Comunicato di Uiki. A seguire un articolo di Chiara Cruciati e l’appello a manifestare il 27 giugno.

La Turchia sta attaccando il Kurdistan, gli aerei da guerra turchi stanno bombardando il Kurdistan!

Nelle prime ore del 15 giugno, 60 aerei da guerra dello stato turco hanno bombardato 81 località, comprese zone abitate da civili, a Makhmour, Sinjar, Qandil, Zap e Xakurk. I media turchi, come sempre, hanno cercato di legittimare il bombardamento affermando che si trattava di un’operazione contro i “terroristi”.

Nel Kurdistan settentrionale lo stato turco ha utilizzato tutti i meccanismi statali per impedire al popolo curdo di partecipare alla politica democratica. Più di un centinaio di consigli municipali amministrati dai curdi si sono visti rimuovere i loro sindaci mentre molti membri eletti del parlamento, sindaci e amministratori locali sono stati arrestati. Tuttavia, questi attacchi non si limitano al Kurdistan settentrionale.

La Turchia sta intensificando la sua occupazione di terre siriane e irachene. Il silenzio di organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite, l’UE, l’Organizzazione per la cooperazione islamica, gli stati regionali e gli Stati Uniti e la Russia non fanno altro che incoraggiare lo stato turco. Lo stato turco vuole rendere permanente la sua occupazione del Rojava (Siria settentrionale) e del Kurdistan meridionale (Iraq settentrionale) proprio come ha fatto a Cipro nel 1974.

Lo stato turco sta estendendo la sua occupazione del Kurdistan sotto il governo dell’AKP-MHP. Sta attaccando le aree liberate del Rojava per impedire qualsiasi tipo di status per i curdi. Gli attacchi turchi contro i curdi nel nord di Aleppo, Afrin, Serekani e Gire Spi hanno colpito territori che i curdi hanno liberato da organizzazioni terroristiche come Al Qaeda, Al Nusra e ISIS. Nella lotta contro l’ISIS i curdi nel Rojava si trovavano in una coalizione non ufficiale con gli Stati Uniti e l’UE a est dell’Eufrate e con la Russia a ovest. Nonostante questa collaborazione, lo stato turco e gruppi simili all’ISIS hanno attaccato e occupato città su entrambi i lati del fiume.

Il bombardamento del 15 giugno faceva parte di un piano precedentemente elaborato. Il capo dell’Organizzazione di intelligence turca, Hakan Fidan, ha visitato segretamente l’Iraq l’11 giugno dove ha discusso dell’attacco sia con il governo federale sia con il governo regionale del Kurdistan. Entrambi i governi non si sono ancora pronunciati sull’attacco.

Riteniamo che la Coalizione internazionale contro l’ISIS e la Russia siano state entrambe informate prima dell’attacco. Il loro silenzio e il fatto che non si siano opposti all’uso dello spazio aereo iracheno significano che approvano l’attacco.

Uno dei luoghi bombardati è il campo profughi di Makhmour, che si trova a 60 chilometri da Erbil e ospita 15.000 civili. Le persone che vivono nel campo sono rifugiati che sono fuggiti dalla Turchia negli anni ’90 dopo che i loro villaggi sono stati bruciati dallo stato turco. Il campo è stato istituito dalle Nazioni Unite nel 1998. Lo stato turco ha bombardato questo campo nonostante fosse sotto la protezione delle Nazioni Unite. Le Nazioni Unite devono adempiere alle loro responsabilità nei confronti del campo e prevenire i bombardamenti turchi.

Un’altra città che è stata bombardata è Sinjar, la casa degli yazidi che è stata attaccata dall’ISIS nel 2014; migliaia di persone allora sono state uccise, cinquemila donne yazidi sono state rapite e vendute come schiave del sesso e migliaia di donne e bambini risultano ancora scomparsi a causa di questo attacco. Gli yazidi di Sinjar, che si stanno ancora riprendendo dall’attacco dell’ISIS, sono ora oggetto di bombardamenti da parte dello stato turco.

Le Nazioni Unite, gli Stati Uniti, il governo iracheno, il governo regionale del Kurdistan e l’UE sono tutti parzialmente responsabili di questi attacchi in Siria e Iraq.

Lo stato turco ha occupato terre siriane e irachene e sta anche usando i suoi spazi aerei come desidera. Questa è una chiara violazione dei principi delle Nazioni Unite sull’autodeterminazione e la sovranità degli Stati.

Il diritto internazionale impedisce agli stati di interferire negli affari interni reciproci e di usare la forza. Con ciò, afferma che le minacce alla pace e alla sicurezza globali dovrebbero essere soggette prima a sanzioni economiche e diplomatiche e, successivamente, a sanzioni militari se necessario. Lo stato turco continua a violare tutti questi principi.

Tutti gli stati che mantengono relazioni bilaterali con la Turchia e rimangono in silenzio sono parzialmente responsabili di questi attacchi e dei danni causati. Pertanto, sono questi stati che devono prendere una posizione.

La Turchia sta commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Questi crimini non dovrebbero più essere tollerati dalla comunità internazionale; occorre prendere una posizione contro i crimini dello stato turco in Siria, Iraq e Libia.

La Turchia prende di mira i curdi, tutti i popoli che vivono in Kurdistan e la sua geografia. I curdi, gli assiro-caldei, i cristiani, gli yazidi, i musulmani e tutte le minoranze etniche e religiose in Kurdistan sono sotto la minaccia del genocidio. Chiediamo a tutti di stare con il popolo del Kurdistan e contro questi attacchi.

UIKI Onlus
Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

[15 giugno 2020]

Arresti e proiettili sull’Hdp in marcia per un’altra Turchia

di Chiara Cruciati (*)

Dal nord e dal sud della Turchia verso la capitale, Ankara: è il percorso della Marcia per la democrazia iniziata ieri, organizzata dal Partito democratico dei Popoli (Hdp), la fazione di sinistra pro-curda che subisce più di ogni altra la repressione politica interna.

CINQUE GIORNI di marcia in due tronconi, uno che ha preso le mosse da Edirne, sede della prigione di massima sicurezza dove dal 4 novembre 2016 è detenuto l’ex co-presidente dell’Hdp Selahattin Demirtas, e uno da Hakkari, nel sud est a maggioranza curda. Tutti verso Ankara, la capitale amministrativa simbolo del sistema di potere dell’Akp di Erdogan (seppure il comune sia stato perso, a favore dell’opposizione repubblicana del Chp lo scorso anno).

I motivi per marciare sono innumerevoli, a partire da quello che l’Hdp definisce un golpe, o meglio tanti piccoli golpe, contro le amministrazioni locali: 23 sindaci e sindache Hdp agli arresti con l’accusa di appartenenza a gruppo terrorista (il Pkk) o propaganda terroristica, 45 comuni su 65 vinti nel marzo 2019 e 95 su 102 vinti alle elezioni del 2014 commissariati dal ministero degli Interni.

Senza contare la decina di parlamentari – tra cui Demirtas e l’allora collega co-presidente Figen Yüksekdag, su cui pesano decine di processi e centinaia di anni di carcere – arrestati dopo la legge con cui il presidente Erdogan ha potuto cancellare l’immunità parlamentare. È ancora ampiamente usata: il 4 giugno scorso sono stati arrestati il deputato Chp Enis Berberoglu e a quelli Hdp, Musa Farisogulları e Leyla Güven, protagonista tra il 2018 e il 2019 di 80 giorni di sciopero della fame contro l’isolamento del leader del Pkk, Abdullah Ocalan. Dopo il rilascio di Güven e Berberoglu su cauzione, incarcere resta Farisogullari.

IL GOVERNO CENTRALE, formato dalla coalizione Akp e Mhp (partito nazionalista), non l’ha certo presa bene. Prima ha vietato assembramenti citando l’epidemia di Covid-19 e il pericolo per l’ordine pubblico (a Istanbul manifestazioni vietate per due settimane); poi, attraverso i governatori delle otto province attraversate dalla marcia (Edirne, Tekirdag, Kocaeli, Van, Kırklareli, Hakkari, Bitlis e Sırnak), ha chiuso i confini amministrativi vietando il transito.

INFINE, HA INVIATO la polizia. Già da domenica è aumentata la presenza di agenti anti-sommossa, cellulari e cannoni ad acqua nei pressi degli uffici locali del partito. Ieri la repressione. I primi dieci arresti di manifestanti (tra cui dei parlamentari) si sono registrati a Silivri, Istanbul, dove si trova uno dei carceri più famosi dell’intero paese. La polizia ha lanciato gas lacrimogeni e proiettili di gomma e affrontato la marcia con i blindati. Altri nove gli arresti a Edirne, di cui tre rilasciati.

Su Twitter i manifestanti hanno pubblicato le foto e i video delle violenze della polizia, mentre la co-leader Hdp, Pervin Buldan, in una nota ha comunicato l’intenzione di proseguire: «Vietando ingressi e uscite da decine di città, avete adottato misure anti-democratiche e anti-costituzionali, ma non impedirete all’Hdp di incontrare il suo popolo. Questa marcia continuerà fin quando questo paese non avrà pace, libertà e democrazia». Ai migliaia di partecipanti nelle varie città i membri dell’Hdp hanno parlato dei giornalisti imprigionati, delle minoranze vessate, della magistratura usata come strumento politico.

INTANTO LA POLIZIA innalzava barricate, circondava i tronconi della marcia e posizionava cecchini sui tetti. Provocando la critica del Chp, protagonista di un’altra marcia nel luglio 2017: il deputato Ozgur Ozel ha accusato il governo di aver creato uno stato di polizia.

(*) ripreso dal quotidiano “il manifesto”

LA “BOTTEGA RICORDA l’appello di Uiki e Rete Kurdistan: 27 giugno in piazza contro il fascismo di Erdogan

L’articolo originale può essere letto qui