Consumismo, ossessione per il profitto, parole di egoismo hanno occupato lentamente l’intero spazio dei nostri pensieri e delle nostre azioni. Intanto la politica dell’odio travolgeva i processi migratori. Ovunque, anche in un borgo come Riace, la pandemia ha trovato terreno fertile in un virus umano. Abbiamo bisogno di immaginare e creare qui e ora sogni nuovi.

In un periodo di dolore e di grande sofferenza ciò che sta avvenendo a Riace mette ancora più tristezza. Ripetute per anni le parole dell’egoismo sono diventate famigliari, persuasive, lentamente hanno occupato centimetro dopo centimetro l’intero spazio dei nostri pensieri. Oggi si manifestano adesso in tutta la loro drammaticità e risuonano ovunque: le strade delle grandi città disseminate di senza casa, i precari del lavoro, i braccianti neri delle baraccopoli, le speculazioni sulla sanità pubblica, la salubrità dell’ambiente compromessa dai nostri sistemi produttivi, il delirio del profitto. Intanto il contagio si diffonde con le fabbriche del nord aperte: l’interesse del profitto viene prima della vita. Qual è ora il confine tra umanità e disumanità?

Nella Riace della mia infanzia, ancora incontaminata dal virus del consumismo, scoprivo l’umanità come bellezza: le tessitrici, i pastori, i tempi lunghi del loro lavoro come una riflessione profonda che si faceva con le mani; le danze dei rom che accompagnavano i cortei religiosi…

La globalizzazione delle migrazioni, fenomeno inarrestabile, è stata travolta, come ormai noto, dalla politica dell’odio, dei respingimenti, delle cattiverie. Una politica che non può trovare alcun esito positivo. Per un’assurda coincidenza, per un capriccio del vento la pandemia ha trovato qui a Riace, come in molti altri luoghi, un villaggio contaminato da un “virus umano”.

Abbiamo bisogno di immaginare e creare un luogo dove coltivare umanità ogni giorno. Questa è l’eredità che lasciamo per un sogno a venire.

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