Così in un breve comunicato stampa si è espresso oggi il Sindacato dei Militari. Nel comunicato del Sindacato dei Militari si legge anche: No a nuove morti bianche.

“Abbiamo appreso con preoccupazione la notizia sulla possibilità di utilizzare il vaccino contro il Covid-19 “”già a settembre per vaccinare personale sanitario e Forze dell’ordine in modalità di uso compassionevole””.

Dagli atti delle numerose Commissioni parlamentari di inchiesta sull’uranio impoverito che hanno rivolto la loro attenzione anche sulla questione della somministrazione dei vaccini ai militari è emerso, nei molti casi esaminati, che il mancato rispetto dei protocolli vaccinali sia stata la possibile causa, o concausa, dello sviluppo di patologie gravemente invalidanti o addirittura mortali.

In chiunque abbia potuto leggere i copiosi resoconti delle Commissioni di inchiesta potrebbe sorgere il dubbio che, dietro alle resistenze e all’ostruzionismo opposti dai vertici militari alle pressanti richieste dei Commissari di conoscere gli atti attestanti la regolarità delle procedure seguite per la somministrazione di vaccini ai militari oggetto dell’indagine parlamentare, si sia potuta celare una attività di sperimentazione.

Quando si affrontano argomenti seri come la salute non possiamo riporre la nostra incondizionata fiducia e quella dei nostri iscritti nelle azioni dei vertici militari. Per questa ragione impediremo a chiunque di fare “sperimentazioni compassionevoli” sul personale delle Forze dell’Ordine e sui militari affinché non ci siano mai più casi di morti bianche tra i servitori dello Stato.”

 

Il comunicato del Sindacato dei Militari è arrivato in risposta all’annucio del 13 di Aprile di Piero Di Lorenzo, amministratore delegato dell’azienda farmaceutica Advent-Irbm con sede a Pomezia che insieme con lo Jenner Institute della Oxford University sta procedendo allo sviluppo del primo vaccino sperimentale anti Covid-19  in Italia.

Di Lorenzo per conto della Advent-Irbm aveva dichiarato: “Inizieranno a fine aprile in Inghilterra i test accelerati sull’uomo del vaccino messo a punto dall’azienda Advent-Irbm. – aggiungendo – “Si è deciso di passare direttamente alla fase di sperimentazione clinica sull’uomo, in Inghilterra – ha spiegato Di Lorenzo all’Ansa – ritenendo, da parte della Irbm sufficientemente testata la non tossicità e l’efficacia del vaccino sulla base dei risultati di laboratorio, che sono stati particolarmente efficaci”.  (La Advant Irbm* con sede a Pomezia lavora in collaborazione con il britannico “Jenner Institute” della Oxford University).

“Si prevede,  – aveva poi continuato – di “rendere utilizzabile il vaccino già a settembre per vaccinare personale sanitario e Forze dell’ordine in modalità di uso compassionevole”

Immediata la replica contenuta nel comunicato del Sindacato dei Militari riportata sopra.

I dubbi e la preoccupazione espressa dal Sindacato dei Miltari, alla notizia della possibilità di utilizzare il vaccino contro il Covid-19 sulle forze dell’ordine e sul personale sanitario militare, nascono da precedenti studi che si sono poi tradotti nei lavori all’interno di una commissione parlamentare d’inchiesta, la quale nel febbraio 2018 aveva emesso la sua relazione finale.

I lavori della commissione parlamentare avevano evidenziato importanti correlazioni fra le numerose morti dei militari nelle varie missioni in Bosnia, in Kosovo e in Iraq e la pratica della massiccia somministrazione ravvicinata di vaccini operata sui soldati.

Si tratta di vari studi condotti anche dalla Difesa stessa a seguito di numerosi casi di morti e malattie degenerative fra i soldati italiani in missione all’estero.
Tali morti e malattie inizialmente erano state collegate all’esposizione dei militari al’uranio impoverito usato nei bombardamenti dagli alleati della NATO.  Emerse  invece in seguito, dopo una serie di studi successivi a cui seguirono i lavori di ben due commissioni parlamentari d’inchiesta, alcune marcate evidenze di possibili correlazioni dirette fra l’uso intensivo delle vaccinazioni praticato sui militari, e le migliaia di casi di linfoma e e neoplasie (oltre 3500 in 20 anni quelle stimate fra i militari italiani in missione).

Nel luglio 2017 venne presentato un autorevole ed ampio studio condotto su un migliaio di soldati volontari che fece ulteriore chiarezza sulle cause di un fenomeno che ha colpito migliaia di soldati italiani negli ultimi vent’anni.
Nei primi anni 2000 infatti, fra i militari italiani che avevano prestato servizio nelle missioni balcaniche in Bosnia e nel Kosovo, si era verificato un improvviso aumento di casi di linfoma Hodgkin, tale da far prevedere un collegamento tra l’insorgere della malattia e l’attività prestata nei teatri di guerra.

Il primo sospettato della causa di queste migliaia di casi di linfoma fu l’uranio impoverito, e proprio da questo sospetto era partito un primo studio che successivamente fu presentato nei lavori di una prima commissione parlamentare per individuare le motivazioni di queste morti.
I primi lavori della commissione parlamentare terminarono nel 2004 senza accertare un nesso diretto ed incontrovertibile tra l’esposizione potenziale all’uranio impoverito e l’insorgenza dei linfomi.  Al termine dei lavori fu richiesta invece un’ulteriore fase di studio e approfondimento che monitorasse l’evoluzione dei casi di linfoma che erano in netta crescita anche fra i militari di ritorno da successive missioni.
Nacque così su indicazione diretta della Difesa, il progetto SIGNUM, acronimo che sta per: Studio di Impatto Genotossico Nelle Unità Militari, e che coinvolse volontariamente 982 militari impiegati in Iraq nella missione “Antica Babilonia” dove le forze statunitensi avevano fatto largo uso di munizionamento contenente uranio impoverito.
Lo studio raccolse dettagliate informazioni sulla possibile esposizione dei militari; oggetto principale dell’indagine sempre l’uranio impoverito, ma in quello studio per ampliare lo spettro di verifica, nelle analisi dei militari fu posta attenzione anche alla presenza di possibili altri metalli pesanti mediante l’esame di campioni biologici prelevati da urine, sangue e capelli.

All’interno dello studio SIGNUM i test sui soldati furono effettuati prima e dopo la missione, per un lungo periodo che durò quasi otto anni.
Scopo principale di questa sorveglianza clinica ed epidemiologica protratta nel tempo fu accertare l’insorgenza di fenomeni a lungo termine.
Lo studio prese inoltre in considerazione anche altri fattori potenziali di rischio quali le condizioni ambientali e climatiche presenti nelle basi italiane di “White Horse” e “Camp Mittica”, gli stili di vita, la dieta, il fumo ed altre condizioni tendenzialmente pericolose, inclusa, per la prima volta, la somministrazione dei vaccini.
Il rapporto finale del progetto, redatto dal Comitato Scientifico costituito da 14 esperti di fama provenienti dagli staff medici delle Università di Pisa, Genova e Roma, giunse già nel 2010 a conclusioni sorprendenti.
Nei soldati monitorati la quantità di uranio impoverito presente nel sangue e nelle urine non risultava aumentata al termine della missione, bensì era diminuita.
Risultarono invece aumentati i livelli di altri metalli pesanti, cadmio e nichel, alluminio e mercurio notoriamente cancerogeni e causa di linfomi e leucemie. Sempre a causa della forte presenza di questi metalli nel sangue, lo studio evidenziò un danno dovuto da fenomeni ossidativi sul DNA in specie a carico dei linfociti, ovvero le cellule principali del nostro sistema immunitario. Ciò venne evidenziato in particolare nei soggetti che svolgevano intensa attività all’esterno e che erano gli stessi militari che avevano subito 5 o più vaccinazioni contemporaneamente.
I monitoraggi ambientali esclusero contaminazioni significative dovute ad uranio e l’esposizione ad altri specifici inquinanti genotossici.

 

Fu alla luce di queste evidenze di questo studio accurato che l’attenzione dei successivi studi si spostò principalmente sui vaccini.
E fu la Difesa stessa e il Comitato Scientifico di Signum a concentrarsi in seguito sui vaccini, osservando una evidente correlazione tra le alterazioni ossidative del DNA ed il numero di vaccinazioni effettuate a partire dal 2003.

La differenza più eclatante si registrava infatti tra i 742 soggetti che avevano ricevuto un massimo di quattro vaccinazioni e quanti invece, i restanti 140 militari sottoposti ad analisi, a cui avevano praticato durante la missione un numero di vaccinazioni ben superiore, fino ad otto vaccini somministrati spesso in rapida successione. Per questi ultimi il differenziale di alterazioni ossidative risultò significativamente più elevato.

In particolare risultò come principale fattore scatenante di questi fenomeni di forte ossidazione nel sangue, (anticamera dei successivi linfomi e neoplasie), il vaccino trivalente vivo attenuato Mrp (morbillo parotite rosolia) suscettibile di compromettere le cellule del sistema immunitario incaricate di aggredire ed eliminare gli agenti patogeni esterni.

Fu appurato che profilassi vaccinali massicce scatenavano forte stress del sistema immunitario, associate poi a forte e continuo irraggiamento solare senza protezioni, dovuto ad attività all’aperto, vennero individuati quali forti elementi di concausa per la nascita di linfomi e neoplasie.

Fu proprio sulla base di queste conclusioni inaspettate, (il primo studio era partito dall’esposizione da uranio impoverito) che si costituì con delibera del Senato del 16 marzo 2010 una nuova Commissione Parlamentare di Inchiesta sui casi di morte e di gravi malattie che avevano colpito il personale italiano impiegato all’estero.  Di fronte a questa il professor Franco Nobile, oncologo direttore del Centro prevenzione della lega contro i tumori di Siena, rese noti gli esiti di uno studio condotto su 600 militari del 186° Reggimento Paracadutisti “Folgore” reduci da missioni internazionali.
Le risultanti confermarono ancora una volta quanto emerso dal Progetto Signum, evidenziando la possibilità che pratiche vaccinali massicce e ravvicinate nel tempo potessero comportare una “disorganizzazione del sistema immunitario”, suscettibile a sua volta di concorrere alla manifestazione di gravi patologie autoimmuni, quali tiroidite, sclerosi multipla, eritema nodoso, lupus, artrite reumatoide, diabete, leucemie e linfomi.

 

Sotto accusa soprattutto la modalità di somministrazione vaccinale, con un nesso sempre più evidente tra vaccinazioni ravvicinate e abbassamento delle difese immunitarie, ed il loro stesso contenuto, che evidenziava la presenza di metalli pesanti quali alluminio e mercurio, nichel e cadmio senz’ombra di dubbio cancerogeni e utilizzati in alcuni tipi di vaccini come eccipienti e conservanti per migliorarne l’effetto.
Lo studio e i risultati di questi lavori furono pubblicai nel mese di luglio, all’interno della Relazione della IV Commissione d’Inchiesta sull’uranio impoverito che, a dispetto del nome, si è occupata di tutti gli aspetti relativi alla tutela della salute del personale militare e che evidenziò che, ad arrecare danni al sistema immunitario dei militari, molto più dell’uranio poté la somministrazione massiccia e ravvicinata di vaccinazioni multiple.

Aspetto che fu confermato in più parti nei lavori della commissione parlamentare XXVII legislatura, a pagina 117 della relazione finale, Doc. XXII-bis, approvata dalla Commissione nella seduta del 7 febbraio 2018 e trasmessa alla Presidenza della Camera dei deputati il 7 febbraio 2018 si legge: “I singoli vaccini somministrati ai militari, che ricordiamo essere gli stessi autorizzati da AIFA per il settore civile, contengono adiuvanti, conservanti e contaminanti, nei limiti delle autorizzazioni per la commercializzazione individuale. Quando un farmaco viene autorizzato è preso in considerazione singolarmente e i parametri, nonché i criteri, per determinare la soglia oltre la quale un componente diventa tossico, sono determinati dal fatto che il farmaco sia assunto da solo. Tuttavia, nel caso di specie siamo di fronte alla somministrazione di un calendario vaccinale per la profilassi obbligatoria, e non di una vaccinazione singola, pertanto i farmaci e i loro componenti si sommano. La verifica che tale somma rispetti comunque le soglie del singolo vaccino è fondamentale, perché se così non fosse i militari sarebbero esposti ad inutili rischi di fenomeni di immunosoppressione e di reazioni avverse (causate appunto dai componenti estranei il principio attivo e dal principio attivo stesso)”.

Come anche dagli atti parlamentari XVII legislatura, Doc. XXII-bis da pagina 142 si legge:

“Fermo restando quanto sopra, la Commissione conferma ancora una volta le conclusioni già evidenziate dal Progetto SIGNUM, nonché dal lavoro del Prof. Nobile sulla Brigata Folgore – per quanto riguarda la necessità di non somministrare contemporaneamente più di 5 vaccini monovalenti monodose sui militari: tale modalità di inoculazione appare, dunque, la più corretta per evitare l’insorgere di reazioni avverse.
Infatti la Commissione, nell’ambito della sua attività di indagine, ha preso conoscenza di casi in cui si erano manifestate reazioni avverse in seguito alle vaccinazioni, con l’instaurarsi di patologie autoimmuni o neoplastiche sopravvenute, in una parte di popolazione militare non sottoposta a fattori di rischio diversi da quelli vaccinali.
Nel caso specifico è stato studiato nel dettaglio il caso del Caporalmaggiore Francesco Rinaldelli deceduto per linfoma di Hodgkin, mentre nell’ultimo periodo prima della chiusura del lavoro della Commissione sono stati analizzati altri casi quali Francesco Finessi, GiuseppeTripoli, Davide Gomiero e Umberto Gambino. Per l’analisi di alcuni di questi si rinvia alla relazione intermedia della Commissione pubblicata nel luglio 2017. Va sottolineato, inoltre, che è giunto all’attenzione della Commissione il caso di Daniela Sinibaldi della compagnia femminile di Ascoli Piceno, con evidenze di patologia autoimmuni gravemente invalidanti.”

Infine sempre nella stessa relazione è interessante leggere nelle conclusioni a pagina 154:
“Alla luce degli elementi raccolti, la Commissione conferma che vi sia una associazione statisticamente significativa tra patologie neoplastiche e linfoproliferative, e altre patologie (es. quelle autoimmuni), e la somministrazione dei vaccini secondo la profilassi vaccinale militare. La Commissione ritiene di non poter escludere il nesso di causa.”

Queste le evidenze, almeno stando agli atti parlamentari, a cui si riferisce il Sindacato dei Militari, e per le quali ha emesso il preoccupato comunicato stampa, mettendo così le mani avanti in previsione della sperimentazione sullo sviluppo prossimo del vaccino contro il Covid-19 e del suo “uso compassionevole” sulle forze dell’ordine e il personale sanitario militare.


 

*il Gruppo IRBM Science Park è costituito da 4 società:

IRBM: sito di ricerca che conduce progetti di ricerca integrati nel campo chimico farmaceutico per l’identificazione di nuovi agenti terapeutici sia di origine chimica che biologica;

ADVENT: azienda per lo sviluppo e produzione di vaccini adenovirali per uso clinico;

CNCCS: consorzio pubblico-privato costituito nel 2010 dal CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’ISS, l’Istituto Superiore di Sanità e da IRBM per la creazione e l’implementazione della Banca Europea di “Composti” chimici e lo studio di una serie di malattie rare, trascurate e della povertà;

PROMIDIS: con laboratori situati presso l’Università San Raffaele di Milano, effettua ricerca chimica e sviluppo sperimentale nel campo delle altre scienze naturali, farmaceutico e di processo.