Una nuova legge per la transizione di Genere? Lo abbiamo chiesto alla Dott.ssa Porpora Marcasciano, Presidente del MIT e attivista per i diritti delle persone Trans


Buongiorno Dott.ssa Marcasciano, il MIT (Movimento Identità Trans) ha proposto un progetto di legge per il superamento della legge 164/82, che regola la transizione per la riassegnazione di genere. Perché avete messo in campo questo progetto?

Io farei alcune premesse importanti: la prima è sicuramente che il MIT fu l’artefice di quella Legge (164/82, n.d.r.) datata 14 aprile 1982, l’associazione nacque proprio sull’onda della determinazione che mettemmo in campo per l’ottenimento di quella legge, delle lotte che facemmo affinché venisse approvata.

All’epoca era Movimento Italiano Transessuali, oggi è Movimento Identità Trans.

Ci sentiamo quindi un po’ i depositari della Legge 164/82 e oggi, quasi 40 anni dopo, abbiamo pensato di poter dare ancora un importante contributo alla stesura di una nuova normativa, abbiamo quindi anticipato una proposta di piattaforma prima che, senza consultare il mondo Trans, potesse essere messa in campo “dall’alto” qualche altra proposta, escludendo dal dibattito le persone Trans, che invece sono le attrici principali del nostro progetto.

Anche perché noi pensiamo che tutti i Soggetti (Associazioni per i diritti delle persone Trans, n.d.r.) coinvolti dalla Legge in vigore, e da quella futura che vorremmo venisse alla luce, siano e debbano essere gli attori protagonisti della discussione, vorrei sottolineare che la piattaforma che il MIT ha lanciato è una proposta assolutamente aperta a correzioni, interventi, riflessioni.

Abbiamo quindi voluto aprire un laboratorio di confronto, di scambio, per costruire un percorso comune e condiviso, un percorso che possa portare a una legge che speriamo sia quanto più possibile soddisfacente per tutte le persone che vogliano intraprendere una transizione di genere.

Dopo 40 anni sono cambiate molte cose, il mondo, la vita, è cambiata anche l’esperienza Trans, quindi una nuova legge deve sicuramente essere adattata a questi tempi e ai bisogni, cambiati, appunto, col cambiare dei tempi.

Mi permetto di aggiungere che quella legge dell’82 riguardava circa 2000 persone in Italia, persone con vite davvero molto difficili, vittime di vessazioni, quindi quella legge ha anche rappresentato un’ancora di salvezza per la vita di persone che non erano riconosciute nella propria identità.

Quando quella Legge fu approvata, fu salutata come una grossa vittoria, perché riconosceva l’esperienza Trans.

Era chiaramente un primo passo, ne devono certamente essere fatti altri, sono passati 40 anni di vuoto politico, purtroppo nessuno se ne è mai occupato, la politica tace, come fa su tutti gli argomenti che possono essere scivolosi, che non producono voti, che non soddisfino a determinati interessi.

Abbiamo lanciato la pietra nello stagno, ora quello che auspichiamo è che nasca un dibattito quantomeno all’interno del mondo trans, perché: “se non lo facciamo noi – questa è una frase che ripeto spesso – non lo farà nessun altro”.

E se non lo diciamo noi, altri lo diranno con altre parole.

Lei ha parlato di mondo Trans, questa legge dev’essere quindi discussa esclusivamente all’interno del mondo trans?

Uso il termine Trans perché è il termine più inclusivo: non utilizzo la parola transessuale, transgender, gender variant e tutte le declinazioni che oggi vengono individuate, utilizzo la parola Trans come termine “cappello”, “ombrello”, come termine, aperto, inclusivo.

E’ chiaro che noi facciamo parte della comunità LGBTQIA+, però in questo caso le persone protagoniste, che sono chiamate a riflettere ed esprimersi in questo progetto, devono essere le persone che vivono l’esperienza Trans nelle molteplici forme che arricchiscono la nostra comunità.

È chiaro che le comunità lesbica e gay non sono escluse da questo confronto, ma sicuramente la parola principale spetta alle persone trans, anche perché la parola ci è stata storicamente tolta, molto spesso, anche all’interno della comunità LGBT.

Occorre quindi chiarirsi, esprimersi, confrontarsi, per produrre qualcosa di positivo ed efficace, ben vengano quindi contributi, altri suggerimenti.

Sottolineo tuttavia che il soggetto chiamato in causa sia il soggetto Trans.

Vorrei poi aggiungere, per correttezza, una riflessione sul mondo intersessuale – molto spesso chiamato in causa – nei confronti del quale personalmente non mi esprimo, o mi esprimo poco, semplicemente per una questione di rispetto.

Penso che debbano essere le persone Intersex a esprimersi su di sé, con tutto il nostro sostegno.

L’esperienza Intersex è diversa da quella Trans, per tutta la serie di caratteristiche, molto spesso fisiche prima ancora che psicologiche e culturali, personalmente individuo molti aspetti di complessità, molto spesso questa complessità noi la “frantumiamo” con “facili” considerazioni, “facili” parole, questo avviene anche sui vari Social.

Mi riferisco a una comunicazione che, anche se comune e diffusa, non rende giustizia: le questioni sono molto profonde e molto complesse, vanno affrontane nella giusta prospettiva, diversamente è meglio non parlarne.

Per quanto riguarda la questione intersessuale credo sia molto importante il dibattito, perché è molto importante che se ne parli, ma occorre riflettere bene, parlarne con cognizione di causa, ecco perché, ripeto: l’ultima parola spetta alle persone intersex.

Quali sono, a Suo parere, i principali punti che dovranno essere introdotti nella nuova legge?

I punti sono diversi, gli aspetti tecnico-legislativi li lascerei agli esperti: avvocati, legislatori, i quali possono redigere con competenza professionale i contenuti.

Credo comunque che debba essere una legge scevra da tutta una serie di obblighi, regole, cavilli, che complicano la vita alle persone che decidono di intraprendere la transizione di genere.

Occorre semplificare il percorso, la semplificazione dev’essere la base, la sostanza di tutto l’impianto, detto questo potrei declinare meglio le questioni che sono sicuramente quelle che riguardano i contesti della vita reale.

Andrebbero semplificate: la normativa del cambio del nome, la normativa che regola la medicalizzazione, l’accesso alle cure ormonali, perché non sempre – e mi riferisco anche all’attuale normativa – gli obiettivi di una legge corrispondono poi, nella pratica, a una corretta applicazione.

Ad esempio: in Italia – restiamo all’Italia – la sanità è delegata alle regioni e ogni Regione agisce in campo sanitario in base all’ideologia che sottende alla politica di coloro che le governano.

Ogni regione ha una propria legislazione, nonostante la Legge attuale, la 164/82, preveda un’applicazione su scala nazionale, in alcune regioni è disattesa.

La Legge si basa sul riconoscimento dell’esperienza Trans, che purtroppo non è riconosciuta da tutti, ci sono, all’interno delle varie strutture sanitarie, molti casi di obiezione di coscienza – come ad esempio per l’aborto – occorrono garanzie di applicabilità, in modo uniforme, coerente, su tutto il territorio nazionale.

Non è possibile che una persona trans di una determinata regione si debba spostare per essere seguita, sostenuta, e accompagnata, nel suo percorso.

Questo deve riguardare assolutamente anche i medici di base, che sono i primi, o dovrebbero essere i primi, ai quali una persona dovrebbe rivolgersi, ad esempio per avere le cure ormonali, per chiedere delle visite specialistiche, degli interventi.

Molto spesso, anzi nella stragrande maggioranza dei casi, i medici di base non sono assolutamente informati.

Con l’Istituto Superiore di Sanità abbiamo fatto un ottimo lavoro, doveva essere presentato il 5 marzo, cosa che non abbiamo potuto realizzare per via dell’emergenza, che ha reso impossibile la realizzazione dell’evento.

Si tratta della presentazione di un manuale rivolto ai medici di base – a tutti i medici di base – per spiegare gli aspetti della transizione, come la devono affrontare, quali siano i riferimenti, è un manuale a cui tengo particolarmente e di cui ho scritto la prefazione.

Aggiungo anche che il MIT è stato il primo soggetto a curare un programma di formazione ai medici di base di Bologna, formazione annoverata tra quelle obbligatorie, la realizzammo nel 2015 in collaborazione con l’ASL competente per nostro consultorio.

A detta degli organizzatori, i dirigenti ASL, ebbe un risultato eccezionale, perché la partecipazione e l’attenzione furono altissime e i punteggi di valutazione anch’essi molto alti, a dimostrazione del fatto che, da una parte c’è interesse, ma dall’altra c’è scarsa conoscenza.

C’è bisogno e voglia di sapere, l’impianto della legge dovrebbe prevedere anche questi aspetti assolutamente basilari.

Occorre una riflessione più profonda rispetto al tema della medicalizzazione, della patologizzazione, che sono due argomenti molto sentiti e sui quali è in corso un confronto, a tratti aspro, all’interno del mondo trans, dove personalmente ritengo manchi la chiarezza necessaria proprio sui termini, su cosa s’intenda e a cosa ci si riferisca.

Una persona trans che, per essere finalmente sé stessa, per realizzare un sogno, un obiettivo, decida di passare attraverso cure ormonali o interventi di chirurgia, intraprende un percorso di medicalizzazione, di fatto non saprei come chiamarlo diversamente, tuttavia su questo noto una certa confusione.

Una legge che sia al passo coi tempi deve assolutamente prendere in considerazione anche le cosiddette varianze di genere, l’esperienza trans non è uniforme, non corre su binari standard e la scienza lo conferma, stiamo parlando, in generale, di un percorso che inizia dalla presa di coscienza e via via può arrivare all’intervento chirurgico per cambio di sesso, effettuato il quale la persona smette di essere trans, possiamo dire che diventi a tutti gli effetti appartenente al sesso relativo alla propria identità di genere.

Tuttavia il percorso di transizione, per mille motivi, non è sempre e comunque lineare, univoco, per numerose ragioni personali che vanno comprese e rispettate.

Quindi una legge, per essere al passo coi tempi, deve assolutamente comprendere tutte queste sfumature.

Quindi se ho capito bene Lei afferma che, indipendentemente da alcuni interventi chirurgici che possono essere fatti o meno, ciò che conta è l’identità di genere, indipendentemente da dove termini il percorso di una persona, quindi questa persona deve poter ottenere una riassegnazione di genere in funzione dell’identità che sente di avere.

Sì, direi di sì.

Attualmente per iniziare una transizione occorre una diagnosi di disforia, quindi occorre un medico, uno psicologo, che dia un parere attestante che questa persona sia disforica, termine forse un po’ “antico”: disforia rimanda un po’ ad una sindrome, personalmente preferisco utilizzare il termine “non corrispondenza” tra identità di genere e sesso biologico di nascita. Lei ritiene che questo punto possa essere superato?

Penso che possa essere modificato, mi pare che il dibattito all’interno del mondo Trans sia molto aperto, io credo che tutti i “controlli” ai quali, con l’attuale normativa, è sottoposta una persona trans possano essere modificati, snelliti, in parte azzerati.

Penso tuttavia, non volendo comunque apparire rigida, che qualcosa, non che certifichi, ma che “rilevi” il proprio percorso ci debba essere: altrimenti parliamo di tutto e non parliamo di nulla.

La domanda che mi pongo e che pongo è la seguente: se una persona vuole intraprendere un percorso che comprenda un intervento di cambio di sesso, oppure vuole fare un cambio anagrafico di identità di genere, sicuramente il Tribunale, i medici che prendono in carica la persona, i chirurghi, richiederanno documenti comprovanti.

Ciò avviene, ad esempio, per qualsiasi altro intervento, mi chiedo tuttavia se queste certificazioni non debbano essere semplificate, sveltite, anzi auspico che lo diventino.

Su questi temi è attualmente concentrata l’attenzione del mondo Trans: l’attestazione viene vissuta come una sorta di capestro, qualcosa di coercitivo, viene vissuta come al di là della volontà della persona e della propria identità, proprio per questo è necessario che una nuova normativa non alimenti questi aspetti di disagio.

Rispetto all’esperienza Trans ci possono essere pregiudizi diversi, di varia natura, non dico nulla di nuovo, è una questione particolare, eticamente sensibile.

Ciò può presupporre che coloro che, cosiddetti luminari, esperti, chiamiamoli come vogliamo, siano chiamati a decidere, in pratica a “condizionare”, la vita delle persone trans, possano avere pregiudizi, in questo caso la volontà e il percorso di transizione di genere di una persona viene ostacolato, frenato.

In sintesi penso che il problema in sé non riguardi tanto “un’attestazione”, ma le persone che possano ostacolare, per motivi personali, il desidero di transizione.

Il MIT si occupa dell’accoglienza delle persone Trans che provengono da paesi extraeuropei?

Assolutamente si, è ancora oggi è una delle attività che abbiamo maggiormente a cuore.

Il MIT da quando si è costituito come struttura che eroga servizi, si è sempre occupato di accoglienza in senso ampio: di persone fragili, socialmente deboli.

L’accoglienza è sempre stata un elemento presente del nostro percorso, oggi – anzi da un po’ di anni a questa parte – la richiesta, mi riferisco alle persone Trans migranti, è diventata più elevata e pressante, di conseguenza ci siamo proprio strutturati per far fonte a questa situazione.

Abbiamo attivato uno sportello Trans d’informazione, di accoglienza, nel quale sono presenti sia un operatore “pari” che un avvocato, due figure fondamentali.
Il MIT, ha realizzato, prima struttura in Italia e seconda in Europa, una casa d’accoglienza nella quale vengono accolte 4 persone trans migranti.

Attualmente, per indisponibilità economiche, non siamo più l’Ente gestore della casa d’accoglienza, la sta gestendo una cooperativa, tuttavia noi continuiamo a fornire la consulenza e l’assistenza necessaria alla gestione del progetto.

Considero questo progetto uno dei nostri “gioielli”, che riteniamo di aver creato, sviluppato, strutturato, e che portiamo avanti.

Dedichiamo quindi la massima attenzione alla questione delle persone migranti, inoltre ci tengo a dire che abbiamo un rapporto molto molto stretto, importante, con la comunità delle Trans di origine peruviana che vivono a Bologna, abbiamo messo loro a disposizione la nostra sede, nella quale s’incontrano periodicamente.

In questo momento di isolamento in cui tutto è entrato in crisi, mi riferisco in particolare a tutta la parte del sex working*, che sta economicamente risentendo di questo blocco, abbiamo cominciato la distribuzione dei pacchi spesa ad almeno 50 persone, eravamo a conoscenza di 20-25 persone appartenenti alla comunità peruviana, invece è emerso che sono il doppio, ci siamo quindi fatti carico del loro sostegno, attivandoci per la distribuzione dei beni essenziali.

Tra i vari servizi che il MIT offre c’è quello del consultorio ASL, composto da endocrinologi, psicologi e un’operatrice pari.

Al momento le persone prese in carico sono circa 1200, tutte le persone in accoglienza, migranti o non migranti, sono supportate dalle nostre psicologhe e dagli endocrinologi, a titolo completamente gratuito.

Ci sono altri progetti che, a Suo parere, sono importanti, che il MIT sta realizzando?

C’è il progetto di riduzione del danno: una strategia d’intervento, che il MIT, insieme al Comitato dei Diritti Civili delle Prostitute, ha messo a punto nel lontano 1994.

Ci tengo a ribadirlo, perché oggi questo tipo di intervento, cosiddetto di riduzione del danno, è applicato da quasi tutti i progetti di Unità di Strada che operano sul territorio italiano.

Questo progetto è attivo dal 1997, è realizzato in collaborazione con il Comune di Bologna e con la regione Emilia Romagna: seguiamo tutte le persone che si prostituiscono sia in strada che in casa, seguiamo sia le donne che gli uomini e svolgiamo un’attività di prevenzione, di informazione e di tutela della salute.

Un altro dei nostri servizi importanti ed essenziali è lo sportello legale, che assiste sia le persone migranti, che, più in generale, le persone Trans, abbiamo inoltre uno sportello in collaborazione con la CGIL, che si occupa delle problematiche relative al lavoro e alle pratiche pensionistiche.

Ci tengo anche a citare il Festival del Cinema Trans, che ritengo un fiore all’occhiello della nostra Associazione, progetto che ha visto una battuta d’arresto, durata due anni, per problemi organizzativi, ma che quest’anno ha rivisto la luce in maniera egregia.

Si sarebbe dovuto tenere l’ultima settimana di maggio, purtroppo è slittato, a causa della pandemia, a data da destinarsi, è stata purtroppo un po’ una delusione perché ci tenevamo molto, avevamo realizzato un bel programma, un bel festival, rinato dopo due anni.

Svolgiamo anche attività di supporto alle persone Trans detenute in carcere, attività che abbiamo svolto e svolgiamo da molti anni, lo abbiamo fatto anche fatto a livello Nazionale, intervenendo in tutti gli istituti di detenzione dove sono previste sezioni per persone Trans.

Attualmente abbiamo una convenzione con il carcere di Reggio Emilia, all’interno del quale c’è una sezione per persone Trans.

Lei è da tempo un’attivista per i diritti delle persone Trans, cosa si sente di dire alle giovani generazioni Trans?

Di essere un po’ più attente e sensibili, “conoscenti” (consapevoli della storia Trans italiana, n.d.r.) e riconoscenti.

E’ importante che conoscano la nostra storia, perché i diritti non sono scontati, vanno difesi, ciò che abbiamo conquistato non ce l’ha regalato nessuno, lo abbiamo conquistato noi, ma questi diritti, come li abbiamo conquistati, li possiamo perdere.

Invito quindi specialmente le giovani generazioni ad essere molto più attente ai passaggi della nostra storia, perché se non la si conosce, e non è retorica, si è destinati a ripetere gli errori del passato e gli orrori del passato, questa è la raccomandazione che mi sento di fare.

Detto questo, le nuove generazioni, i giovani, hanno giustamente la loro euforia, il loro splendore di vita, quindi è giusto che facciano e si sbizzarriscono, ripeto però, con un’attenzione particolare alla propria, nostra, storia.

Cosa ci può dire d’altro?

In questo momento sono molto perplessa: alterno momenti di ottimismo a momenti, più che di pessimismo, di sconforto: ho la sensazione di essere sganciata dal mondo.

Noi vivevamo, abbiamo vissuto, viviamo tutt’ora, in un mondo globalizzato, siamo connessi 24 ore su 24 con tutti e con tutto, questa battuta d’arresto (causata dalla pandemia, n.d.r.), che è mondiale, a mio parere ci spiazza.

E’ una situazione che non conosciamo, semplicemente perché non l’abbiamo mai vissuta in precedenza.

Quale potrà essere il riflesso di questa battuta d’arresto, di questa pausa, sul nostro futuro?

Rispetto a una visione ecologica, ai problemi legati all’inquinamento, allo stress, alla velocità tipica del nostro tempo, ai ritmi serrati imposti dai criteri di produttività, sicuramente questa situazione ci fa bene, ci serviva, perché eravamo immersi in qualcosa che definirei distruttivo.

M’impensierisce però questo distacco comunicativo, che potrebbe influire sull’attenzione riguardo a situazioni che non sono ancora del tutto comprese e accettate.

La differenza riguardo a queste questioni viene determinata dall’attenzione dei Movimenti, Enti, Associazioni che se ne occupano: il venir meno dell’attenzione può creare dei vuoti pericolosi.

Mi preoccupa anche che la crisi economica prevista releghi in secondo ordine tutta una serie di temi, tra cui quello dei diritti civili.

Al primo posto, molto retoricamente, vengono messi i bisogni delle persone: il cibo, il lavoro, la sussistenza, mi riferisco ad esempio a ciò che vediamo succedere in Ungheria, dove il dittatore, non lo chiamo neanche Presidente, ha accentrato su di sé tutti i poteri al fine di gestire la crisi, in nome della quale ha stralciato tutti i principi etici dei diritti umani e del rispetto per ogni persona.

Questo è un segnale molto grave, è un risultato dell’ideologia sovranista, cavalcata in Italia dalla Lega, e più in generale dal neo-fascismo.

*Lavoro sessuale

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Porpora Marcasciano

Presidente del MIT (Movimento Identità Trans) di cui è stata fondatrice e attivista fin dagli anni Settanta. Nel 1983 si laurea in Sociologia all’Universita La Sapienza di Roma con una laurea in Storia Moderna. Ha realizzato e coordinato diverse ricerche (sociologiche, antropologiche, storiche) sul tema del transessualismo e identità di genere producendo pubblicazioni e saggistica.

Ricopre la carica di vice presidente dell’ONIG (Osservatorio Nazionale Identità di Genere) ed è responsabile  del Consultorio ASL/MIT che è tra i principali centri specialistici italiani.  Ha ideato e messo a punto la strategia di Riduzione del danno mirata al mondo della prostituzione per questo coordina il progetto specifico del Comune di Bologna e Regione Emilia Romagna dal 1997. Consulente e supervisor sulle questioni trans per diversi progetti italiani, svolgendo anche attività di formazione.

Come esperta tiene lezioni specifiche sul tema per diversi istituti universitari. Dal 2008 dirige Divergenti Festival Internazionale del Cinema Trans una tra le principali rassegne di cinema specialistico in Europa. Si occupa della raccolta di fonti orali e documentazione per la ricostruzione di una storia trans. In qualità di esperta partecipa a convegni e seminari in Italia e all’estero.

Ha pubblicato Tra le rose e le viole, la storia e le storie di travestiti e transessuali, Manifestolibri (2002); Favolose Narranti, storie di transessuali, Manifestolibri (2008); Elementi di Critica Trans, Manifestolibri (2010);  Antologaia, vivere sognando e non sognare di vivere, i miei anni settanta, Alegre (2016); L’aurora delle trans cattive storie sguardi e vissuti della mia generazione transgender, Ed. Alegre. (2018). Ha partecipato inoltre a una nutrita serie di pubblicazioni collettanee sul tema identità di genere. Nel 2015 mette in scena lo spettacolo Il sogno e l’utopia, tratto dal libro Antologaia.  Numerosi video documentari riprendono suoi interventi e interviste