresentate dalla Unhcr, appare evidente come il ritorno in quei territori costituisse per loro una lesione gravissima di tutte le prospettive dei fondamentali diritti dell’uomo. Emerge inconfutabilmente che tutti i soggetti imbarcati sulla Vos Thalassa (…) stavano vedendo violato il loro diritto ad essere condotti in un luogo sicuro (…).

La sentenza della Corte di Appello di Palermo “ribalta” questa impostazione, e dopo essere stata pubblicata con ampi stralci dal Corriere della sera, che all’epoca dei fatti aveva seguito con particolare attenzione la vicenda, dando anche spazio alle dichiarazioni dell’armatore della nave che escludeva qualsiasi “dirottamento“, è finita in mano alla propaganda sovranista. Che ha prontamente colto l’occasione per un’ulteriore difesa della linea di divieto di ingresso nelle acque territoriali italiane e di collaborazione con la sedicente guardia costiera “libica”, politica perseguita dall’ex ministro dell’interno Salvini, ma in realtà avviata già in precedenza da governi diversi, a partire dal 2007, per efffetto degli accordi stipulati nel tempo con le autorità di Tripoli.

Il 30 luglio 2018, ad esempio, un’altro rimorchiatore battente bandiera italiana,“in assistenza alla piattaforma di estrazione ‘Sabratah’ della Mellita Oli & Gas”, l’Asso 28, aveva riportato a Tripoli oltre cento naufraghi intercettati in acque internazionali. E ancora di recente, si sono confermati i finanziamenti alla sedicente Guardia costiera “libica”, ritenuta l’unica autorità competente ad operare in quella che si continua a definire come zona SAR (ricerca e salvataggio) “libica”. Anche se la Libia, in preda da anni alla guerra civile, non esiste più come stato con un governo che ne controlli l’intero territorio, e non dispone di un servizio SAR unico che, in conformità alle Convenzioni internazionali, garantisca la salvaguardia del diritto alla vita dei naufraghi.

Le autorità europee, come l’agenzia FRONTEX, e gli stati che hanno concluso con Tripoli accordi di collaborazione per contrastare “l’immigrazione clandestina”, come Malta e l‘Italia, continuano comunque a collaborare con la sedicente Guardia costiera libica e ne assistono i mezzi navali, per le operazioni di “law enforcement” (contrasto dell’immigrazione “clandestina”), nel caso dell’Italia con la missione NAURAS della Marina militare italiana presente a Tripoli.

Per un esame approfondito della sentenza si rinvia ad A-dif.org